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Non si può non partire dall’editoriale di apertura di Paolo Cornaglia Ferraris, che riprende un intervento breve e interessante di Jerry Avorn uscito sul New England Journal of Medicine. Riguarda il modo con il quale i medici generalmente prendono decisioni. A sua volta, Avorn fa propri gli argomenti di altri autori come Gerd Gigerenzer, direttore dello Harding Center for Risk Literacy al Max Planck Institute e David Spiegenhalter, del Winton Centre for Risk and Evidence Communication. Sono due studiosi – come del resto Avorn – che svolgono ricerche preziose e che le restituiscono in modo da arricchire chiunque li segua. «Nel calcio, non puoi calcolare la migliore risposta. È un’area in cui l’euristica, o la legge delle regole semplici, è la più efficace. Sovraccaricare i calciatori di informazioni prima della partita può non essere una buona idea se si desidera un decision-making ottimale», spiega per esempio Gigerenzer. Quello che sta succedendo alla medicina è proprio il sovraccarico di informazioni: Cornaglia e Avorn spiegano che, in fin dei conti, l’insieme di dati e notizie non si rivela sempre utile per informare correttamente il medico, che alla fine sceglie sulla base di meccanismi particolari, non sempre logici e razionali. Resta da vedere se farsi guidare dall’istinto – che per un grande calciatore quasi sempre si traduce in spettacolo – è la cosa migliore non tanto per il medico, quanto per il malato.

All’origine dell’overload informativo c’è una produzione incessante di ricerca clinica, purtroppo di qualità non sempre eccellente. I dati pubblicati da JAMA Oncology come rendiconto dell’attività del 2017 danno un’idea chiara della situazione1: ogni anno la rivista riceve circa 2000 proposte di pubblicazione e 1755 sono resoconti di attività di ricerca. Meno del 10% è una meta-analisi, in altre parole un documento di sintesi delle evidenze disponibili. Solo 8 articoli di ricerca su 100 sono accettati per la pubblicazione, al termine di un percorso che dura mediamente 137 giorni: quattro mesi e mezzo. Un dato salta agli occhi: i contributi di riflessione clinica o di politica sanitaria che arrivano alla rivista sono un decimo del totale e la acceptance rate è doppia rispetto a quella di contributi di ricerca. È un dato da correlare all’attenzione che questa rivista dimostra per l’influenza che i contenuti pubblicati riescono ad avere sulla società civile: quasi 30 mila follower su Facebook e più di 10 mila su Twitter sono un risultato straordinario per una rivista accademica specialistica, che si traduce in quasi 8 mila citazioni ottenute sui media nell’arco dei 12 mesi. JAMA Oncology è un esempio di rivista costruita soprattutto per chi legge e non prevalentemente per chi scrive. È una caratteristica che la rende diversa e che sta contribuendo alla sua affermazione.

«Un osservatorio esclusivo e autonomo che è anche un laboratorio di riflessione, valutazione e informazione attraverso strumenti come l’affidabilità e la rilevanza dei dati, l’equilibrio tra benefici e rischi e tra costi e benefici, l’indipendenza da conflitti di interessi, l’obiettivo reale di contribuire a un miglioramento, progressivo ed equamente distribuito, del livello di salute di popolazione». La descrizione degli obiettivi e dei principi che informano il lavoro di Ricerca&Pratica, raccontanti dal direttore Maurizio Bonati, funziona anche per il JAMA Oncology come per un’altra bella la rivista della American Medical Association, JAMA Internal Medicine, diretta da Rita Redberg. Riviste come specchio di un mondo in costante cambiamento, strumenti per ridefinire e aggiornare costantemente la vita personale e professionale alla luce delle evidenze prodotte. E di quelle che, purtroppo, continuano a essere trascurate o nascoste.

Bibliografia

1. Disis ML. JAMA Oncology. The Year in Review, 2017. JAMA Oncol. Published online March 08, 2018.

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