In questo numero

A poche ore dalla apertura dei nuovi percorsi per le persone disabili, il direttore del parco archeologico di Paestum, Gabriel Zuchtriegel, ha voluto provare la praticabilità effettiva dei sentieri utilizzando una sedia a rotelle. Ovviamente è finito su tutti i giornali. Come ci finirebbe un medico che decidesse di fare come Jack McKee, il chirurgo del film The doctor, interpretato da William Hurt. Qualcuno ricorderà la famosa scena in cui prescriveva ai suoi attoniti specializzandi di indossare i panni dei pazienti per capire cosa avrebbero provato ad essere quelli che, in reparto, stanno col camicione. Finché non accadrà sul serio qualcosa del genere saranno sempre poco credibili i documenti che annunciano “una nuova alleanza” tra medici e malati. Il più recente, ma di sicuro non l’ultimo, è del King’s Fund inglese: Patients as partners: building collaborative relationships among professionals, patients, carers and communities (London, 2016 - http://www.kingsfund.org.uk/publications/patients-partners).

Insomma, il paziente è considerato sempre “più importante”, “al centro” del servizio sanitario, e la prima reazione dovrebbe essere di sorpresa perché considerando le ragioni che portarono alla riforma sanitaria nel nostro paese la centralità dei cittadini nel sistema dovrebbe essere un’ovvietà e non qualcosa da studiare. Subito dopo dovrebbe subentrare la perplessità: oggi, quando il malato è al centro dell’attenzione non è per il rispetto che a lui si deve ma perché è un consumatore di medicina. E, quantomeno indirettamente, il paziente è un decision-maker: con la diffusione di internet e la disintermediazione a ogni livello si è scoperto che il malato è in grado di influenzare le scelte di politica sanitaria, soprattutto attraverso l’azione di advocacy delle associazioni che lo rappresentano.

Guardando “In questi numeri”, Angela Coulter ha scritto in un post nei blog del BMJ di essere ottimista: l’andamento delle rilevazioni del National health system inpatient survey riportato nella review della Care quality commission è positivo. Ma, considerato quanto si discute della questione, non sembra che i progressi fatti negli ultimi 15 anni siano poi così macroscopici. Del resto, si fa abbastanza per migliorare la competenza dei cittadini in tema di salute? Quali strategie mettono in atto le istituzioni per migliorare la health literacy degli italiani? Se non si desidera che la patient-centred medicine resti un mantra dell’industria farmaceutica, andrebbe riconosciuto che la restituzione di un ruolo prioritario al malato è un problema di sistema e come tale andrebbe affrontato. Lo shared decision-making ha bisogno di pazienti più consapevoli e di medici più sereni. Leggiamo sul Lancet del 2 luglio 2016: “The practice of medicine is based on relationships— whether between doctor and patient, doctor and nurse, or doctor and administrator. Being a doctor is a group activity with the common purpose of improving patient care, but the health of all those involved is also important. Unhappy, unwell doctors cannot put patients first.” (Editorial. When the doctor is sick too. Lancet 2016;388:1)

Se qualcosa manca, “In questo numero” di Recenti Progressi in Medicina, è la voce del malato. Forse, però, è una scelta giusta e più onesta. Aspettiamo che i tempi siano più maturi.

In questi numeri