Cinema e medicina

a cura di Luciano De Fiore

The Knick

«È stato Steven Soderbergh a inviarmi il copione e da subito sono rimasto rapito dal personaggio, dalla storia e da quel mondo e così chiamai Steven quarantacinque minuti dopo aver finito di leggerla per dirgli che avrei fatto la serie. Il medico che interpreto è un personaggio estremamente interessante e affascinante: è razzista certo, fa uso di droghe e non si ferma davanti a nulla, ma allo stesso tempo è un genio nel suo campo, un pioniere. Ero curioso di capire fin dove avrei potuto spingermi. Il ritmo delle riprese è stato incalzante. Eravamo tutti concentrati sul lavoro e sulle sfumature della storia». Così Clive Owen – il chirurgo John Thackery protagonista di The Knick – al Festival di Roma dell’ottobre 2014, dove la serie televisiva è stata presentata al pubblico italiano. Che nel frattempo ne ha seguito gli incalzanti e crudi episodi su Sky Atlantic.




La prima serie dedicata alla storia della chirurgia, diretta da un premio Oscar come Steven Soderbergh, è un prodotto cinematografico e televisivo di valore. Accolto da un successo mondiale, non ci si stupisce se alle prime dieci puntate ne seguiranno altre dieci l’anno prossimo.

Il Knick del titolo è il diminutivo del Knickerbocker, un ospedale storico di New York, attivo ad Harlem tra il 1864 ed il 1979. Un ospedale privato, ma che accettava anche pazienti poco abbienti, per quanto non di colore: per i neri c’erano appositi dispensari. Anche se al Knick, nella finzione cinematografica, lavora un ottimo chirurgo di colore, Algernon Edwards (André Holland), in grado d’imporsi anche al riluttante Thack grazie alle proprie abilità tecniche.




Sotto i ferri dell’équipe del Knick passano pazienti di ogni sorta. La bravura di Thackery - ispirato a William Stewart Halsted, uno dei padri della chirurgia moderna -, di Edwards e del giovane Bertram “Bertie” Chickering salva spesso la vita a malati altrimenti destinati a morte certa, ed altre volte deve inchinarsi davanti ai limiti di una scienza chirurgica ancora pionieristica. Al di là del pudore e del ritegno, si mostrano senza infingimenti – anche con piani ravvicinati – i primi interventi, effettuati ancora a mani nude, di placenta previa, le nuove tecniche per operare l’ernia inguinale, interventi plastici per ridurre le conseguenze mutilanti della sifilide, esperimenti per suturare tessuti e trasfondere sangue, le prime anestesie da conduzione a base di cocaina: lo stesso Thackery, e la bella e giovane infermiera che con lui ha una storia, Lucy Elkins (interpretata da Eve Hewson, figlia di Bono degli U2), sperimentano la droga su se stessi, divenendone dipendenti, come del resto accadeva sovente nella realtà (ma l’assunzione di droghe, allora, non era reato).

La serie è un campionario dei progressi della chirurgia e dell’igiene pubblica nei primi anni del secolo scorso. Naturalmente, il plot viene intessuto anche di vicende personali che però non annacquano il vino della ricerca documentale e della credibilità storica. C’è spazio anche per le intuizioni epidemiologiche sull’origine delle epidemie e per le problematiche finanziarie legate alla raccolta dei fondi per la conduzione dell’ospedale. Il tutto, sullo sfondo assai ben ricostruito della Manhattan di inizio Novecento, metropoli nascente percorsa dalle febbri del gangsterismo, dai fumi dell’oppio e dell’odio razziale. Attendiamo con ansia fra qualche mese i nuovi episodi del dottor Thackery, rimesso a nuovo dalla riabilitazione post-cocaina.