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A distanza di qualche settimana dall’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti la discussione sull’assetto della sanità americana sembra entrare nel vivo e si attendono delle proposte concrete sulle annunciate modifiche dell’Affordable Care Act. Dall’altra parte dell’oceano Atlantico il servizio sanitario inglese diventa il simbolo di un’assistenza sanitaria pubblica sotto scacco. Tornando in nord America, i risultati di uno studio uscito sul New England Journal of Medicine mettono di fronte all’evidenza di legami ingombranti e imbarazzanti tra le associazioni di pazienti e le industrie farmaceutiche. Si potrebbe continuare elencando molti altri argomenti sui quali si concentra il dibattito internazionale: dal prezzo dei medicinali all’economia dell’innovazione.

Questo confronto è poco seguito dai medici italiani, scrive Eugenio Paci (pag. 113) anche perché sfogliare le riviste scientifiche non è più un’abitudine diffusa: i testi completi degli articoli non sempre sono accessibili, il prezzo degli abbonamenti è molto elevato, le aziende sanitarie hanno tagliato i fondi per la documentazione, non c’è tempo per leggere. Il risultato? Il medico è informato superficialmente, spesso solo attraverso le brevi sintesi che pubblicano gli inserti salute dei quotidiani, che non brillano per completezza e indipendenza.

A fare le spese di un generale disinteresse è anche la ricerca italiana, vuoi pubblicata su riviste internazionali vuoi ospitata da periodici nazionali, non di rado specialistici e comunque indicizzati su banche dati bibliografiche accreditate. Si rinuncia a discutere del merito dei problemi, accontentandosi di assistere o di prender parte a un confronto polarizzato: è il caso delle vaccinazioni come dell’omeopatia, che si difendono o si accusano a prescindere dalle evidenze, quasi che le prove scientifiche di cui disponiamo fossero un elemento trascurabile o che – ed è il caso dell’amministrazione regionale citata da Silvio Garattini nel suo editoriale – le evidenze possano essere adattate o costruite sulla base di convenienze di politica sanitaria.

«The propensity to dismiss evidence that threatens our identity or beliefs is non partisan», scrive Lisa Rosenbaum sul New England Journal of Medicine del 3 marzo 2017. È vero: i risultati della ricerca sono una coperta che muoviamo a nostro piacimento per coprire le false verità che nuocciono alla nostra salute. Non si tratta solo della dialettica tra medicina scientifica e terapie alternative: purtroppo, il grafico di Clinical Evidence è ancora attuale e non a caso continua a trovare spazio sul sito della risorsa di The BMJ. Solo un terzo degli interventi sanitari normalmente messi in atto è probabilmente efficace: di tutto il resto potremmo – e dovremmo – fare a meno.

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