Per un’informatica medica basata sulle prove

enrico coiera

Centre for Health Informatics, Macquarie University, Sydney, Australia.

Looking for evidence-based medical informatics.

Summary. e-Health is experiencing a difficult time. On the one side, the forecast is for a bright digital health future created by precision medicine and smart devices. On the other hand, most large scale e-health projects struggle to make a difference and are often controversial. Both futures fail because they are not evidence-based. Medical informatics should follow the example of evidence-based medicine, i.e. conduct rigorous research that gives us evidence to solve real world problems, synthesise that evidence and then apply it strictly. We already have the tools for creating a different universe. What we need is evidence, will, a culture of learning, and hard work.

Abbiamo già raggiunto il picco della e-health?

Chi lavora nell’ambito della e-health vive in due universi contraddittori.

Il primo universo è quello del nostro eccitante futuro nella salute digitale. Questo luccicante paradiso carico di gadget vede la tecnologia in armonia con il sistema sanitario, che è diventato flessibile, personale ed efficiente. Le malattie soccombono sotto l’assalto furioso dei big data e di miracolosi orologi intelligenti. Governo, industria, medici e cittadini si tengono per mano intorno al falò dell’innovazione. I denti sono immancabilmente splendenti ovunque si volti lo sguardo.

Il secondo universo è dickensiano. È il mondo preoccupante in cui i medici cercano di limitare i danni, costretti a utilizzare sistemi informatici chiaramente mal funzionanti. Le cartelle cliniche elettroniche assorbono tutto il tempo a disposizione dei professionisti e non si adattano alla pratica clinica. I provider sanitari si nascondono dietro barricate in fiamme quando i clinici si ribellano. Burocrati governativi in abiti inamidati fanno i vaghi in uffici rivestiti di velluto, spiegano a bassa voce l’ultimo sforamento dei costi preventivati, i ritardi o la violazione dei sistemi di sicurezza. I dati della nostra salute personale passano di mano in mano su chiavette illegali, fino a quando finiscono nelle grinfie di personaggi che somigliano a Fagin*.

Entrambi questi universi sono reali. Ci viviamo dentro ogni giorno. Nel primo, tutto è positivo, nel secondo prevale il contrario. Avremo raggiunto il picco della e-health il giorno in cui il lato negativo supererà quello positivo e la situazione resterà stabile. A seconda di chi sono e di ciò che leggono, per molti medici siamo arrivati a quel punto.

Le leggi dell’informatica

Capire il motivo per cui l’e-health spesso delude richiede una certa presa di distanza. Osservatori informati vedono costantemente lo stesso modello di progetto di grandi dimensioni guidato dalla tecnologia assorbire tutto l’ossigeno e le risorse destinate alla e-health. E constatano l’immancabile fallimento nella consegna. I medici vedono che la tecnologia che possono acquistare da semplici consumatori è molto più bella e più utile di qualsiasi cosa possano trovare sul posto di lavoro.

Mi ricordo di un incontro a cui ho partecipato con Branko Cesnik. Dopo una lunga presentazione della proposta di un nuovo sistema nazionale di e-health, riunione interamente centrata su norme tecniche e architetture informatiche, Branko intervenne: «Perdonami, ma è stata infranta la prima legge dell’informatica». Intendeva dire che la premessa alla base di qualsiasi sistema informativo clinico è che questo deve esistere per risolvere un problema clinico. Se si parte dalla tecnologia e si ignora il problema, l’esito sarà negativo.

Come corollario, esistono molti altri principi e leggi in ambito informatico. Mai costruire un sistema clinico per risolvere un problema di policy o amministrativo, a meno che tra le finalità non ci sia anche quella di risolvere un problema clinico. La tecnologia è solo una componente del sistema socio-tecnico, e costruire una tecnologia isolandola da quel sistema non potrà che dare vita a una tecnologia isolata1.

Quindi, nessun progetto di e-health inizia in un vuoto di memoria. Raramente si rende necessario progettare un sistema da zero. Abbiamo decenni di esperienza, sufficienti per sapere quale sia la cosa giusta da fare. E i decenni che ci hanno suggerito cosa non fare sono esattamente sullo scaffale accanto. E proprio là vicina c’è la disciplina stessa della ­Health informatics: certamente prende spunto ampiamente da altre discipline, ma ha una sua ragion d’essere centrale: lo studio del sistema sanitario e di come progettare modi per migliorarlo, supportati dalla tecnologia. L’informatica ha prodotto una grande quantità di ricerca.

Eppure oggi sembrerebbe giusto dire che la maggior parte delle persone che lavora nell’ambito della e-health non sappia dell’esistenza di queste evidenze e, semmai sapessero che esistono, probabilmente ne sottostimerebbero il valore. Potreste ascoltare “la scusa numero uno”: “Si tratta di evidenze inapplicabili perché il nostro è un contesto differente” o “riusciremo a raggiungere l’obiettivo perché siamo più svegli”. A volte chi costruisce un sistema sostiene che la sola cosa che conta sia l’esperienza personale. Siamo ingegneri dopotutto, e non scienziati. Ciò di cui abbiamo bisogno sono strumenti, risorse, un obiettivo e una scadenza, non la ricerca.

Bene, non siete diversi. State costruendo un intervento complesso in un sistema complesso, dove la causalità è difficile da capire, tanto meno il controllo. Mentre i dettagli del sistema possono differire, dal punto di vista della complessità della scienza, ogni grande progetto di e-health finisce per affrontare lo stesso tipo di problema.

Il risultato del fatto di non tenere conto delle prove del passato è evidente. Se molti dei sistemi informativi clinici che ho visto sono stati progettati secondo i principi di base di ingegneria dei fattori umani, vorrei che mi venisse spiegato quali siano tali principi. Se la maggior parte dei sistemi informativi clinici odierni sono progettati per ridurre al minimo l’errore e il danno indotto dalla tecnologia farò una festa e andrò in pensione, ritenendo raggiunto l’obiettivo della mia vita lavorativa.

Le leggi fondamentali dell’informatica esistono, ma raramente sono applicate. I case history sono lasciati chiusi dentro scatoloni sotto le scrivanie, piuttosto che essere insegnati a chi si affaccia alla professione. Il grande lavoro svolto dalla comunità dei ricercatori informatici prende polvere nelle riviste e negli atti di convegno e non contribuisce a informare gran che di tutto quello che è costruito e usato quotidianamente.

Niente di questa storia rappresenta una novità. Molte altre discipline hanno affrontato identiche sfide. La stessa espressione “evidence-based medicine” (EBM), per esempio, è una chiamata alle armi che sollecita il passaggio dall’aneddoto e dall’esperienza personale a un’attività di ricerca e a un processo decisionale basato sui dati. Mi ricordo nei primi anni Novanta, quando fu avviato il movimento della EBM (ed era più un movimento sociale che qualsiasi altra cosa), quanto fosse forte la resistenza della professione medica. Il nome stesso era un insulto. La EBM relativizzava il valore della pratica, della ricca esperienza quotidiana di ogni medico, capace di conoscere “meglio” i propri pazienti, e negava la diversità del malato individuale rispetto a quelli arruolati e descritti negli studi sperimentali. Quindi, l’evidenza non si applicava.

La EBM resta un work in progress. Tutto ciò che c’è da fare oggi è constatare una tale variabilità clinica da avere conferma che molto di ciò che viene fatto è privo di una base di conoscenze che lo supporti. Perché un ospedale utilizza un tipo di protesi d’anca e un altro istituto ne preferisce uno diverso, alla luce delle differenze di costo, dei difetti del device o del verificarsi di infezioni? Perché un paese sviluppato ha alti tassi di taglio cesareo e in una nazione paragonabile prevalgono i parti naturali? Tutto ciò è il risultato delle decisioni di pragmatico “engineering” dei clinici. Non credo che l’erogazione dell’assistenza sanitaria sia così diversa dall’informatica a questo riguardo.

È venuto il momento di un’informatica basata sulle evidenze.

Vuol dire impegnarci perché ogni decisione riguardante la selezione, la progettazione, l’implementazione e l’uso dell’informatica in sanità sia basata su dati raccolti e analizzati rigorosamente. Dobbiamo scegliere l’opzione che ha più probabilità di successo sulla base delle migliori prove di cui disponiamo.

Perché ciò avvenga, molto deve cambiare nel modo in cui la ricerca è condotta e comunicata, come anche nel modo in cui l’informatica è utilizzata:

dovremo capire il tipo di interrogativo che gli informatici si pongono quotidianamente;

se sono disponibili evidenze utili per rispondere a un quesito, abbiamo la necessità di disporre di percorsi affidabili per sintetizzare le prove in una forma che possa renderle utilizzabili;

se non disponiamo di evidenze e la domanda è rilevante, allora è compito dei ricercatori condurre la ricerca in grado di fornire la risposta.

Nel campo dell’EBM, l’idea dei patient-oriented evidence that matters (POEMS)2 è un ottimo esempio di come possa essere relativamente facile immaginare le domande cui si può rispondere con dei POEMS di tipo informatico:

qual è il limite massimo di sicurezza del numero di farmaci che posso mostrare a un clinico in un menu a discesa?

voglio migliorare l’aderenza ai farmaci nei miei pazienti con diabete di tipo 2: l’invio di un messaggio di testo come promemoria è la soluzione più conveniente?

voglio alleggerire il lavoro necessario ai medici del reparto per compilare la documentazione: qual è la prova che una cartella clinica elettronica è in grado di ridurre il tempo di compilazione?

come implementare gradualmente la cartella clinica elettronica nel mio ospedale?

quali cambiamenti dovrò fare nei percorsi di lavoro del personale infermieristico per implementare un nuovo sistema di gestione dei farmaci?

La EBM ha anche sottolineato che la risposta a qualsiasi domanda non è mai una certezza basata sui risultati della ricerca, perché la decisione finale viene anche influenzata dalle preferenze del paziente. Un paziente malato di cancro può scegliere un trattamento teoricamente meno efficace, ma meno gravato da effetti collaterali importanti, cosa che può essere ugualmente rilevante. Lo stesso vale ovviamente per la evidence-based health informatics (EBHI).




La sfida della EBHI

Realizzare questo obiettivo si tradurrebbe in alcuni significativi cambiamenti a lungo termine nella ricerca e nella pratica dell’informatica medica:

Domande: gli operatori dovranno sviluppare una cultura della ricerca delle evidenze utile a rispondere agli interrogativi e non semplicemente fare quello che loro o i loro colleghi hanno sempre fatto. Dovranno aver ben presenti i propri bisogni informativi ed essere formati alla capacità di porsi domande chiare e alle quali sia possibile rispondere. Sarà anche necessaria una collaborazione concertata tra clinici e ricercatori che abbia come obiettivo capire cosa è realmente una domanda cui è possibile rispondere. La EBM ha una ricca tassonomia di tipi di interrogativo, ma le domande che riguardano l’informatica dovranno essere diverse, sottolineando aspetti ingegneristici, organizzativi e fattori umani. Ci saranno sempre domande prive di risposta e quello sarà il momento in cui l’esperienza e il giudizio personale torneranno a essere preziosi. Anche qui, però, alcuni strumenti di analisi potranno aiutare gli informatici a esplorare i dati storici per trovare la migliore evidenza a sostegno delle scelte.

Risposte: la Cochrane Collaboration ha svolto un ruolo pionieristico nello sviluppo di processi robusti di meta-analisi e revisione sistematica, e la loro traduzione in prodotti di conoscenza per i clinici. Avremo bisogno di sviluppare una nuova figura di professionista dell’informatica per sostenere il trasferimento del sapere, responsabile per la comprensione degli interrogativi informatici e per il reperimento delle risposte più affidabili dalla letteratura di ricerca e dai dati storici. Dal momento che gran parte delle prove in genere non proviene da studi randomizzati e controllati, saranno necessari metodi diversi dalla meta-analisi. Le banche dati di casi clinici, che esistono senza dubbio già oggi, potranno essere arricchite e adattate per supportare l’affermazione della EBHI. Essendo informatici, guarderemo con maggior favore alla ricerca e alla sintesi delle prove informatizzata rispetto a quella manuale3. Auspicabilmente, primeggeremo nello sviluppare strumenti che i professionisti sanitari potranno usare per inquadrare i loro interrogativi e ottenere le risposte necessarie. I due driver - uno orientato al bene pubblico, l’altro all’aspetto commerciale - concorreranno a supportare la produzione dei prodotti utili alla gestione della conoscenza di cui abbiamo bisogno.

Avvicinare la scienza dell’implementazione all’informatica: sappiamo che gli interventi informatici sono interventi complessi in sistemi complessi, e che il loro effetto varia a seconda del contesto organizzativo. Così, necessariamente, la pratica della EBHI vedrà modificarsi le risposte alle domande a causa del contesto locale. Ho il sospetto che questo possa significare che una delle principali sfide per la ricerca sarà quella di sviluppare metodi robusti e basati su evidenze per supportare la localizzazione o la contestualizzazione della conoscenza. Mentre ogni contesto è senza dubbio unico, dovremmo essere in grado di attingere dalle lezioni della scienza dell’implementazione per capire come supportare gli adattamenti locali in modo che sia più probabile ottenere risultati positivi.

Professionalizzazione: insieme al cambiamento culturale dovrebbe cambiare il modo con il quale i professionisti dell’informatica sono accreditati. L’educazione continua è un fondamento del processo di accreditamento, e offre una straordinaria opportunità ai professionisti per restare al passo con i principali cambiamenti nel campo scientifico, e per mantenersi aggiornati riguardo a come questi cambiamenti influenzano il modo con cui dovrebbero approcciare il loro lavoro.

Conclusioni

Arriva un momento in cui sicuramente è il momento di dichiarare che quando è troppo è troppo. Viviamo una crisi inespressa della e-health. La retorica dell’innovazione, del rinnovamento, della modernizzazione e della digitalizzazione fa sì che tutti noi dobbiamo necessariamente esserne convinti. Il lungo e crescente elenco di progetti di e-health su larga scala falliti, il silenzio imbarazzato che aleggia quando si discute di rischi per la sicurezza derivanti dall’introduzione della tecnologia fanno pensare che la e-health sia un passaggio nell’evoluzione della moderna assistenza sanitaria: animato dalle migliori intenzioni, ma mal concepito.

Per evitare il picco della e-health abbiamo bisogno non solo di ridurre al minimo le conseguenze negative di ciò che facciamo, evitando gli errori. Dobbiamo anche massimizzare i vantaggi, e cogliere le opportunità di trasformazione insite nella tecnologia.

Tutto quello che ho visto nel viaggio attraverso la medicina mi fa dire che, affinché questa diventi realmente basata sulle prove, ci vorranno decenni e non sarà affatto facile da realizzare. Ma fino a quando non succederà, scopriremo e rifaremo gli stessi errori. Abbiamo gli strumenti per creare un universo diverso. Sono necessarie le evidenze, la volontà, una cultura orientata all’apprendimento e un grande impegno. Meno Dickens e distopia. Più Star Trek e utopia.

Il presente articolo è stato pubblicato anche in lingua inglese ed è consultabile al sito http://coiera.com/2016/02/11/evidence-based-health-informatics/

Note

* Fagin è un personaggio di Oliver Twist, di Charles Dickens. All’inizio del romanzo è descritto come un ricettatore di beni rubati.

Bibliografia

1. Slawson DC, Shaughnessy AF, Bennett JH. Becoming a medical information master: feeling good about not knowing everything. J Fam Pract 1994; 38: 505-13.

2. Tsafnat G, Glasziou P, Choong MK, Dunn A, Galgani F, Coiera E. Systematic review automation technologies. Syst Rev 2014; 3: 74.

3. Coiera E. Four rules for the reinvention of healthcare. BMJ 2004; 328: 1197-9.