Attività ed efficacia di vinflunina in terza linea
in paziente con carcinoma uroteliale avanzato
della pelvi renale
, in progressione a immunoterapia

Alessandro Gamboni1, Claudia Casanova1, Vincenzo Salerno1, Claudio Dazzi1

1Servizio di Oncologia, AUSL Romagna, Lugo (Ravenna)

Pervenuto il 13 novembre 2018.

Riassunto. Il caso clinico riguarda una donna di 72 anni con diagnosi di carcinoma uroteliale della pelvi renale con metastasi epatiche e linfonodali. La malattia risultava in rapida progressione a una prima linea di chemioterapia con platino e a una seconda linea con immunoterapia; si osservava invece un beneficio clinico e strumentale alla vinflunina utilizzata come regime di terza linea.

Parole chiave. Atezolizumab, carcinoma uroteliale metastatico, chemioterapia, immunoterapia, vinflunina.

Activity and efficacy of vinflunine in third line in patients with advanced urothelial carcinoma of the renal pelvis, progressing to immunotherapy.

Summary. The clinical case concerns a 72-years-old woman diagnosed with an urothelial carcinoma of the renal pelvis with hepatic and lymph node metastases. The disease was rapidly progressing to a first line of platinum-based chemotherapy and to a second line with immunotherapy; a clinical and instrumental benefit was then observed with vinflunine used as third line regimen.

Key words. Atezolizumab, chemotherapy, immunotherapy, metastatic urothelial carcinoma, vinflunine.

Introduzione

I tumori dell’urotelio prendono origine dall’epitelio di transizione che tappezza le vie escretrici urinarie. Possono essere localizzati nel tratto urinario superiore (bacinetto renale/pelvi renale, uretere) o più frequentemente nel tratto urinario inferiore (vescica e uretra prostatica).

In Italia nel 2016 si sono registrati 26.600 nuovi casi di tumore della vescica (21.400 tra gli uomini e 5200 tra le donne) pari all’11% e 3% di tutti i tumori incidenti, mentre i tumori dell’alta via escretrice sono stati circa 3600 negli uomini e 400 nelle donne.

Il carcinoma vescicale rappresenta il quarto tumore più frequente nei maschi con percentuali pari al 6%, 10% e 12 % nelle fasce di età 0-49 anni, 50-69 anni e oltre 70 anni, rispettivamente. È meno frequente nelle donne, ove incide per l’1-4% di tutti i tumori nelle diverse fasce di età1.

Al momento della diagnosi circa il 60% dei tumori uroteliali è di tipo superficiale (non infiltra la tonaca muscolare), il 25% si presenta con infiltrazione della muscolare, mentre il 15% presenta già metastasi a distanza.

Il trattamento standard dei tumori vescicali infiltranti prevede la cistectomia totale associata a chemioterapia adiuvante o neoadiuvante. Per quanto riguarda le neoplasie delle alte vie escretrici, le forme ad alto rischio vengono sottoposte a nefroureterectomia totale, mentre quelle a basso rischio possono essere candidabili a una chirurgia conservativa.

Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni nella tecnica chirurgica, la sopravvivenza è ancora strettamente dipendente dallo stadio patologico. Circa la metà dei casi sottoposti a chirurgia radicale per malattia muscolo-infiltrante sviluppa una ripresa locale o a distanza entro 2 anni, e la sopravvivenza a 5 anni non supera il 50% dei casi.

Gli schemi di chemioterapia contenenti cisplatino rappresentano lo standard di trattamento del carcinoma uroteliale avanzato in prima linea2-4.

La vinflunina è un alcaloide della vinca di terza generazione. È stata approvata in Europa per il trattamento del carcinoma uroteliale metastatico dopo fallimento a una precedente linea contenente platino.

In uno studio di fase III randomizzato 2:1 verso la Best Supportive Care (BSC) sono stati arruolati 370 pazienti. Nello studio erano inclusi soltanto pazienti trattati con derivati del platino in prima linea per malattia metastatica. Sebbene la sopravvivenza mediana non raggiungesse la significatività statistica nella popolazione in toto (370 pazienti), la vinflunina prolungava significativamente la sopravvivenza mediana di 2,6 mesi nella popolazione eligibile (357 pazienti senza violazioni maggiori dei criteri d’inclusione).

L’analisi finale dopo oltre 40 mesi di follow-up ha confermato gli stessi risultati positivi5,6.

I dati di efficacia si sono confermati simili anche nella “real life”7-9. La tossicità principale è stata la neutropenia, che è risultata gestibile mediante le dovute riduzioni di dose. Anche l’accorgimento di iniziare con dose ridotta a 280 mg/m2 ogni 3 settimane in base al Performance Status o a eventuale radioterapia in sede pelvica e salire fino a 320 mg/m2 in assenza di eventi avversi severi si è dimostrata una gestione fattibile della terapia.

Il carcinoma dell’urotelio presenta un elevato carico di mutazioni somatiche. L’immunoterapia è stata testata e si è dimostrata efficace.

In particolare, atezolizumab e pembrolizumab sono stati approvati dall’Agenzia Regolatoria Europea per il trattamento di pazienti con carcinoma uroteliale metastatico dopo progressione a regimi contenenti platino10,11.

Purtroppo, nonostante l’incremento delle opzioni terapeutiche, l’aspettativa di vita raramente supera i 18 mesi.

Caso clinico

Riportiamo il caso di una donna di 72 anni, in discrete condizioni generali, con performance status secondo ECOG 1, peso 43 kg, nessuna allergia, fumatrice attiva di 50 pacchetti/anno, sindrome ansioso-depressiva e BPCO GOLD 1 entrambe in terapia medica.

In anamnesi oncologica si segnala asportazione mediante TURV di carcinoma uroteliale G2 superficiale della vescica (pT1) nel 2008. La paziente aveva sospeso volontariamente il programma di follow-up nel 2011.

Nel gennaio 2017 giungeva alla nostra osservazione per comparsa di macroematuria e dolore addominale. Una TC eseguita in data 28.12.2016 aveva riscontrato la presenza di lesione ipodensa di 15 mm a livello dell’VIII segmento epatico e alterazione strutturale del rene sinistro al terzo medio-inferiore con estensione di 5,4 × 3,5 cm. Si evidenziava, inoltre, la presenza di pacchetto linfonodale paraortico sinistro delle dimensioni di 3,2 × 3,8 × 6,7 cm.

In data 19.01.2017 la paziente veniva sottoposta a biopsia epatica. L’esame istologico deponeva per localizzazione di carcinoma scarsamente differenziato di origine uroteliale a partenza dalla pelvi renale. La paziente veniva quindi avviata a un programma di chemioterapia.

Da febbraio 2017 a maggio 2017 riceveva chemioterapia secondo lo schema carboplatino-gemcitabina per 5 cicli12 (carboplatino AUC 5 gg 1 + gemcitabina 1000 mg/m2 gg1-8/28 gg).

Il trattamento veniva mal tollerato per tossicità midollare (anemia e piastrinopenia G3), con necessità di supporto trasfusionale a ogni interciclo.

La TC di rivalutazione eseguita dopo il terzo e quinto ciclo mostrava una stabilità di malattia secondo i criteri RECIST.

La successiva rivalutazione eseguita nel luglio 2017 evidenziava un quadro di progressione con incremento di tutte le lesioni in precedenza segnalate.

Nell’agosto 2017 la paziente iniziava una terapia con atezolizumab alla dose di 1200 mg a cadenza trisettimanale nell’ambito di un programma di Expanded Access che prevedeva l’inserimento di pazienti con carcinoma uroteliale in fase avanzata in progressione da platino indipendentemente dalla determinazione dell’espressione di PD-L1.

Nell’ottobre 2017 la TC di rivalutazione eseguita dopo il quarto ciclo mostrava una ulteriore progressione con comparsa di plurime lesioni epatiche e linfonodali retro-peritoneali (figura 1).

In considerazione della buona cenestesi (PS 1 sec ECOG), la paziente veniva avviata a un trattamento chemioterapico di terza linea con vinflunina. Dato il punteggio di PS secondo ECOG pari a 1, si è optato per la dose di 280 mg/m2 ogni 3 settimane.

Da ottobre 2017 a maggio 2018 ha eseguito 10 cicli di terapia.

Il trattamento è stato ben tollerato in assenza di tossicità severa.

Nel dicembre 2017 la TC eseguita dopo il terzo ciclo mostrava un quadro di risposta parziale secondo i criteri RECIST (figura 2), confermato alla TC di marzo 2018 (dopo il sesto ciclo) e di maggio 2018 dopo il decimo ciclo (figura 3).







Nel giugno 2018 la paziente accedeva al Pronto Soccorso per comparsa di febbre neutropenica, associata ipotensione e stranguria con necessità di ricovero. Emo e urino-colture positive per Staphylococcus aureus; dopo 10 gg di terapia antibiotica si assisteva a una remissione del quadro settico con recupero dei valori ematici.

Al momento della dimissione le condizioni cliniche e cenestesiche della paziente risultavano tuttavia peggiorate e veniva avviato un percorso di terapia di supporto presso il servizio di assistenza domiciliare oncologica. La paziente è deceduta circa 2 mesi dopo, in seguito a ulteriore infezione urinaria con complicanza settica.

Discussione

Il caso clinico descritto riguarda una donna di età >70 anni, fumatrice, affetta da sindrome ansioso-depressiva, in terapia medica da molti anni. La scelta in prima linea di utilizzare il carboplatino, in associazione a gemcitabina, è stata determinata sia dall’età sia dalla complessità caratteriale e comportamentale della paziente.

L’opzione atezolizumab alla progressione da platino è stata determinata dallo scarso beneficio clinico ottenuto dal trattamento con chemioterapia in termini di eventi avversi di grado 3/4 e di brevissimo intervallo libero da progressione. Atezolizumab era a quel tempo disponibile nell’ambito di un programma di Expanded Access che ne prevedeva l’utilizzo in pazienti con malattia metastatica in progressione da chemioterapia, indipendentemente dalla determinazione dell’espressione di PD-L1.

Purtroppo, dopo appena quattro cicli, comunque ben tollerati, la paziente è andata incontro a un rapido e severo peggioramento per la comparsa di numerose localizzazioni epatiche e la ripresa della macroematuria. Il valore del CEA era di 300 ng/L.

Le opzioni terapeutiche, in una paziente con >70 anni, con due linee, di cui una immunoterapica, già praticate nell’arco di un breve periodo dalla diagnosi, con precedente severa tossicità midollare G3-4 e metastasi viscerali epatiche, erano a quel punto limitate a vinflunina o taxani in monoterapia.

Si è optato per vinflunina iniziando, in funzione del PS pari a 1 e delle pregresse tossicità midollari, alla dose di 280 mg/m2 ogni 3 settimane con stretto monitoraggio dell’emocromo e della funzionalità renale.

Durante i dieci cicli di vinflunina, non si è mai verificata la necessità di supporto con fattori di crescita e/o emotrasfusioni; solo negli ultimi due cicli il trattamento è stato rinviato di una settimana per la comparsa di astenia G٢.

I vari controlli TAC hanno mostrato una sensibile riduzione di malattia, in particolare a livello delle localizzazioni epatiche e il CEA si è normalizzato.

Purtroppo l’equilibrio della paziente si è scompensato per la comparsa di una gravissima sepsi urinaria, con necessità di ricovero ospedaliero che ha anche instaurato uno scompenso a livello cognitivo rendendo complicata la successiva gestione domiciliare a quel punto a base di sola terapia di supporto.

Grazie al trattamento con vinflunina la paziente ha potuto comunque beneficiare di un periodo libero da progressione di 8 mesi, con una buona qualità di vita e una buona tolleranza al trattamento in termini di eventi avversi.

Conclusioni

Questo caso clinico mostra l’efficacia di vinflunina anche in terza linea, a fallimento da terapia con platino e poi immunoterapia. Come noto la percentuale di pazienti che ottengono una risposta al trattamento con immunoterapia è dell’ordine del 20%10,11. La nostra paziente presentava malattia in progressione epatica e non ha ottenuto risposta al trattamento immunoterapico, evidenziando una franca progressione con comparsa di nuove lesioni epatiche e linfonodali.

Nonostante l’età avanzata, le comorbilità, i precedenti trattamenti e lo stato di avanzamento della malattia, la paziente era motivata a proseguire le cure, e vinflunina ha rappresentato un’ulteriore chance terapeutica che ha prodotto un interessante beneficio clinico.

Dichiarazione: questo lavoro è stato realizzato grazie a un contributo non vincolante di Pierre Fabre.

Conflitto di interessi: A.G. ha percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico; gli altri autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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