Politiche di riduzione del consumo di carne in Italia:
contrasto ai cambiamenti climatici e benefici per la salute

Paola Michelozzi1, Enrica Lapucci1, Sara Farchi1

Meat consumption reduction policies: benefits for climate change mitigation and health.

Summary. Agricultural food production substantially contributes to green house gas (GHG) emissions worldwide and 80% of the agricultural emissions arise from the livestock sector, in particular from ruminants. Meat consumption is generally above dietary recommendations in many countries, including Italy, and it is increasing in developing countries. Although meat is a source of essential nutrients, it provides large amounts of saturated fat, which is a known risk factor for obesity and for several diseases such as stroke, breast cancer and colon cancer. Dietary changes, with lower intake of red and processed meat, are likely to be beneficial for improving health and for the environment by reducing emissions of GHG. Data on meat consumption in Italy among adults, referred to the last ten years, shows heterogeneity among regions, with the highest consumption in the North-western regions and generally with higher consumption among males. We describe meat consumption distribution worldwide, in Europe and Italy. An assessment of the potential environmental and health co-benefits considering different reduction scenarios of red meat consumption in Italy is provided. Dietary changes can substantially lower GHG and coordinated actions are needed across public health and other sectors to promote healthy, low-emission diets.

Introduzione

«Il potere della popolazione è superiore al potere della terra di produrre sostentamento per l’uomo», così scriveva Malthus nel 1798, e nonostante le sue previsioni pessimistiche riguardo all’incremento demografico e all’uso del suolo non si siano verificate, il dibattito sulla crescita della popolazione, domanda alimentare, lotta alla fame, mantenimento della biodiversità, mutazioni climatiche causate dall’uomo è attuale e necessita di risposte concrete.

Diversi studi condotti dall’inizio degli anni 2000 hanno evidenziato l’importante rapporto tra dieta individuale, sistemi di produzione alimentare e impatto sull’ambiente in termini di emissioni di gas serra (greenhouse gas - GHG): complessivamente è stato stimato che i GHG prodotti dal settore agricolo contribuiscono per circa 1/5 alle emissioni totali, e di queste circa l’80% sarebbe attribuibile alla produzione di carne1.

Latte e carne sono tra gli alimenti meno ecologici, con il peggiore impatto sull’ambiente: il settore dell’allevamento di bestiame è una delle principali cause di deforestazione e di desertificazione, richiede elevato consumo di acqua e comporta un inefficiente utilizzo dell’energia2. Da notare che la maggior parte del grano coltivato nel mondo non è destinato al consumo umano, ma al consumo animale: la FAO ha stimato che nel periodo 2001-2007, il 37% dei cereali prodotti nel mondo è stato utilizzato come foraggio per gli animali3.

Tra le diverse carni, il maggior impatto in termini di emissioni è attribuito alla carne bovina ed è legato ai processi di produzione (CO2), alla fermentazione dei ruminanti (metano), alla coltivazione dei foraggi e all’uso di fertilizzanti (NO)2. Un considerevole quantitativo di emissioni deriva inoltre dal trasporto.

È stato da più fonti evidenziato che cambiamenti nel ciclo produttivo possono migliorare l’impatto sull’ambiente attraverso una riduzione degli scarti, della quantità di acqua e dei cereali necessari alla produzione e attraverso il riciclo di sottoprodotti agro-industriali tra le popolazioni di bestiame. L’adozione di “best practice” e di tecnologie attualmente sottoutilizzate – come generatori di biogas e dispositivi di risparmio energetico – potrebbero inoltre ridurre gli sprechi energetici del 30% circa4.

Sempre secondo la FAO3, il consumo di carne è destinato a crescere di oltre il 70% entro il 2050 a causa dell’aumento della popolazione e del reddito mondiale che determinano un progressivo aumento del consumo pro-capite di proteine animali, anche nei Paesi in via di sviluppo. La rapida crescita dei consumi degli ultimi decenni del secolo passato sono attribuiti soprattutto all’incremento di consumi in Paesi a medio reddito, come per esempio Brasile e Cina. Quest’ultima, attualmente tra i Paesi con più elevate emissioni di GHG, è passata da un consumo di 14 kg/anno all’inizio degli anni ’70 a un consumo attuale pari a circa 52 kg/anno. Alcuni scenari futuri prevedono tuttavia che la rapida crescita della domanda di carne sia destinata a ridursi a causa del rallentamento della crescita della popolazione mondiale. Una delle maggiori incertezze riguarda i Paesi in via di sviluppo che attualmente hanno bassi consumi di carne e che potrebbero nel futuro determinare la maggiore crescita di tale consumo a livello mondiale. Il maggiore potenziale per la riduzione delle emissioni è legato ai sistemi di produzione di bestiame del Sud-Est asiatico, America Latina e Africa dove, nonostante l’intensità di emissioni di GHG sia a oggi relativamente bassa, il volume di produzione è molto elevato e anche un piccolo decremento potrebbe avere un impatto importante in termini di riduzione di emissioni GHG.

Molti autori sottolineano che l’introduzione di nuove tecnologie e i cambiamenti nella produzione di bestiame da soli comunque non basterebbero a determinare una riduzione delle emissioni di GHG sufficiente ad avere effetti di contrasto al riscaldamento globale. Politiche per promuovere la riduzione del consumo di carne e campagne informative alla popolazione per cambiamenti nella dieta sono ritenute essenziali per ridurre la richiesta e il consumo di prodotti animali12,13.

Secondo le più recenti stime, Cina e India contribuiscono alla quota maggiore di CO2 emessa a livello mondiale a causa della produzione di carne, seguite da Brasile, USA e Australia5, mentre l’Unione Europea nel suo complesso contribuisce con poco meno dell’8%. Tra i Paesi europei, l’Italia causa il maggior impatto ambientale dopo Francia, Germania e Regno Unito e con livelli di emissioni simili a quelli di Spagna e Polonia.

Analogamente, per quanto riguarda la disponibilità di carne bovina, l’Italia è tra i Paesi europei con i livelli di consumo di carne più elevati (21,5 kg/procapite/anno) superiori alla media dell’Unione Europea (15,6 kg/pro capite/annuo ) (figura 1).

Nelle ultime proiezioni sui consumi in Europa è atteso un incremento del consumo pro capite di circa il 3% nel 2020, con una piccola riduzione del consumo di carni bovine e incrementi del consumo di carni bianche e maiale6.




I consumi di carne in Italia e gli scenari di riduzione

Nei Paesi industrializzati, la dieta è caratterizzata da un alto consumo di prodotti di origine animale e quindi di grassi saturi, al di sopra delle raccomandazioni WHO che stabilisce in 400 g a settimana la quantità raccomandata di carni rosse7. L’Italia è tra i Paesi europei il maggior importatore di carne rossa, principalmente dalla Francia e dalla Polonia8.

L’indagine più accurata sui consumi alimentari degli italiani si riferisce agli anni 2005-06 (Indagine INRAN9), condotta su un campione casuale della popolazione italiana. I consumi sono stati rilevati con un diario alimentare compilato per 3 giorni consecutivi da ogni individuo di ciascun nucleo familiare incluso nel campione. L’indagine permette di classificare il consumo per classi di età, sesso e ripartizione geografica. I risultati hanno messo in evidenza che le abitudini alimentari delle famiglie italiane erano cambiate, rispetto agli anni ’90, passando da una dieta di tipo mediterraneo a una dieta più simile a quella dei paesi dell’Europa settentrionale. Infatti, il consumo medio di frutta e verdura nel campione era pari a 418 g/die pro capite, appena sopra il minimo raccomandato (400 g/die) e il consumo di carne era pari a circa 700 g a settimana, più elevato rispetto alle raccomandazioni7.

La stessa indagine evidenziava una eterogeneità geografica del consumo di carne e differenze di genere. Per quanto riguarda la carne bovina, che rappresenta da sola circa il 40% del consumo totale di carne, era stimato un consumo superiore ai 400 g tra gli uomini in tutte le aree geografiche (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro) a eccezione degli uomini del Sud (378 g/settimana). In tutte le aree geografiche, inoltre, le donne mostravano minori consumi (364 g/settimana) e una frazione minore di consumatrici abituali (66% vs 72% negli uomini). Il consumo più basso si osservava tra le donne del Sud-Isole e del Nord-Est, mentre gli uomini del Nord-Ovest mostravano i consumi più elevati.

Per gli anni più recenti (2002-2012) sono disponibili i dati dell’indagine multiscopo ISTAT10 sui consumi delle famiglie che forniscono un quadro della frequenza di consumo degli alimenti, in particolare della carne, da cui è possibile stimare il trend temporale delle frequenze di consumo, che mostra una diminuzione contenuta, ma costante, del consumo a partire dal 2006, più evidente dopo il 2010. La riduzione di consumatori nel decennio considerato è pari a circa il 5%.

Tutti i dati disponibili evidenziano tuttavia consumi elevati, al di sopra dei valori indicati dagli organismi internazionali7 e dalle linee-guida nazionali11 secondo cui non si dovrebbe superare le quantità settimanali di 300-400 g di carne totale, con un rapporto di 1/3-1/4 tra carne rossa e carne bianca.

Diversi studi hanno sottolineato che l’adozione di una dieta conforme alle linee-guida sarebbe in grado di contribuire a una sostanziale riduzione delle emissioni di GHG associati ai consumi alimentari1. La soglia dei 50 g/die di carne rossa (che include bovino, maiale, equino) è stata individuata come un obiettivo realistico nell’ambito delle strategie di riduzione delle emissioni provenienti dal settore agricolo in contesti differenti12.

Gli studi che hanno valutato i possibili scenari di contrasto ai cambiamenti climatici hanno evidenziato, tra le azioni potenzialmente più efficaci, una significativa modifica della dieta, in particolare attraverso la riduzione del consumo di carni rosse, sottolineando come anche una modesta riduzione del consumo di carni, che sia aderente alle linee-guida nutrizionali, possa avere un effetto di riduzione dell’emissione dei GHG intorno al 20%13.

È possibile ipotizzare diversi scenari di riduzione delle emissioni, ma solo quelli più drastici (tra il 50% e il 70%) sarebbero per l’Italia in linea con i livelli di assunzione di carne raccomandati, e con gli obiettivi di riduzione delle GHG con cui l’Unione Europea arriverà all’accordo di Parigi del novembre 2015 (una riduzione almeno del 40% delle emissioni interne entro il 2030 e dell’80% entro il 2050).

Scenari di riduzione del 50-70% del consumo di carne sono peraltro compatibili con una dieta di tipo mediterraneo, con una varietà di alimenti proteici (carni rosse e bianche, pesce, latte e derivati, legumi) e non implicano scelte radicali, come per esempio l’adozione di una dieta vegetariana o vegana. Alcuni studi inglesi hanno messo in evidenza che modifiche della dieta accettabili per la popolazione sarebbero associate a una riduzione delle emissioni di gas serra intorno al 40%13.

Riduzione del consumo di carne e benefici per la salute

Il Global Burden of Disease Study ha evidenziato che i fattori di rischio legati alla dieta contribuiscono per il 10% all’intero “burden” di malattia14 e in Italia è stato stimato che il 13,5% dei DALY persi è attribuibile alla dieta, che rappresenta il fattore di rischio con l’impatto più elevato15.

La riduzione del consumo di carne rossa è stata associata a significativi benefici per la salute immediati e a medio termine.

Diverse revisioni sistematiche della letteratura hanno evidenziato i danni per la salute associati a un consumo elevato di carne (soprattutto rossa e processata), con eccessi di rischio per tumore dell’esofago16, del colon-retto, patologie cardiovascolari e diabete di tipo 213. Inoltre, studi recenti hanno rilevato un rischio maggiore di obesità tra coloro che assumono grandi quantità di carni rosse17, e il consumo di grassi animali è stato associato a una maggiore incidenza di tumore al seno18.

La tabella 1 mostra il rischio di tumore colon-retto, malattie cardiovascolari e diabete mellito associati al consumo di carni rosse e processate (salumi, salcicce e altre carni lavorate). I rischi riportati sono il risultato di revisioni sistematiche e meta-analisi che includono studi di coorte e studi caso-controllo. Considerando il consumo di carne rilevato al baseline come consumo life-time, il rischio è espresso per incremento di 50 o 100 g/die: per esempio, per ogni incremento di 100 g di carne rossa consumata giornalmente è stato stimato incremento del rischio del 29% di insorgenza di tumore del colon.




Se si tiene conto degli scenari di riduzione del consumo di carne più vicini alle quantità raccomandate da linee-guida nazionali (2 porzioni di carne rossa a settimana da 70 g)16, che corrispondono a riduzioni comprese tra il 50% e il 70% delle emissioni GHG, tenendo conto della diversa propensione al consumo di carne bovina tra le aree geografiche e tra i generi, i maggiori benefici in termini di riduzione dell’incidenza dei diversi esiti considerati sarebbero a carico degli uomini e in particolare tra i residenti delle regioni del Nord-Ovest.

La stima della riduzione di emissioni di GHG e il guadagno in termini di salute è complesso e dovrebbe tenere conto della dieta nel suo complesso e del potenziale effetto dell’aumento del consumo di altri alimenti proteici sostitutivi della carne bovina, o dell’aumento di consumo di frutta e verdura. Negli ultimi anni, il consumo di carne bovina è in lieve calo, anche a causa della crisi economica, mentre aumenta il consumo di formaggi a elevato contenuto di grassi saturi, uova, carne suina e soprattutto salumi a basso costo19. Appare, quindi, chiaro che interventi volti a ridurre il consumo di carne bovina debbano proporre stili alimentari alternativi e corretti.

La carne è un alimento dall’elevato valore nutritivo ed è una fonte primaria di alcuni nutrienti e micronutrienti (vitamina B12, zinco, selenio, niacina e riboflavina, ferro). La nostra ipotesi di riduzione si riferisce prevalentemente ai consumatori adulti, poiché il fabbisogno di carne dei bambini e adolescenti e degli anziani è molto diverso: nell’estendere le strategie di riduzione delle emissioni alla popolazione generale è da tenere presente il potenziale effetto sulla prevalenza di anemia in fasce specifiche di popolazione, come i bambini in età prescolare o le donne in gravidanza20.

Fronteggiare la crescita di consumi globale di carne rappresenta una delle principali sfide di questo secolo. Particolare attenzione dovrebbe essere data all’impatto ambientale delle differenti tipologie di carne per promuovere modelli di consumo alimentare con le più basse emissioni dei gas serra e adeguati apporti di proteine e micronutrienti. Accanto a questo è indispensabile promuovere tecnologie di produzione sostenibili, ridurre il consumo di energia e di acqua e gli sprechi alimentari nella produzione delle carni.

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