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Nel dicembre dello scorso anno, l’Ordine dei medici di Bologna ha radiato l’assessore alla sanità della Regione Emilia-Romagna, medico, per aver approvato nel 2016 la delibera con la quale agli infermieri attivi nell’emergenza pre-ospedaliera si delegano protocolli operativi che prevedono, in precise situazioni, l’identificazione del problema e la conseguente somministrazione di farmaci salvavita sotto il controllo in tempo reale del medico di centrale operativa. Due anni orsono lo stesso Ordine decise di sospendere alcuni medici del Servizio di urgenza ed emergenza medica-118 che avevano redatto quei protocolli e organizzato il sistema di emergenza secondo quella delibera. Le sanzioni erogate dall’Ordine si fondano su due distinte argomentazioni. Una è di rilevante interesse collettivo perché i protocolli così organizzati metterebbero a rischio la salute dell’intera popolazione. L’altra riguarda invece i profili di comportamento deontologico dei singoli medici e dell’assessore i quali sarebbero contravvenuti ad alcuni articoli del codice deontologico e soprattutto all’art. 3, secondo il quale «la diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità».

La questione tira in ballo il ruolo che il sistema sanitario assegna alle prove, ai risultati degli studi metodologicamente rigorosi disponibili in letteratura scientifica. I rischi per la popolazione legati al task shifting denunciato da OMCeO di Bologna non sembrano essere basati su prove di efficacia, spiegano gli autori dell’articolo a pagina 168. Si pone dunque un problema di merito scientifico (discusso approfonditamente nel primo contributo) ma anche metodologico.

Occorre infatti riprendere a discutere anche in Italia delle prove, del modo col quale possiamo sintetizzarle e, soprattutto, valutarle. La ricerca metodologica portata avanti a livello internazionale – per tutti vale l’esempio del GRADE Working Group – ha radicalmente cambiato l’approccio al critical appraisal, come spiega Holger Schünemann nell’articolo a pag. 166. Le rassicuranti “piramidi” che assegnavano una qualità alle prove in base al disegno di studio hanno lasciato il campo a costruzioni ogni volta diverse, la cui forma e gerarchia va definita dalla lettura attenta di cui può essere capace il singolo professionista o il team del quale fa parte. Un occhio critico e vigile, attento a cogliere le opportunità offerte dall’innovazione ma anche capace, all’occorrenza, di mantenersi conservativo, spiegano John Mandrola e gli altri autori dell’editoriale di pag. 157.

Questi due contributi – nati da altrettante conversazioni informali con gli autori – rafforzano l’immagine aperta di Recenti Progressi in Medicina, confermando la vocazione internazionale della rivista.

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a cura di Cristina Da Rold (freelance health & data journalist)