In questo numero

Siamo entrati in una fase nuova. Meglio: ci siamo finalmente accorti di essere entrati in una fase nuova. A sancire la discontinuità sono due eventi di indiscutibile diversa portata ma legati tra loro. Donald Trump è il presidente eletto degli Stati Uniti. Post-truth è la parola dell’anno 2016 a giudizio dei curatori dell’Oxford Dictionary, che è probabilmente il miglior giudice al riguardo. È un aggettivo, precisano i linguisti, e «si riferisce a circostanze in cui – nel formare l’opinione pubblica – i fatti contano meno delle emozioni e delle convinzioni personali». Nel 2016 abbiamo fatto ricorso a questa parola duemila volte di più dello scorso anno. La punta massima di utilizzo si è verificata nel contesto del referendum col quale la Gran Bretagna ha deciso di lasciare l’Unione europea e delle elezioni presidenziali americane.

In molti – giornalisti, intellettuali, uomini di cultura – hanno reagito scandalizzati di fronte a un’evidenza che rischia di fare parecchi altri danni. Dovrebbe essere meno sorpreso chi frequenta l’ambiente della medicina, che da sempre soffre il primato delle bufale – o delle mezze verità – sulle prove più robuste prodotte dalla ricerca onesta. La medicina è il luogo dove maggiormente trovano spazio le credenze: non i mobili demodé ospitati dalle cucine di una volta – come avverte il libro Il pregiudizio universale, divertente prodotto della “scuderia” della casa editrice Laterza – ma le false convinzioni che vivono del passaparola che sono molto spesso innescate da uno spin intenzionale avviato ad arte da portatori di interessi economici o politici che teoricamente confliggono con quelli di cittadini e di pazienti.

Una mela al giorno leva il medico di torno: ammesso che qualcuno ci abbia mai creduto, seguire questo pregiudizio avrà fatto di sicuro meno danni della convinzione postmoderna che i prodotti originator siano più efficaci dei corrispondenti biosimilari. Una cosa, questa, che ormai “crediamo di sapere” anche se ci sono prove del contrario. Altri esempi? A dar retta alle evidenze sintetizzate nelle più recenti revisioni sistematiche, non dovremmo avere alcun motivo per affidare al robot DaVinci il compito di risolvere i nostri problemi urologici. Così come la fretta dovrebbe essere una cattiva consigliera qualora ci venisse diagnosticato un cancro della prostata, alla luce di quanto abbiamo letto nel ProtecT trial recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine (Hamdy, 2016). La sanità intesa come consumo di medicina è alla costante ricerca della “cascata clinica”, ricorda Roberto Satolli introducendo il libro Il grande inganno sulla prostata, di Richard J. Ablin, edito da Cortina. «Basta un semplice test del PSA, che non costa nulla ed è in sé innocuo, per mettere in moto una catena inarrestabile di prestazioni e interventi, intorno a ciascuno dei quali girano affari per centinaia di milioni o miliardi: biopsie, chirurgia robotica, radioterapia protonica, farmaci per l’impotenza, protesi per l’erezione o per l’incontinenza, pannoloni e simili».

Introducendo il numero del 25 novembre, il direttore del settimanale Internazionale Giovanni De Mauro scrive che «al di là di cosa è vero e cosa è falso, quello che conta è chi decide cos’è una notizia». La disastrosa guerra in Iraq fu sostenuta da una serie di articoli di giornale che diffondevano la convinzione che quella nazione mediorientale disponesse di armi di distruzione di massa. La fonte fu determinante: era il New York Times. Se “a decidere cos’è una notizia” in medicina è il Governo della Repubblica, il Ministero della salute o l’Istituto superiore di sanità, non c’è valutazione critica che tenga.

Non passa giorno che sulle strade delle nostre città non compaia una nuova maxi affissione promozionale di una nuova strumentazione diagnostica o chirurgica in dotazione ad un noto ospedale cittadino. Che all’ingresso della farmacia di cui ci fidiamo non sia affisso un invito a sottoporsi a un nuovo controllo affatto o parzialmente giustificato. Che la Regione o il Ministero non annunci una nuova campagna di diagnosi precoce. Di fronte a una comunicazione così articolata e coerente, si resta interdetti: da una parte ci si interroga sul come garantire la sostenibilità del sistema e dall’altra si contribuisce a comprometterla.

Per contrastare pregiudizi e bufale, sostiene Giuseppe Antonelli nel libro di Laterza, servirebbero documentazione, argomentazione e ironia. Valle a trovare.

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