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È stata realmente un’edizione deludente quella appena conclusa del congresso dell’American society of clinical oncology? In effetti, chi torna da Chicago porta notizie meno entusiasmanti degli scorsi anni riguardo i risultati delle sperimentazioni di nuovi farmaci oncologici: la strada è ancora lunga, le popolazioni di pazienti che possono trarre beneficio dalle terapie sono limitate, gli effetti indesiderati dei trattamenti spesso molto pesanti. La ricerca clinica si concentra sulle combinazioni tra più immunoterapie. Sono in corso 765 studi di combinazione, secondo la rilevazione di EP Vantage, di cui 268 coinvolgono pembrolizumab. L’impressione è che si navighi a vista e anche Roy Baynes, senior vice president della Merck, ha dichiarato: «We have no idea what the best combinations are. Anyone who tells you that they do is fibbing». Prestando il fianco al sarcastico commento di un giornalista del Washington Post per il quale questa tendenza ricorda il lancio degli spaghetti sul muro per vedere quali piatti si incollino meglio.

L’attenzione dei partecipanti al congresso ha potuto dunque posarsi anche su altri aspetti dell’assistenza non meno importanti: per esempio gli esiti riferiti dai pazienti, che stanno diventando un criterio sempre più utilizzato per la valutazione delle terapie. Uno studio presentato a Chicago ha addirittura mostrato un incremento di sopravvivenza in un gruppo di pazienti coinvolti nel self-reporting della sintomatologia rispetto al gruppo di confronto che non ne aveva tenuto traccia. Il coinvolgimento dei cittadini – malati e loro familiari – nella verifica della qualità dell’assistenza è molto importante anche per una migliore organizzazione delle cure, per una continuità di percorso tra ospedale e domicilio che sia meno disagevole per il paziente e che tenga conto delle specificità dei contesti (vedi pagina 259).

Gli statunitensi sono preoccupati perché numero e visibilità della ricerca condotta nel loro paese sono in calo. Un’evidenza che traspare dalla diminuzione delle conferenze stampa centrate su trial USA rispetto a quelli di altre nazioni. Del resto, gli studi finanziati dai National institutes of health (NIH) erano 575 nel 2008 e appena 144 nell’edizione di quest’anno. C’è da scommettere che in futuro andrà anche peggio, dal momento che l’amministrazione Trump ha ridotto il budget dei NIH da 31,8 a 26 miliardi di dollari nel 2018. Il National cancer institute avrà un miliardo di dollari in meno. A chi pensa che l’industria potrà surrogare questi tagli con propri investimenti va ricordato che gli studi sulla prevenzione, sulla qualità di vita in rapporto alle malattie e alle terapie, sugli aspetti organizzativi sono di esclusivo interesse delle istituzioni. Senza contare che le ricerche di confronto head-to-head sulle strategie di trattamento non sono quasi mai supportate da denaro privato.

C’è da essere preoccupati ed è una piccola consolazione sapere dei 4 studi presentati all’ASCO 2017 frutto della ricerca indipendente italiana finanziata dall’Agenzia italiana del farmaco con un bando di diversi anni fa. Un motivo in più per augurarsi una ripresa del sostegno pubblico alla ricerca indipendente, che però abbia caratteristiche di continuità e stabilità.

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