Cetuximab in associazione a chemioterapia a base di oxaliplatino come prima linea nel carcinoma del colon-retto metastatico

Fausto Petrelli1, Antonio Ghidini2, Alberto Zaniboni3

1Oncologia Medica, Ospedale di Treviglio (BG); 2Oncologia Medica, Casa di Cura Igea, Milano; 3Oncologia Medica, Fondazione Poli­ambulanza, Brescia.

Pervenuto l’8 gennaio 2017. Accettato dopo revisione il 21 gennaio 2017.

Riassunto. La combinazione tra chemioterapia a base di oxaliplatino e cetuximab nel trattamento di prima linea del carcinoma del colon-retto sta progressivamente imponendosi come un possibile “gold standard” per i pazienti RAS wild type, sia che l’obiettivo primario sia rappresentato dalla conversione delle metastasi a una condizione di operabilità, sia che si punti a un prolungamento della sopravvivenza globale. L’analisi dei trial clinici ha permesso di stabilire che, con l’esclusione di regimi contenenti la capecitabina (studio COIN) o il fluorouracile in bolo (studio NORDIC), il regime FOLFOX combinato con il cetuximab costituisce un valido e sicuro trattamento per i pazienti RAS wild type. Lo stesso studio CALGB/SWOG 80405 (in cui oltre il 70% dei pazienti è stato trattato con il FOLFOX) sottolinea il valore di tale associazione in particolare nei pazienti con primitività nel colon sinistro (dal 70 all’80% dei pazienti della pratica clinica).

Parole chiave. Cetuximab, FOLFOX, oxaliplatino, tumore del colon-retto.

Cetuximab in association with an oxaliplatin-based chemotherapy as first-line treatment of metastatic colorectal cancer.

Summary. The combination of cetuximab with an oxaliplatin-based chemotherapy is becoming a consolidate standard as first line treatment of metastatic colorectal cancer in RAS wild type patients either in the neoadjuvant setting or in the continuum of care of never resectable disease. Available evidence from clinical trials (not considering regimens containing capecitabine or bolus 5-Fu, as in the COIN and NORDIC study, respectively) has clearly outlined the safety and the efficacy of the combination of FOLFOX and cetuximab. Even the update of the Calgb/Swog 80405 study (with more than 70% of patients treated with FOLFOX) clearly supports the superior activity of FOLFOX+cetuximab in left-sided tumors (70-80% of the real-world population) over chemotherapy + bevacizumab.

Key words. Cetuximab, colorectal cancer, FOLFOX, oxaliplatin.

Trattamento anti-EGFR nel colon-retto: rassegna delle terapie di prima linea

Il trattamento del carcinoma del colon retto metastatico si fonda sull’utilizzo di alcuni schemi consolidati di chemioterapia (FOLFOX, XELOX e FOLFIRI) associati, se le circostanze cliniche lo richiedono (conversione, riduzione del tumore, prolungamento della sopravvivenza in malati non operabili) e lo permettono (performance status, età, comorbilità), a un farmaco target scelto sulla base di biomarker predittivi di risposta (RAS e BRAF). È stata ampiamente dimostrata la valenza di anticorpi anti-EGFR (panitumumab e cetuximab) nel trattamento iniziale della malattia metastatica RAS wild type (wt) e BRAF wt, risultando queste combinazioni superiori alla chemioterapia da sola o alla combinazione con bevacizumab (in questo ultimo caso perlomeno in termini di sopravvivenza libera da progressione – PFS – e tasso di risposta – RR)1,2. Tale scelta appare condivisibile per lo più nella malattia mai operabile (metastasi non convertibili a resezione R0 dopo CT neoadiuvante) o come schema preoperatorio (stante l’elevato RR) che permette in alcuni casi (fino al 33% nello studio CELIM)3 una conversione chirurgica di una malattia confinata a livello epatico e non inizialmente operabile4. Di fatto appare oggi accettato che di fronte a una malattia non resistente (panRAS wt e BRAF non mutata) l’opzione migliore di trattamento consiste nell’utilizzare da subito un anti-EGFR nella storia clinica della malattia nell’ottica di una strategia globale di trattamento5. In particolare, appare giustificato un uso della doppietta con anti-EGFR nella malattia RAS/BRAf wt laddove la malattia sia multisede (per es., fegato + polmone) o bulky e sintomatica, e dove quindi una rapida risposta per il controllo dei sintomi e/o un prolungamento del PFS o del beneficio clinico (controllo di malattia) giustifichi un trattamento intensivo di elevata efficacia terapeutica.

FOLFOX o FOLFIRI: il partner dei biologici conta?

Seppure studiato con entrambi gli schemi backbone (per es., FOLFIRI e FOLFOX negli studi CRYSTAL e OPUS), cetuximab è stato anche combinato con schemi non infusionali (per es., FLOX nel NORDIC trial). Una meta-analisi ha valutato se lo schema chemioterapico potesse influenzare l’efficacia della terapia con farmaci biologici, per quanto riguarda sia l’agente utilizzato (irinotecan o oxaliplatino) sia lo schema infusionale adottato (5-FU ic o bolo)6. Ebbene, nella globalità del forest plot, cetuximab o panitumumab aggiunti a schemi basati su oxaliplatino parrebbero non aggiungere vantaggio in termini di PFS e sopravvivenza globale (OS), confermando l’esistenza di un’interazione con lo schema che verrebbe spiegata con l’uso di schema infusionale vs schema alternativo. In tale sottoanalisi infatti, nell’utilizzo di schemi infusionali (FOLFOX), l’HR per il PFS è 0,82 (95% CI 0,72-0,94). Se si estende tale analisi al gruppo con dato panRAS (ma non BRAF) disponibile, nonostante non si ottenga un vantaggio significativo di OS con gli anti-EGFR, il vantaggio sul PFS rimane altamente significativo (HR=0,7, 95% CI 0,57-0,86; p=0,0009).

La sintesi di questa analisi è semplice e viene recepita anche dalle linee-guida ESMO: l’efficacia di cetuximab e schema infusionale con oxaliplatino (FOLFOX) è confermata e deve essere utilizzata nella pratica clinica, mentre l’efficacia con la capecitabina (XELOX) è inferiore. Seppure non significativa, inoltre, la tossicità G3-4 appare superiore per gli schemi basati su FOLFIRI rispetto a quelli basati su oxaliplatino.

Fluoropirimidine e oxaliplatino con cetuximab: razionale e dati di fase I-II

Il regime FOLFOX, così come quello FOLFIRI, rappresenta lo standard di prima linea chemioterapica nei pazienti con tumore del colon avanzato. Entrambe le doppiette, con simili risultati di efficacia ma diversa tossicità7, sono state successivamente studiate in associazione con l’anticorpo monoclonale cetuximab.

Oxaliplatino è un analogo derivato dei sali di platino che svolge un’azione citotossica mediante alchilazione dei filamenti del DNA; esso sinergizza con il 5-fluorouracile, antimetabolita analogo pirimidinico (e in particolare nella sua modulazione con l’acido folinico), avendo dimostrato vantaggio in termini di risposte e sopravvivenza8. Cetuximab è una immunoglobulina che vede come target EGFR, andandone a inibire il segnale intracellulare di proliferazione a valle del recettore9, e possedendo anche un’azione di citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente (ADCC)10.

Dati sperimentali preclinici avevano già dimostrato come la combinazione di oxaliplatino e cetuximab fosse più efficace rispetto alle singole molecole nel controllare la crescita di cellule tumorali resistenti all’oxaliplatino11. Diversi studi di fase I e II hanno studiato la combinazione del cetuximab con regimi chemioterapici a base di oxaliplatino, in particolare con la schedula settimanale con l’infusione continua di 5-FU (FUFOX)12, così come con la capecitabina (regime XELOX), anche in associazione di quest’ultima con la radioterapia, dimostrandone fattibilità e sicurezza, ma anche risultati molto incoraggianti. In particolare, lo studio di fase II di Tabernero et al.13 ha dimostrato i migliori risultati mai raggiunti prima nel setting di malattia avanzata: tasso di controllo della malattia (DCR) del 95% e OS di 30 mesi con l’associazione di FOLFOX-4 e cetuximab.

Nella tabella 1 sono riassunti i risultati principali degli studi di fase I/II:




Fluoropirimidine e oxaliplatino con cetuximab: studi randomizzati

Tra gli studi randomizzati di fase II quello che occupa un posto di primaria importanza è sicuramente lo studio OPUS14. Si tratta di un lavoro recente che, nel suo aggiornamento15, prende in considerazione la popolazione di pazienti selezionata per all-RAS wt. Dopo aver dimostrato che il braccio sperimentale si è rivelato negativo nel sottogruppo con mutazione dell’esone 2 del gene K-RAS, l’analisi su 87 pazienti randomizzati a ricevere in prima linea avanzata il trattamento standard secondo regime FOLFOX-4, oppure lo stesso trattamento associato a cetuximab, ha documentato un vantaggio statisticamente significativo per l’endpoint primario, rappresentato dalla percentuale di risposte obiettive, risultata quasi raddoppiata nel braccio sperimentale (58% vs 29%). Il dato di risposta è considerevole anche in virtù del fatto che in letteratura è dimostrata per i pazienti con malattia metastatica limitata al fegato ma non operabile d’emblée una correlazione tra RR e aumento di chirurgia delle metastasi, con incremento anche di sopravvivenza nei pazienti che ottengono una R014.

Altri due studi randomizzati di fase II pubblicati nel 2006 avevano dimostrato un vantaggio per la combinazione della fluoropirimidina con cetuximab in termini di RR: il primo, dello Swiss Group for Cancer Research16, associava l’anticorpo a un regime con capecitabina (RR 57% vs 27%); il secondo, di Venook et al.17, e originariamente disegnato come fase III, in associazione a FOLFOX (RR 60% vs 40%).

Lo studio CECOG/CORE 1.2.001, fase II randomizzato, presentato all’ASCO del 2009 e pubblicato nel 2015 nella sua analisi aggiornata18, ha valutato come lo stato mutazionale di RAS e BRAF influenzi l’efficacia di cetuximab in associazione con lo schema di terapia FOLFOX-4 nel trattamento di prima linea di malattia avanzata. Di 148 pazienti valutabili, il 7% e 9% sono risultati rispettivamente portatori di mutazione per RAS e BRAF: in questi ultimi la OS mediana è risultata inferiore (16,3 mesi e 11,7 mesi vs 28,5 mesi), confermando la peggiore prognosi dei tumori mutati e ribadendo ulteriormente la necessità di estendere la ricerca delle mutazioni ad altre regioni dei geni (non cioè solo ai codoni 12 e 13).

Ultimo trial più recente, sempre di fase II, che merita menzione è sicuramente lo studio italiano CAPRI19, pubblicato su Annals of Oncology. I ricercatori del GOIM hanno randomizzato 153 pazienti RAS wt in progressione dopo una prima linea con FOLFIRI + cetuximab, a ricevere in seconda linea la sola chemioterapia secondo schema FOLFOX, oppure quest’ultima in associazione a cetuximab. Questo che si configura essere uno studio di trattamento “beyond progression” ha documentato un vantaggio nel proseguire con lo stesso anticorpo cambiando la chemioterapia di associazione: nei 66 pazienti risultati wt per KRAS, NRAS, BRAF e PIK3CA, la PFS mediana, primary endpoint, nel braccio sperimentale è risultata infatti essere 6,9 mesi contro 5,3 mesi del braccio di sola chemioterapia, con HR 0,56 (95% CI 0,33-0,94; p=0,025).

Passando quindi agli studi di fase III da citare in particolare tre lavori: lo studio COIN, lo studio CALGB/SWOG80405 e lo studio TAILOR.

Lo studio COIN20 è uno studio sostanzialmente negativo. Esso infatti non ha raggiunto l’endpoint primario previsto riguardo la sopravvivenza. In esso sono stati arruolati 1630 pazienti di prima linea, randomizzati in tre bracci (il terzo con la sola chemioterapia a intermittenza) a ricevere oxaliplatino + fluoropirimidina +/- cetuximab. Come già accennato, questo lavoro non ha confermato i vantaggi per l’anticorpo emersi dagli studi precedenti, fatta eccezione per il tasso di risposte. Infatti nei pazienti KRAS wt l’OS è risultata praticamente sovrapponibile (17 mesi, HR 1,04), la PFS idem (8,6 mesi, HR 0,96), mentre il tasso di risposte con l’aggiunta del cetuximab è incrementato dal 57% al 64% (p=0,049).

Le ragioni poco chiare di tale risultato potrebbero essere in parte spiegate con la tossicità gastroenterica e cutanea del trattamento di combinazione (soprattutto con l’utilizzo della capecitabina), che ha portato a una discontinuazione del trattamento e/o riduzione del dosaggio dei farmaci e prolungato intervallo tra i cicli in un’alta percentuale di casi. Come in altri studi già descritti precedentemente, le mutazioni per i geni RAS e RAF hanno dimostrato avere un potente effetto prognostico sull’outcome dei pazienti a prescindere dalla terapia ricevuta (OS 8,8 mesi nei pazienti BRAF mutati, 14,4 mesi nei KRAS mutati).

Il trial CALGB/SWOG21, randomizzato di fase III, presentato solo in forma di abstract all’ASCO e all’ESMO del 2014, è a oggi il più grande per numero di pazienti arruolati (1137 pazienti KRAS wt) che abbia esplorato il confronto diretto fra i due anticorpi monoclonali cetuximab e bevacizumab, associati entrambi alla doppietta FOLFOX o FOLFIRI, a scelta dello sperimentatore (il 73% dei pazienti risultano trattati con FOLFOX).

Il testa a testa tra le due molecole non ha dimostrato differenze in OS (primary endpoint, HR 0,9) e PFS, anche se le curve tendono a separarsi leggermente, a favore del primo, con il passare del tempo; il braccio con cetuximab si è inoltre rivelato più efficace per quanto riguarda il tasso di risposta, 69% contro 54% nella popolazione all-RAS wt. Nei pazienti RAS wt trattati con cetuximab e FOLFOX la OS raggiunge 32,5 mesi; per contro, i pazienti trattati con bevacizumab e FOLFIRI hanno ottenuto una OS di 35,2 mesi22. Come vedremo più avanti, i dati relativi alla lateralità del tumore stanno però apportando nuove conoscenze in questo come in altri trial.

L’ultimo studio che prendiamo in considerazione in questa analisi è il TAILOR23, lavoro del 2016 pubblicato su Annals of Oncology come late breaking abstract, randomizzato di fase III in aperto su 393 pazienti cinesi. Il trattamento standard era rappresentato da FOLFOX-4, il braccio sperimentale da FOLFOX-4 + cetuximab. La terapia di combinazione ha dimostrato una differenza statisticamente significativa di PFS (9,2 verso 7,4 mesi, HR 0,69, p=0,004), incremento di RR (61% verso 39%) e OS di 20,7 mesi contro 17,8 mesi nel braccio con il solo FOLFOX-4 (HR 0,76, p=0,020).

In sintesi possiamo concludere che la combinazione del cetuximab con regimi a base di oxaliplatino nel trattamento di prima linea della malattia metastatica aggiunge sicuramente un beneficio, in termini di risposte e sopravvivenza, che emerge in maniera più o meno evidente dai singoli studi, fatte salve alcune criticità (vedi studio COIN) che lasciano aperti alcuni quesiti.

Aspetti di tossicità

Fin dai primi studi di fase II si sono evidenziati i principali effetti collaterali di cetuximab. Questi sono rappresentati in prima istanza dalle reazioni cutanee, compresa la mucosite e la congiuntivite, che si verificano in più dell’80% dei pazienti (casi gravi nel 15%), disturbi elettrolitici e in particolare l’ipomagnesemia che si osserva in più del 10% dei casi, alterazione degli enzimi epatici, e reazioni allergiche legate all’infusione del farmaco (gravi in più dell’1% dei riceventi). Altri eventi avversi comuni sono rappresentati da quelli gastroenterici (nausea, vomito e diarrea, anoressia), che possono portare a disidratazione, e ipocalcemia e cefalea.

Nella terapia combinata con farmaci chemioterapici alcuni aspetti di tossicità possono essere incrementati, come risultato dell’effetto additivo di tossicità. Per esempio, quando cetuximab viene associato al regime FOLFOX aumenta la percentuale di leuco-neutropenia e quindi la frequenza di neutropenia febbrile, sepsi e polmonite. In associazione alle fluoropirimidine si può rilevare un maggior numero di sindrome mano-piede così come di eventi avversi cardiaci. Ciò tuttavia in una meta-analisi di 7 lavori randomizzati dove cetuximab veniva aggiunto a una chemioterapia a base di oxaliplatino24, solamente il rischio rash e diarrea G3-4 veniva incrementato con l’associazione del monoclonale, mentre, curiosamente, il rischio di neuropatia periferica severa era significativamente inferiore con la combinazione. Le altre principali tossicità G3-4, quali neutropenia, nausea e vomito, risultavano pari nei 2 gruppi di pazienti analizzati nella meta-analisi.

La presenza di tossicità, e la difficoltà di gestione della stessa, può essere causa frequente di riduzione di dose dei farmaci oppure del ritardo nella somministrazione dei cicli successivi: questo può comportare, come abbiamo visto emergere da alcuni studi clinici precedentemente descritti, parziale perdita del vantaggio conferito dall’associazione anticorpo-chemioterapia. È quindi fondamentale mettere in atto tutte le misure possibili atte a prevenire eventuali effetti collaterali attesi, nonché saper gestire segni e sintomi correlati al trattamento.

Cetuximab e chemioterapia a base di oxaliplatino: questione di biomarker e di lato

L’analisi biomolecolare per la selezione del trattamento di prima linea, come detto, non può prescindere dall’analisi estesa dei geni KRAS ed NRAS (esoni 2, 3 e 4) in quanto ciò ha un ruolo predittivo di risposta agli anti-EGFR. A questo si è andato ad associare negli ultimi anni la valutazione delle mutazioni nel gene BRAF (in particolare la nota mutazione V600E già studiata nel melanoma). Seppure con una forte valenza prognostica, la presenza di mutazione di BRAF è associata a non beneficio dall’aggiunta di farmaci anti-EGFR. La raccomandazione 5 delle line-guida ESMO cita testualmente: «Tumour BRAF mutation status should be assessed alongside the assessment of tumour RAS mutational status for prognostic assessment (and/or potential selection for clinical trials) [I, B]». Anche se è ancora oggetto di dibattito se la mutazione di BRAF debba precludere l’uso di cetuximab o panitumumab, i dati clinici1,25 suggeriscono che la selezione negativa dei pazienti sulla base di RAS e BRAF permette una selezione molecolare più precisa di coloro che possono giovarsi dell’anti-EGFR. Recentemente, la scelta del trattamento si avvale anche della selezione sulla base del lato del tumore primitivo (colon destro vs sinistro). A tale riguardo, una meta-analisi di 66 studi26 ha dimostrato come i tumori del lato destro abbiano un rischio di morte di oltre il 20% superiore rispetto al lato opposto e al contempo, un’analisi combinata degli studi CRYSTAL e FIRE-327, sembrerebbe indicare anche un ruolo predittivo del lato (ove i tumori del colon dx RASwt non derivano vantaggio dall’aggiunta dell’anti-EGFR). Recentemente una meta-analisi di 13 studi di prima linea con dato disponibile in accordo al lato del tumore confermava che i tumori del colon sinistro beneficiano maggiormente di terapia anti-EGFR rispetto a terapia con anti-angiogenetico (HR=0,71, p=0,0003) di fatto confermando come, oltre a un ruolo prognostico, la sede è predittiva di risposta a farmaci28. Appare quindi semplice pensare che FOLFOX + cetuximab sia una ragionevole e possibile scelta di trattamento di prima linea nei tumori metastatici primitivi del colon di sinistra, RAS e BRAFwt, soprattutto se non esposti in precedenza a oxaliplatino adiuvante (per es., tumori in stadio IV sincroni) e che richiedano un trattamento intensivo come prima enunciato.

Cetuximab e chemioterapia a base di oxaliplatino: riduzione della massa tumorale precoce e maggiore profondità

Una spiegazione del sostanziale vantaggio del trattamento con farmaci anti-EGFR (cetuximab) rispetto al braccio con bevacizumab dello studio FIRE3 è stata l’evidenza di una maggiore profondità (deepness of response: DoR) e tempistica di shrinkage tumorale (early tumor shrinkage: ETS) ottenuta nel braccio con FOLFIRI e cetuximab. In sostanza, il maggiore debulking tumorale ottenuto con cetuximab permetterebbe una ricrescita tumorale temporalmente più lenta a partire dal nadir e fino alla definizione di progressione secondo criteri RECIST. In sostanza la risposta con farmaci anti-EGFR sembra maggiore e più rapida29. Ciò potenzialmente è sfruttabile in una fase di conversione di metastasi inoperabili o di terapia sintomatica in malati con grosso carico di malattia. Un’analisi dello studio OPUS ha confermato come anche con lo schema FOLFOX-cetuximab il dato dell’ETS (>20% di riduzione del carico di malattia nelle prime 6-8 settimane) sia fortemente prognostico e si associ a un rischio di progressione e morte del 30% e del 20% in meno rispetto al gruppo che non ottiene ETS almeno nella popolazione KRAS wt30.

FOLFOX + cetuximab: dati in neoadiuvante

Il dato di OPUS31, incremento della chance di risposta di circa 3,3 volte con FOLFOX-cetuximab rispetto a chemioterapia (FOLFOX) nella popolazione RAS wt è indicativo della potenzialità di tale regime in un’ottica neoadiuvante (terapia di conversione). È noto come l’aggiunta di un biologico incrementi le possibilità di resecabilità nella malattia inoperabile, grazie a una maggiore chance di risposta (1,53 volte rispetto a chemioterapia da sola)32. I dati dello studio CELIM (cetuximab + FOLFOX o FOLFIRI) confermano la bontà del dato di FOLFOX-cetuximab in neoadiuvante in un setting di terapia di conversione33. In tale studio, il braccio FOLFOX-cetuximab, confrontato col braccio FOLFIRI-cetuximab, ha ottenuto lo stesso outcome (il conseguimento di circa 3 anni di OS mediano nella popolazione KRAS wt). Il dato più suggestivo è la mediana di OS nei pazienti resecati R0 (53 mesi di mediana di OS nella popolazione globale vs 21,9 nei non resecati). I dati che maggiormente colpiscono sono il valore prognostico della risposta (RP o RC) e della resezione dopo risposta. In tale ultimo sottogruppo, infatti, il rischio di morte è di circa il 60% inferiore rispetto ai pazienti responder ma non resecati. L’analisi delle risposte nella popolazione RAS/BRAF wt nello studio OPUS mostra un dato di ORR del 62% che rende quindi tale schedula ottimale per una scelta di conversione di terapia31. Questi sono a favore di un utilizzo precoce di cetuximab e chemioterapia nell’ottica della conversione a resezione epatica R0. Nello studio CELIM i pazienti resecati presentano un OS a 5 anni di circa il 50%, una percentuale di lungo sopravviventi certamente notevole. La rilevanza del dato clinico (tasso di risposte nei pazienti biomarker selected di oltre il 60%) e la superiorità della combinazione con anti-EGFR rispetto a quella con bevacizumab in resezioni di metastasi, rende FOLFOX-cetuximab una delle schedule più attive nei tumori colorettali RAS/BRAFwt dove l’endpoint primario di cura è la riduzione e quindi la sopravvivenza a lungo termine in caso di successiva conversione e resezione R0.

Scenari clinici: stadio 4 all’esordio

L’algoritmo terapeutico per il paziente che si presenta già metastatico alla diagnosi si è modificato nel corso degli ultimi anni, e per il futuro si prevede una maggiore complessità, grazie a un armamentario terapeutico sempre più ricco.

Di seguito presenteremo alcune considerazioni che non possono essere certamente esaustive di ogni singolo caso ma che possono contribuire a offrire spunti di riflessione per la migliore pratica clinica.

A monte di ogni decisione in merito alla terapia di prima linea, oggi è d’obbligo oltre alla valutazione globale del paziente (età, performance status, comorbilità, ecc.) conoscere le caratteristiche biologiche della malattia, e cioè determinare lo stato di RAS e RAF, nonché la farmacogenomica di quel singolo paziente (per fluoropirimidine, platino derivati e irinotecan). Questa è la base da cui partire per scegliere, anche sulla scorta del carico di malattia, quale sia la finalità terapeutica, e cioè se si tratti di una malattia ancora riconvertibile a chirurgia, oppure se l’obiettivo sia la cronicizzazione del tumore con attenzione alla qualità della vita oltre che al prolungamento della stessa.

Gli studi precedentemente descritti hanno dimostrato quale sia l’impatto dell’aggiunta dell’anticorpo EGFR agli schemi tradizionali di polichemioterapia, con particolare focus sulla combinazione FOLFOX + cetuximab; nel ragionare sulla prima linea di trattamento occorre però considerare anche il possibile utilizzo di altre molecole (l’anti-EGFR panitumumab e l’anti-VEGF bevacizumab) e di differenti regimi chemioterapici (la tripletta FOLFOXIRI, il FOLFIRI/­XELIRI, la sola capecitabina), nonché della loro sequenza: infatti è molto importante pianificare fin da subito il programma di cura, avendo chiara la possibile sequenza delle varie linee terapeutiche onde evitare scelte poco ponderate e approssimative che possano inficiare eventuali decisioni successive.

Nel paziente portatore di mutazione somatica per RAS vi sono al momento minori difficoltà nella scelta della cura, in quanto la decisione sul biologico, laddove sia indicato, è limitata al solo bevacizumab. Il regime chemioterapico d’accompagnamento dipenderà poi principalmente dall’esperienza e dalla sensibilità del clinico in relazione allo stato di malattia e agli effetti avversi attesi, scelta da condividersi come sempre anche con il paziente in funzione delle sue priorità (per es., possibile alopecia da irinotecan versus neuropatia periferica da oxaliplatino).

Nel paziente portatore di mutazione del gene BRAF, con malattia quindi a peggiore prognosi, laddove possibile occorre considerare l’utilizzo della tripletta chemioterapica.

Nel paziente RAS wt il grande quesito se sia meglio l’utilizzo in prima linea dell’anti-EGFR o del bevacizumab – questione non ancora definitivamente chiarita dagli studi clinici, fatte salve le indicazioni più recenti emerse riguardo la sede di origine della neoplasia (la questione di lato) – potrebbe avere risposta nella finalità terapeutica di cui si accennava all’inizio del capitolo. Un dato solido e coerente che emerge dagli studi clinici è sicuramente l’alta percentuale di risposte che si ottiene con l’utilizzo del cetuximab; quindi nella malattia oligometastatica limitata al fegato e non operabile d’emblée la scelta potrebbe cadere su quest’ultimo, con il fine di rendere possibile la chirurgia delle metastasi e quindi di migliorare la prognosi del paziente.

Un’ultima considerazione importante nella scelta dell’anticorpo di prima linea proviene dalla biologia. In diversi studi sembrerebbe esserci evidenza di una minore possibilità di inibizione del pathway di EGFR dopo utilizzo dell’anticorpo anti-VEGF che induce ipossia, dovuto ad attivazione del segnale RAS EGFR-indipendente e trasformazione del fenotipo neoplastico in senso mesenchimale34,35. Viceversa il blocco iniziale del segnale di EGFR non avrebbe impatto sull’efficacia terapeutica successiva dell’antiangiogenetico35,36.

Scenari clinici: ricaduta entro o dopo 12 mesi da oxaliplatino adiuvante

Esiste poi il caso particolare di un paziente che, al termine della chemioterapia adiuvante con FOLFOX/XELOX, sviluppi malattia metastatica. È questa una situazione che non differisce molto da quella precedentemente esposta cioè una neoplasia probabilmente già avanzata all’atto chirurgico se non per il fatto di avere già utilizzato un regime con oxaliplatino.

A tutte le considerazioni precedenti bisognerà aggiungerà il criterio temporale: se la ricaduta avviene nell’ordine di pochi mesi dal termine del trattamento adiuvante sarà probabilmente necessario cambiare la chemioterapia, anche per non sottoporre il paziente alle stesse tossicità cumulative (neuropatia) dei sei mesi precedenti; andrà poi scelto quale anticorpo accompagnare alla nuova chemioterapia.

Nel caso di una recidiva che avvenga più tardivamente, e cioè successivamente all’anno dopo il termine dell’adiuvante, si potrebbe anche riconsiderare nella scelta terapeutica il rechallenge dell’oxaliplatino, possibilmente associato all’anti-EGFR o all’antivascolare, riconsiderando comunque tutti i criteri discussi nel capitolo precedente.

Conclusioni

Il trattamento del carcinoma colon-rettale metastatico è cambiato enormemente nell’ultima decade. Dalla vecchia sequenza FOLFOX-FOLFIRI vs FOLFIRI-FOLFOX che in sostanza confermava che il beneficio atteso nel paziente era legato alla possibilità di ricevere tutti i farmaci attivi (solo oxaliplatino e irinotecan) si è passati a un concetto di continuum di cura dove diverse linee terapeutiche sono ora disponibili e vanno sapientemente utilizzate nell’ottica della migliore strategia disponibile. In tale senso, i dati dello studio FIRE-3 e CALGB hanno dimostrato come chemioterapia + anti-EGFR rappresenti ancora la migliore combinazione di prima linea almeno per i tumori “left sided” rispetto a chemioterapia da sola o con bevacizumab. Abbiamo oggi almeno 4 studi disponibili (PRIME, PEAK, OPUS e TAILOR; la figura 1 mostra il dato aggregato di OS), in particolare, che dimostrano la superiorità di un regime contenente oxaliplatino (rigorosamente FOLFOX) e farmaci anti-EGFR rispetto a un braccio di controllo standard con o senza bevacizumab, almeno in termini di ORR e PFS e in 2 casi anche OS (PRIME e TAILOR).

Tali combinazioni, rappresentano oggi una scelta di pari efficacia rispetto a FOLFIRI-cetuximab, nei pazienti metastatici (sincroni o metacroni) con tumore RAS e BRAF wt, pretrattati o meno con chemioterapia adiuvante (anche contenente oxaliplatino a condizione che tale trattamento non abbia residuato neuropatia residua e sia terminato almeno 12-24 mesi prima).




Conflitto di interessi: F. Petrelli e A. Ghidini dichiarano l’assenza di conflitto di interessi; A. Zaniboni negli ultimi cinque anni ha partecipato ad advisory board per conto di Roche, Amgen, Merck, Bayer, Celgene, Sanofi.

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