Trattamento dell’epatite cronica B
Linee guida dell’European Association
for the Study of the Liver (EASL)


A cura dell’European Association for the Study of the Liver (EASL) è stato pubblicato un aggiornamento delle linee guida per il trattamento dell’epatite cronica B (ECB) (European Association for the Study of the Liver: EASL clinical practice guidelines. Management of chronic hepatitis B. J Hepatol 2009; 50: 227). L’EASL precisa che lo scopo di queste linee guida non è quello di trattare della prevenzione e della vaccinazione, ma di discutere i molti problemi che ancora persistono nel formulare la terapia.
L’EASL premette a queste linee guida una sintesi dei dati oggi disponibili sull’epidemiologia dell’ECB ricordando che lo spettro di questa malattia può variare da uno stato di portatore del virus dell’epatite B (HBV) con basso livello viremico a una epatite cronica progressiva che può evolvere verso la cirrosi e/o il carcinoma epatocellulare (CEC). L’ECB può presentarsi come HBeAg positiva o HBeAg negativa. La prima forma è data da HBV del tipo cosiddetto “selvaggio” e rappresenta la fase iniziale dell’infezione dell’ECB. La forma HBeAg negativa è causata dalla replica delle varianti naturali di HBV con varie sostituzioni nucleotidiche e rappresenta la fase tardiva dell’infezione. Nell’ultimo decennio si è verificato un aumento dell’incidenza della forma HBeAg negativa in conseguenza dell’avanzare dell’età della popolazione infetta da HBV.
La morbilità e la mortalità per ECB sono legate alla persistenza della replica virale e all’evoluzione verso la cirrosi e il CEC. L’EASL riporta i dati relativi all’incidenza della cirrosi (8-20%), dello scompenso epatico (circa il 20%) e quelli della sopravvivenza (circa 80-90%) dei pazienti con cirrosi compensata, ma ricorda che la cirrosi “scompensata” comporta una prognosi sfavorevole con probabilità di sopravvivenza a 5 anni dal 14 al 35%. Richiama inoltre l’attenzione sull’aumento dell’incidenza del CEC, in gran parte dovuto alle infezioni da HBV e da virus dell’epatite C (HCV).

In queste linee guida viene tracciata la storia naturale dell’ECB che viene schematicamente divisa in 5 fasi.

1) Fase di “immunotolleranza”, caratterizzata da HBeAg -positività e alti livelli di replica di HBV, che si riflettono nel reperto di elevati livelli sierici di HBV DNA, normali o bassi livelli di aminotransferasi, lievi o assenti aspetti necroinfiammatori del fegato e lieve o assente progressione verso la fibrosi (Look AS, Mac Mahon BJ. Chronic hepatitis B. Hepatology 2007; 45: 507). Questa fase iniziale, nella quale la perdita di HBeAg è molto modesta, è più frequente e prolungata nei pazienti infettati in utero o nel primo anno di vita. La possibilità di contagio è particolarmente elevata.
2) Fase “immuno-reattiva”, caratterizzata da HBeAg -positività, bassi livelli di replica con bassi livelli sierici di HBV DNA, livelli di aminotransferasi aumentati, oppure oscillanti, necroinfiammazione moderata o grave, e più rapida progressione della fibrosi. Questa fase può durare molte settimane o molti anni, con accresciuta perdita di HBeAg ed è di più frequente in età adulta.

3) Fase di “portatore inattivo di HBV”, che fa seguito alla conversione da HBeAg ad HBeAb ed è caratterizzata da livelli bassissimi o non misurabili di HBV DNA e normali livelli di aminotransferasi. L’esito a lungo termine è favorevole in conseguenza del controllo immunologico, con minore rischio di cirrosi e di CEC.

4) Fase “HBeAg -negativa”, che può fare seguito alla sieroconversione da HBeAg e HBeAb, rappresentando una fase tardiva della storia naturale dell’ECB. In questa fase si possono verificare periodicamente riattivazioni con livelli fluttuanti di HBV DNA, di aminotransferasi e di infiammazione epatica. I pazienti sono HBeAg -negativi, con presenza di varianti di HBV con sostituzioni di nucleotidi nelle regioni promotrici del pre-core e/o del core basale, che non possono esprimere bassi livelli di HBeAg. Si possono verificare remissioni spontanee e prolungate. L’EASL richiama l’attenzione sulla difficoltà di distinguere veri inattivi portatori di HBV, che presentano una buona prognosi con basso rischio di complicanze, dai pazienti con ECB attiva HBeAg -negativa che hanno un’epatite attiva con alto rischio di progressione verso fibrosi epatica avanzata, cirrosi e CEC. Un controllo ogni 3 mesi di alanino-aminotransferasi (ALT) e di HBV DNA consente di solito di identificare le variazioni dell’attività della malattia.

5) L’EASL ricorda che nella fase “HBeAg -negativa”, dopo la perdita di HBeAg, può persistere un basso livello di replica di HBV DNA nel siero, con HBV DNA nel fegato e che, in genere, HBV DNA non è misurabile nel siero, mentre sono identificabili anticorpi HBcAb con o senza HBsAb. L’importanza clinica di un’infezione occulta da HBV, caratterizzata da <200 UI/mL di HBV DNA nel sangue con HBV DNA non misurabile nel fegato, non è attualmente chiarita (Raimondo G, Allain JP, Brunetto MR, et al. Statements from the Taormina expert meeting on occult hepatitis B virus infection. J Hepatol 2008; 49: 652) e vi è la possibilità che l’immunodepressione possa condurre a riattivazione virale in questi pazienti.

Nella parte dedicata alla pratica clinica di trattamento dell’ECB, viene discussa una serie di problemi.

1) Valutazione dell’epatopatia prima del trattamento. In primis l’EASL consiglia di stabilire il rapporto causale tra infezione da HBV e danno epatico e di valutarne la gravità. Ricorda che non tutti i pazienti con ECB hanno aminotransferasi persistentemente aumentate; ad esempio, quelli che si trovano nella fase di immunotolleranza hanno ALT anche persistentemente normali, mentre i pazienti con ECB HBeAg -negativa possono presentare livelli di ALT intermittentemente normali. È dunque indispensabile un controllo a lungo termine del decorso della malattia; sono elencate le procedure consigliate:
a) valutazione della gravità dell’epatopatia mediante misura di biomarcatori, come aspartato-aminotransferasi (AST) e alanino-aminotransferasi (ALT), gamma-glutamil-transferasi (γGT), fosfatasi alcalina, tempo di protrombina, sieroalbumina, esame emocromocitometrico. Si deve tenere presente che di solito i livelli di ALT sono superiori a quelli di AST, tranne – quando l’epatite procede verso la cirrosi – quando questo rapporto si inverte. L’EASL ricorda che una progressiva diminuzione dell’albuminemia e un prolungamento del tempo di protrombina, spesso associati a piastrinopenia, sono osservati quando si è già instaurata una cirrosi;
b) si conferma che per la diagnosi è essenziale accertare la presenza di HBV DNA e misurarne il livello, anche al fine di decidere il trattamento e il conseguente controllo del paziente; a motivo della sensibilità, della specificità e dell’accuratezza della reazione polimerasica a catena (PCR) questo metodo è fortemente raccomandato dall’EASL per la misura dell’HBV DNA; la concentrazione sierica di HBV DNA va espressa in IU/mL;
c) è necessario ricercare altre cause di danno epatico cronico, comprese le infezioni da epatite da virus D (HDV), epatite da virus C e da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV), oltre ad altre condizioni patologiche come epatopatie alcoliche, autoimmuni, metaboliche, epatosteatosi e steatoepatite.
d) l’EASL consiglia una biopsia epatica per stabilire l’entità della necroinfiammazione e della fibrosi nei pazienti con aumento delle ALT e/o con livello di HBV DNA > 2000 IU/mL; secondo le linee guida, questi esami hanno importanza per decidere l’inizio della terapia; in particolare, la biopsia è utile per valutare altre possibili cause di epatopatia, come epatosteatosi o steatoepatite. L’EASL richiama l’attenzione sulle dimensioni del frammento bioptico al fine di poter precisare l’entità del danno epatico e della fibrosi.
In genere la biopsia non è necessaria nei pazienti con chiara evidenza clinica di cirrosi o quando il trattamento è indicato indipendentemente dal grado di attività o dallo stadio della fibrosi. In epoca più recente, per la valutazione della fibrosi sono impiegati sempre più frequentemente metodi non invasivi come marcatori sierologici ed elastografia transiente (Poynard T, Morra R, Halfon P, et al. Meta-analyses of Fibro-Test diagnostic value in chronic liver disease. BMC Gastroenterol 2007; 7: 40. Della Valle S, Branchi F, Rigamonti C, et al. L’elastografia transiente. Recenti Prog Med 2009; 100: 195).




L’EASL sottolinea che lo scopo della terapia dell’ECB è quello di migliorare la qualità della vita e la sopravvivenza, prevenendo la progressione della malattia verso la cirrosi, la cirrosi scompensata, il danno epatico terminale, il CEC e l’obitus. Ciò può essere ottenuto se si riesce a sopprimere la replica del virus e, conseguentemente, a ridurre l’attività istologica dell’epatite, riducendo il rischio di cirrosi e di CEC. L’EASL avverte, tuttavia, che l’infezione da HBV non può essere completamente eradicata, a causa della persistenza nel nucleo degli epatociti infettati di DNA circolare covalentemente chiuso (cccDNA).

Viene data conferma che il punto di riferimento della terapia è la riduzione di HBV DNA al livello più basso possibile, idealmente al di sotto del limite inferiore ottenibile con la PCR (10-15 IU/mL), per consentire una soppressione virologica che conduca alla remissione biologica, al miglioramento del quadro istologico e alla prevenzione delle complicanze. Infatti la riduzione di HBV DNA indotta dal trattamento con interferon alfa o con analoghi nucleosidici/nucleotidici (NUC) si associa alla remissione della malattia e riduce anche il rischio di resistenza ai NUC, accrescendo la probabilità di sieroconversione di HB e nei pazienti HBeAg-positivi e della perdita di HBsAg nel medio e lungo termine nei pazienti HBeAg-positivi e HBeAg-negativi, con o senza sieroconversione da HBsAg-positivi ad anti- HBs.
L’EASL ricorda che nel trattamento dell’ECB si possono usare due tipi di farmaci: interferon alfa e NUC. La definizione della riposta varia secondo il tipo di terapia: 1) terapia con interferon alfa: a) non-risposta primaria è definita una riduzione di HBV DNA di meno di 1log10 IU/mL dal livello iniziale, b) risposta virologica è definito un livello di HBV DNA inferiore a 2000 IU/mL dopo 24 settimane di terapia; c) risposta sierologica è definita la sieroconversione di HBe nei pazienti HBeAg-positivi; 2) terapia con NUC: a) non-risposta primaria è definita una riduzione di HBV DNA di meno di 1 log10 IU/mL dal livello iniziale, b) risposta virologica è definito un livello di HBV DNA non misurabile con la PCR entro 48 settimane di terapia; c) parziale risposta virologica è definita una riduzione di HBV DNA di oltre 1 log10 IU/mL, ma con HBV DNA misurabile alla PCR; questa risposta virologica parziale dovrebbe essere valutata per modificare la terapia alla 24a settimana nel caso siano usati farmaci “moderatamente” potenti o con una bassa barriera genetica alla resistenza (lamivudina e telbivudina) o farmaci “altamente” potenti alla 48a settimana o farmaci con più alta barriera genetica alla resistenza o con emergenza tardiva di resistenza (entecavir, adefovir e tenofovir); d) insuccesso virologico è definito un aumento, confermato, di HBV DNA di oltre 1 log10 IU/mL rispetto al più basso valore (nadir) di livello di HBV DNA in corso di trattamento; questa risposta precede di solito un insuccesso biochimico indicato da aumento del livello di ALT; l’EASL sottolinea che le cause principali sono la scarsa aderenza del paziente al trattamento e la selezione di varianti di HBV farmacoresistenti; e ) la resistenza di HBV ai NUC è caratterizzata da selezione di varianti del virus con sostituzioni di aminoacidi che conferiscono una minore sensibilità ai farmaci; questa resistenza può dar luogo a insuccesso primario della terapia o a progressione virologica in corso di terapia.

L’EASL conferma che le indicazioni al trattamento dell’ECB si fondano principalmente sulla valutazione di tre parametri: 1) livello sierico di HBV DNA, 2) livello sierico delle aminotransferasi: e 3) entità e stadio del danno istologico. Il trattamento dovrebbe essere preso in considerazione quando il livello di HBV DNA supera 2000 IU/mL (circa 10000 copie/mL) e/o quando la concentrazione sierica delle ALT supera il limite massimo normale e quando il quadro bioptico o degli indici non invasivi mostrano necroinfiammazione e/o fibrosi da moderate a gravi. Si deve inoltre tenere conto dell’età, delle condizioni cliniche generali e, a tutt’oggi, della disponibilità di farmaci antivirali nei vari paesi.
L’EASL richiama l’attenzione sul trattamento dell’ECB in alcuni particolari gruppi di pazienti: a) pazienti immunotolleranti: molti di questi sono al di sotto di 30 anni di età, hanno livelli di ALT persistentemente normali con elevati livelli di HBV DNA (di solito > 107 IU/mL), senza che vi sia sospetto di epatopatia e senza anamnesi famigliare di CEC o cirrosi; questi pazienti non richiedono immediatamente una biopsia, né l’inizio di un trattamento, ma è obbligatorio un controllo del decorso; b) pazienti con una ECB lieve: se il livello delle ASL è modicamente aumentato (meno di 2 volte il valore massimo normale) e il quadro istologico è lieve, può non essere richiesta terapia, ma è obbligatorio il controllo del decorso; c) pazienti con cirrosi compensata e misurabili livelli di HBV DNA: si può prendere in considerazione la terapia anche se il livello delle ALT è normale e/o il livello di HBV DNA è inferiore a 2000 IU/mL (circa 10000 copie/mL); d) pazienti con cirrosi scompensata: questi soggetti richiedono un trattamento urgente per ottenere rapida e profonda soppressione virale e prevenire la comparsa di farmacoresistenza; nei casi di danno epatico molto avanzato, la terapia non sempre può essere efficace in uno stadio così tardivo e deve essere preso in considerazione il trapianto di fegato.

L’EASL si sofferma sugli indici che possono consentire il prevedere la risposta alla terapia:

1) Nel trattamento con interferon alfa.
a) I fattori che prima del trattamento permettono di prevedere la sieroconversione di HBe sono una bassa carica virale (al di sotto di 107 IU/mL o di 7 log10 IU/mL di HBV DNA), aumento delle ALT al di sopra di 3 volte il limite massimo normale e un’elevata attività al quadro bioptico.
b) In corso di trattamento, la riduzione del livello di HBV DNA a meno di 20000 IU/mL alla 12a settimana indica una probabilità del 50% di sieroconversione di HBe nei pazienti HBeAg-positivi e una probabilità del 50% di risposta prolungata nei pazienti HBeAg-negativi.
c) In corso di trattamento una riduzione di HBeAg alla 24a settimana può predire una sieroconversione di HBeAg.
d) L’EASL sottolinea che ulteriori studi sono necessari per stabilire il ruolo della valutazione quantitativa di HBsAg per predire una prolungata risposta virologica e la perdita di HBsAg.
e) È stato osservato che la presenza dei genotipi A e B di HBV si associa a migliore risposta rispetto a quella dei genotipi C e D. Si rimarca, tuttavia, che il quadro genotipico di HBV ha scarso valore predittivo e che, al momento attuale, la genotipizzazione non deve influenzare la scelta della terapia.

2) Nel trattamento con NUC.
a) I fattori predittivi di sieroconversione di HBe prima del trattamento sono una bassa carica virale (HBV DNA sotto a 107 IU/mL o 7 log10 IU/mL), elevato livello di ALT (al di sopra di 3 volte il limite massimo normale) ed elevata attività al quadro istobioptico.
b) In corso di trattamento con lamivudina, adefovir o telbivudina una risposta virologica alla 24a o 48a settimana si associa a minore incidenza di farmacoresistenza.
c) Il quadro genotipico di HBV DNA non influenza la risposta terapeutica.

L’EASL richiama l’attenzione sulle caratteristiche dei farmaci adoperati nel trattamento dell’ECB.

1) Interferon alfa (convenzionale o pegilato): i principali vantaggi consistono nell’assenza di resistenza e nel potenziale effetto immuno-mediato anti-HBV, consentendo di ottenere una prolungata risposta virologica e la probabilità di perdita di HBsAg nei pazienti che raggiungono e mantengono livelli non misurabili di HBV DNA; i principali inconvenienti sono gli effetti collaterali e la necessità di somministrazione per iniezione sottocutanea; l’interferon alfa è controindicato nei pazienti con cirrosi scompensata correlata a HBV o con malattie autoimmunitarie o con gravi depressioni o psicopatie non controllate.
2) Analoghi nucleosidici o nucleotidici (NUC): a) entecavir e tenofovir sono potenti inibitori di HBV e presentano un’elevata barriera alla farmacoresistenza; questi farmaci possono essere adoperati in monoterapia di prima scelta, ma la loro efficacia potrebbe ridursi qualora nel corso di trattamenti di lunga durata comparisse una resistenza; b) l’adefovir è meno efficace del tenofovir e, fra l’altro, è più costoso, e può dar luogo a più alta probabilità di resistenza; anche telbivudina è un potente inibitore di HBV, ma presenta una bassa barriera genetica alla resistenza, che è stata segnalata in pazienti con alti livelli di replica virale e in quelli con HBV DNA misurabile dopo 24 settimane di terapia; lamivudina presenta l’inconveniente di elevata resistenza se usata in monoterapia.
L’EASL si sofferma su alcuni importanti aspetti del trattamento dell’ECB.

1) Trattamento di durata limitata con interferon alfa pegilato o con NUC, inteso a ottenere una prolungata risposta virologica dopo il termine del trattamento: a) trattamento di durata limitata con interferon alfa pegilato: è consigliato un trattamento per 48 settimane specialmente nei pazienti HBeAg-positivi con una buona probabilità di sieroconversione e anche in quelli HBeAg-negativi con buona probabilità di risposta virologica prolungata dopo terminata la terapia. L’EASL ricorda che in entrambi questi gruppi di pazienti si possono osservare alti valori basali iniziali di ALT e valori di HBV DNA inferiori a 2 x 106 IU/mL (circa 107 copie/mL) o 6,3 log10 IU/mL. L’associazione di interferon alfa pegilato con lamivudina ha mostrato un’alta percentuale di risposta in corso di terapia, ma non un analogo effetto sulla risposta virologica prolungata; l’EASL avverte che su questo punto non vi sono ancora informazioni riguardanti l’efficacia e l’innocuità e pertanto questa associazione al momento non è consigliata; b) trattamento di durata limitata con NUC: è consigliabile nei pazienti HB eAg-positivi che in corso di terapia presentano conversione di HBe; tuttavia la durata della terapia dipende da quando accadrà la sieroconversione di HBe, che è più frequente nei pazienti con elevato livello di ALT e livello di HBV DNA inferiore a 2 x 106 IU/mL (circa 107 copie/mL) o 6,3 log10 IU/mL; si rileva che un tentativo di trattamento di durata limitata dovrebbe essere eseguito con i farmaci più potenti e con la più alta barriera alla resistenza (entecavir oppure tenofovir) per ridurre rapidamente la viremia e ad evitare effetti di contraccolpo dovuti alla resistenza del virus; l’EASL ritiene che la telbivudina possa essere usata nei pazienti con fattori predittivi di una buona risposta; avvenuta la sieroconversione, il trattamento va prolungato per altri 6 o, meglio, 12 mesi; una risposta durevole con persistenza degli anticorpi anti-HB e dopo la fine del trattamento è probabile nell’80% dei casi.

2) Trattamento di lunga durata con NUC. L’EASL lo ritiene necessario nei pazienti che non ottengono una prolungata risposta virologica dopo il termine del trattamento; si tratta dei pazienti HBeAg-positivi che non presentano sieroconversione a HBeAg-negatvi e in quelli con cirrosi indipendentemente dalla situazione di HBeAg e dalla sieroconversione. Tenofovir o entecavir dovrebbero essere usati come farmaci di prima linea e e si deve mantenere il livello di HBV DNA a livelli non misurabili con la PCR per assicurare la soppressione virale, dato che a tutt’oggi non sono disponibili conoscenze complete sugli effetti a lungo termine, l’innocuità e la tollerabilità di questi farmaci. Inoltre non vi sono risultati che indichino qualche vantaggio di un’associazione de novo con NUC nei pazienti non precedentemente trattati, che ricevono entecavir o tenofovir; questa strategia è consigliata da alcuni esperti per prevenire una resistenza virale in pazienti predisposti, sebbene non sia nota l’innocuità a lungo termine di questa associazione.
Per quanto riguarda l’insuccesso della terapia, l’EASL distingue tra non risposta primaria, risposta virologica parziale e progressione virologica.

1) Non risposta primaria. L’EASL riferisce che questa non risposta “sembra” (sic!) più frequente con l’adefovir che con gli altri NUC a motivo delle minori dosi somministrate; in queste circostanze si consiglia di passare a tenofovir oppure ad entecavir. Raramente si osserva questo tipo di risposta con lamivudina, telbivudina, entecavir o tenofovir. L’EASL sottolinea la necessità di ricercare in questi soggetti una eventuale mancanza di collaborazione. Nei pazienti collaboranti l’identificazione di una possibile mutazione del virus che dia luogo a resistenza può indirizzare verso una terapia di recupero, che potrà essere basata sulla precoce modificazione verso un antivirale più potente, attivo contro le varianti virali.

2) Parziale risposta virologica, che può verificarsi con tutti i NUC; anche in questi casi è bene ricercare la collaborazione del paziente. L’EASL riferisce che nei pazienti trattati con lamivudina, adefovir o telbivudina che presentano questo tipo di risposta si possono seguire due vie: a) passare a un antivirale più potente (entecavir o tenofovir), b) aggiungere un farmaco più potente che non condivida la resistenza crociata col precedente (esempio: aggiungere tenofovir a lamivudina o telbivudina oppure aggiungere entecavir ad adefovir). L’EASL avverte, in proposito, che non è nota l’innocuità a lungo termine di tenofovir ed entecavir.

3) Maggiore attività del virus. Nei pazienti collaboranti, questa è correlata alla resistenza virale. La resistenza è associata a precedenti trattamenti con NUC (lamivudina, adefovir, telbivudina, emtricitabina), ma può anche verificarsi in soggetti non trattati in precedenza con NUC, con elevati livelli di DNA di HBV, in condizioni di basi, o con un lento declino di DNA di HBV e parziale risposta virologica, in corso di terapia. L’EASL consiglia di identificare quanto prima possibile le eventuali mutazioni nella resistenza per regolare il trattamento. In caso di resistenza virale, si suggerisce di iniziare un’adeguata terapia di recupero che consenta di ottenere il migliore effetto antivirale con il minimo rischio di resistenza multipla, ad esempio con l’aggiunta di un secondo farmaco privo di resistenza crociata.

Per il controllo della terapia, è bene, nei pazienti trattati soltanto con interferon o con peg-interferone alfa, controllare l’esame emocromocitometrico e i livelli di ALT ogni mese, mentre i livelli di HBV DNA debbono essere valutati alla 12 a e alla 24a settimana per verificare la risposta primaria, controllando inoltre l’eventuale comparsa di effetti collaterali avversi.
Nel trattamento limitato ai NUC, è necessario tenere presente che il suo obiettivo è quello della sieroconversione di HBe. In questi casi, HBV DNA deve essere misurato ogni 12 settimane, ricordando che la soppressione di HBV DNA a livelli non misurabili e la conseguente sieroconversione di HBe si associano a positiva risposta biochimica e istologica. L’EASL riferisce che recenti studi hanno indicato che la terapia con NUC può essere sospesa da 24 a 48 settimane dopo la sieroconversione di HBe; è anche necessario misurare HBeAg a intervalli di 6 mesi dopo la sieroconversione, sebbene la perdita di HBsAg si osservi raramente dopo trattamento con NUC.
Nel trattamento a lungo termine con NUC, i livelli di HBV DNA debbono essere controllati alla 12a settimana, per accertarsi della avvenuta risposta virologica, e successivamente a intervalli di 12-24 settimane. Ideal­mente dovrebbe essere raggiunto un livello non più misurabile di HBV DNA per evitare la comparsa di resistenza, mentre il monitoraggio di questo livello è importante per identificare un insuccesso terapeutico. Nei pazienti HBeAg-positivi debbono essere misurati HBeAg e i corrispondenti anticorpi; una volta ottenuta la negatività di HBeAg, i controlli vanno ripetuti a intervalli da 6 a 12 mesi.
L’EASL ricorda che i NUC sono eliminati dal rene e pertanto le dosi debbono essere regolate nei soggetti con ridotta clearance della creatinina. Inoltre nei pazienti con cirrosi possono verificarsi riacutizzazioni dell’epatite B che richiedono un più intenso monitoraggio, tenendo presente che in questi soggetti possono comparire complicanze che richiedono un trattamento di urgenza. L’EASL riferisce che sono segnalati rari casi di insufficienza renale in pazienti con infezione da HIV riceventi farmaci anti-HBV oppure in pazienti riceventi farmaci nefrotossici e trattati con tenofovir o adefovir; sono anche rari i casi di riduzione della densità minerale ossea nei pazienti HIV-positivi trattati con tenofovir, ma su questo punto sono necessari ulteriori studi. Sono ancora in corso ricerche sull’effetto carcinogeno di tenofovir, mentre sono rare le miopatie in corso di trattamento con telbivudina. L’EASL sconsiglia l’uso di telbivudina e peg-interferon alfa associati per la eventuale comparsa di neuropatie periferiche.

Viene anche esaminato il caso del trattamento della ECB in pazienti con grave danno epatico.

1) Pazienti con cirrosi. In queste circostanze il trattamento non deve basarsi sui livelli di ALT, perché essi possono essere normali anche in fasi avanzate. L’EASL ricorda che l’interferon alfa accresce il rischio di scompenso epatico nei pazienti con cirrosi avanzata, ma che può essere usato se la cirrosi è ben compensata. In questi soggetti sono molto utili i NUC con basso rischio di resistenza (tenofovir ed entecavir); comunque uno stretto monitoraggio del livello di HBV DNA è assai indicato in questi casi e la resistenza può essere prevenuta aggiungendo un secondo farmaco privo di resistenza crociata, se il livello di HBV DNA non è più misurabile alla 48 a settimana di terapia. L’EASL richiama l’attenzione sulla possibilità che uno scompenso epatico si verifichi in occasione di una riacutizzazione dell’ECB, evento che va distinto da non collaborazione del paziente o dalla resistenza agli antivirali. L’EASL ricorda, inoltre, che una adeguata e prolungata soppressione di HBV DNA può stabilizzare le condizioni cliniche del paziente rendendo a volte possibile una parziale regressione della fibrosi e ritardare il ricorso al trapianto o renderlo non necessario.

2) Pazienti con cirrosi scompensata. L’EASL premette che questi soggetti dovrebbero essere trattati in Unità specializzate di epatologia, perché la terapia antivirale può essere complessa e si tratta in genere di pazienti candidati al trapianto. In questi casi il trattamento antivirale è indicato anche quando il livello di HBV DNA non è misurabile, al fine di prevenire riattivazioni. L’EASL dà la preferenza a tenofovir ed entecavir che posseggono un buon profilo di resistenza, sebbene vi siano scarsi dati sulla loro innocuità nella cirrosi scompensata; con questo trattamento è possibile ottenere un miglioramento clinico entro 3-6 mesi. L’EASL ricorda che il trattamento con NUC può ridurre il rischio di ricorrenze virali anche nel trapianto.

Circa la possibilità di prevenzione dell’epatite B ricorrente dopo trapianto di fegato, si ricorda che fino a qualche tempo fa questo era un problema molto grave e che attualmente per tutti i pazienti HBsAg-positivi avviati al trapianto per danno epatico da HBV allo stadio terminale o CEC, è consigliato un potente NUC con elevata barriera alla resistenza, al fine di raggiungere il più basso livello possibile di HBV DNA prima del trapianto. L’EASL riferisce che attualmente dopo il trapianto sono adoperati adefovir e/o lamivudina associati a immunoglobuline anti-epatite B (HBIg), ottenendo una riduzione del rischio di infezione del trapianto inferiore al 10% e che sono allo studio altre forme di profilassi.

Le linee guida trattano anche dei problemi di terapia dell’ECB in particolari gruppi di pazienti.

1) Pazienti con coinfezione da HIV. In queste evenienze esiste un accresciuto rischio di cirrosi e il trattamento dell’infezione da HIV può provocare episodi di epatite B. In accordo con recenti linee guida, è consigliabile trattare questi pazienti simultaneamente per le due infezioni (Rockstroh JK, Bhagami S, Benhamou Y, et al. European AIDS Clinical Society (EACS) guidelines for the clinical management and treatment of chronic hepatitis B and C coinfection in HIV-infected adults. HIV Med 2008; 9: 82). Le indicazioni al trattamento sono le stesse che nei pazienti HIV-negativi e sono basate sul livello di HBV DNA e di ALT nel siero e sul quadro istologico. I farmaci consigliati sono tenofovir ed emtricitabina associati a un farmaco attivo contro HIV. In alcuni casi l’infezione da HBV può essere trattata prima di quella da HIV, dando la preferenza ad adefovir e telbivudina, che non sono attivi contro HIV. Entecavir, lamivudina e tenofovir sono attivi sia verso HIV che HBV, ma sono controindicati in monoterapia.

2) Pazienti coinfettati con virus dell’epatite D (HDV). Questa coinfezione è confermata dalla presenza di HBV DNA misurabile e dalla colorazione immuno-istochimica per l’antigene di HDV oppure dell’identificazione di immunoglobuline IgM anti HDV. L’interferone alfa (convenzionale o pegilato) è l’unico farmaco attivo contro la replica di HDV; può rendersi necessario un trattamento prolungato per oltre un anno, sebbene non ne sia confermata l’efficacia.

3) Coinfezione con HCV. L’EASL ricorda che molti di questi pazienti presentano un livello di HBV DNA basso o non misurabile e che HCV è responsabile dell’attività dell’epatite cronica. Pertanto è consigliato un trattamento con peg-interferone alfa e ribavirina come per l’epatite da HCV. La percentuale di prolungata risposta virologica per HCV è simile a quella dei pazienti con monoinfezione da HCV, ma esiste un possibile rischio di riattivazione di HBV durante e dopo la clearance di HCV, che deve essere trattato con NUC ( Chu CJ, Lee SD. Hepatitis B virus-hepatitis C virus coinfection: epidemiology, clinical features, viral interactions and treatment. J Gastroenterol Hepatol 2008; 23: 512).

4) Pazienti con epatite acuta grave. È noto che oltre il 95-99% degli adulti con infezione da HBV guariscono spontaneamente e presentano conversione ad HBsAb senza terapia antivirale. Tuttavia alcuni pazienti con epatite fulminante o grave necrosi epatica subacuta protratta possono trarre beneficio dai NUC. Entecavir o tenofovir, che hanno un’elevata barriera alla resistenza, dovrebbero essere adoperati, secondo l’EASL, in questi pazienti, sebbene ancora non si conosca la durata della terapia. L’EASL ritiene peraltro di poter consigliare fino ad almeno 3 mesi di trattamento dopo sieroconversione a HBsAb o 6 mesi dopo conversione a HBeAb, senza perdita di HBsAg. Si richiama l’attenzione sulla difficoltà di distinguere un’epatite acuta B da una riattivazione di un’ECB e sulla necessità in questi casi di eseguire una biopsia epatica; comunque in entrambi i casi il trattamento con NUC è quello di scelta.

5) ECB nei bambini. L’EASL ricorda che l’ECB ha un decorso favorevole. Confronti con la malattia dell’adulto sono stati effettuati soltanto con la terapia con interferon alfa convenzionale, lamivudina e adefovir per quanto concerne innocuità e ed efficacia.

6) ECB in operatori sanitari, che si osserva soprattutto in chirurgia, che sono HBsAg-positivi con HBV DNA ≥2000 IU/mL o 3,3 log10 IU/mL. Essi vanno trattati con un potente antivirale con elevata barriera alla resistenza (esempio: entecavir o tenofovir); lo scopo è quello di ridurre il livello di HBV DNA a <2000 IU/mL. A tutt’oggi non sono note innocuità, efficacia, complicazioni e implicazioni economiche di questo trattamento.

7) Donne in gravidanza. L’EASL riferisce che recenti studi hanno indicato che il trattamento con lamivudina durante il terzo trimestre in donne HBsAg-positive con elevata viremia riduce la trasmissione intra utero e perinatale di HBV, se eseguito in associazione con vaccinazione attiva o passiva con immunoglobuline HBIg e vaccinazione contro HBV. Possono essere presi in considerazione anche tenofovir o tenofovir con emtricitabina oppure entecavir. L’EASL avverte, peraltro, che queste procedure richiedono conferma e che le pazienti debbono essere strettamente controllate, poiché dopo il parto possono verificarsi riacutizzazioni dell’ECB.

8) Terapia preventiva prima di trattamento immunodepressivo o chemioterapia. L’EASL ricorda che i portatori di HBV che ricevono questi trattamenti sono ad alto rischio di riattivazione del virus, specialmente se trattati con rituximab da solo o associato con steroidi e che in tutti i soggetti che debbono ricevere tali farmaci debbono essere controllati preventivamente HBsAg e HBsAb. L’EASL raccomanda vivamente la vaccinazione contro HBV nei pazienti sieronegativi. Nei soggetti HBsAg-positivi deve essere misurato il livello di HBV DNA e, indipendentemente dal risultato, deve essere somministrato un NUC. I pazienti HBsAg-negativi e HBcAb-positivi e livello di HBV DNA non misurabile che ricevono chemioterapia o terapia immunodepressiva debbono essere attentamente controllati, misurando ALT e HBV DNA, e debbono ricevere un NUC, se è confermata la riattivazione di HBV, prima dell’aumento delle ALT. La profilassi con NUC è consigliata anche nei pazienti che ricevono un trapianto di midollo osseo da un donatore non immune. I riceventi trapianto di fegato HBcAb-positivo debbono ricevere un profilassi con NUC associata a immunoglobuline HBIg, per una durata ancora non precisata.
9) Pazienti in dialisi o con trapianto renale. L’EASL segnala che i dati disponibili danno la preferenza alla lamivudina a dosaggio adattato alle condizioni renali. Alcuni studi riportano peggioramenti della funzione del trapianto renale nei pazienti trattati con adefovir, che entecavir può essere un’ottima scelta in queste circostanze e che tenofovir va usato con cautela in condizioni di insufficienza renale.

10) Malattie extraepatiche. Si rileva che, in presenza di attiva replica virale, questi pazienti possono rispondere alla terapia antivirale. A tutt’oggi il farmaco più usato è la lamivudina, ma si ritiene che entecavir e tenofovir possano essere molti efficaci. In aggiunta a trattamento con NUC è stata usata in alcuni casi la plasmaferesi.
Nella conclusione di queste linee guida, l’EASL elenca i problemi ancora non risolti.

1) Conoscenza della storia naturale dell’ECB, in particolare nei soggetti immunotolleranti.

2) Studio e valutazione di nuove strategie terapeutiche al fine di accrescere la perdita di HBeAg e di HBsAg e la conseguente conversione.

3) Studio del ruolo dei marcatori indiretti, sierici e biofisici, nella valutazione della gravità del danno epatico e nel controllo del decorso nei pazienti trattati o non trattati.
4) Valutazione del ruolo del genotipo di HBV nel determinare la prognosi, la risposta alla terapia e il rischio di resistenza.

5) Valutazione dell’efficacia di differenti durate (da 24 settimane a 2 anni) della terapia con peg-interferone alfa e di minori dosaggi.

6) Valutazione dell’efficacia, dell’innocuità e della resistenza dei nuovi NUC (entecavir, telbivudina e tenofovir).

7) Migliore definizione degli algoritmi per i dosaggi: a) misure di HBV DNA con la nuova generazione di NUC con elevata barriera alla resistenza, b) ruolo della misura della resistenza genotipica nella terapia.

8) Valutazione del ruolo dell’associazione di due NUC per ridurre la resistenza.

9) Valutazione dell’efficacia dell’associazione di peg-interferone alfa con potenti NUC (entecavir o tenofovir) per accrescere la sieroconversione di HBe e HBs.

10) Studio di nuovi farmaci per trattare la multiresistenza ai NUC attualmente in uso.

11) Valutazione del ruolo della terapia nella prevenzione della cirrosi e delle sue complicanze e del CEC.

12) Studio di trattamenti efficaci della coinfezione con HDV.