Libri: recensioni

È una malattia inguaribile
e si chiama anima

Marina Cvetaeva
La follia e l’anima
Alcuni scrittori possiedono e sanno trasmettere ai lettori – oltre al fascino dei contenuti e dello stile – anche quello della coerenza. Per questo, ogni incontro con un loro libro è un appuntamento nuovo e tuttavia rassicurante. Tra i privilegiati si annovera Eugenio Borgna, psichiatra di lungo corso, umanista sensibilissimo, instancabile rabdomante di quell’area, ormai non più terra d’infedeli, ove si incontrano la mente e il cuore, l’intelletto e l’emozione, la scienza e la letteratura.
Così, anche nell’ultimo, dovizioso, saggio: Di armonia risuona e di follia (pagine 210, Milano, Feltrinelli, 2012), il Nostro, fedele ad una sofferta ispirazione, recupera la concordanza tra dolore della psiche e bagliori del patico quali lampeggiano nello statuto umanissimo della poesia: «la fortunata sorella della follia».
In ogni capitolo del libro, come nei precedenti “L’arcipelago delle emozioni”, “Le intermittenze del cuore”, “La solitudine dell’anima”, si celebra questa familiarità, mercé gli umbratili richiami a lirici particolarmente cari all’autore: la Dickinson, la Nelly Sachs, Paul Celan, Rilke, Ellen West, Cristina Campo, Georg Trakl (che al titolo del libro ha prestato i suoi versi); accanto ai rimandi al magistero psico-fenomenologico di Biswanger, Bleuler, Jaspers, Minkovski. Concordanza, s’è detto, e non corredo o analogia, poiché c’è in Borgna una immersione intensissima nella cultura dell’incontro personale, della partecipazione all’altrui destino, nel ripudio apodittico della diversità. Componenti, tutte, di quel balsamo del compatire, offerto dall’ascolto, dallo sguardo e dal silenzio. Perché anch’esso – il silenzio – può essere, a volte, l’espressione eloquente della nostra vicinanza a chi soffre. Ed anche alla celebrazione del silenzio ed alla letteratura che lo privilegia, esortano Borgna ed il suo agire terapeutico, tanto da ricalcare, in un bellissimo scritto di qualche anno fa (“Come in uno specchio”), il titolo di quel capolavoro del cinema che è la bergmaniana “trilogia del silenzio”. Si legga a pagina 22: «Accogliere e interpretare il linguaggio del silenzio significa accogliere e interpretare il linguaggio dei volti che nascondono in sé cascate inesauribili di gioia e di pena, di nostalgia e disperazione: delle quali è necessario cercare di decifrare i significati oscuri e talora desertificati del senso».



In questo suo excursus singolare ed iridato (a poeti e letterati si affiancano filosofi e mistici come Kierkegaard, Teresa d’Avila, Nietzsche, Teresa di Lisieux e Teresa di Calcutta), Borgna ci cautela di fronte alla necessitante razionalità dell’anamnesi clinica – non di rado surrogabile appropriatamente coi vissuti del sentire – e ci suggerisce la ricerca di senso in qualsivoglia singola narrazione, in ciascuna umana esperienza.
Quivi risalta una prima virtù del libro: in questo invito alla pariteticità, alla condivisione, là dove, troppo sovente, v’è soltanto rancore per la mortificazione d’un corpo sfidato dalla propria impotenza; condivisione che è virtù efficace a negare il riduzionismo biologico entro cui l’esperienza del soffrire viene frettolosamente circoscritta, così derubricando ad episodio del singolo il mistero di essere nel mondo.
Altro privilegio, che permea l’opera tutta, è la verifica della possibilità d’un punto in comune nei percorsi inventivi della scienza e dell’arte (psichiatria o poesia): l’incrocio ove si realizza l’interruzione del prevedibile, sostituito da un comportamento inatteso. Giustappunto in tale interruzione dell’ordinario (quel che si è soliti definire “normale”) sta la creatività (scientifica ed artistica).
E dunque? Dunque è necessario frequentare questo incrocio, non tentare vie alternative – certezze impossibili – che ci distanziano dall’incontro con le ragioni segrete del cuore ferito. Peraltro, una consuetudine migliore con l’immaginario poetico non contribuirebbe ad arricchire il corredo dell’incontro, avvicinandolo all’unicità di ciascun malato, così come ha acutamente notato Tolstoj nelle memorabili pagine sull’infermità di Nataša?
Gli scritti di Eugenio Borgna ci aiutano in questo itinerario: a cogliere ed accettare l’inquietante scomparsa dei confini tra realtà psicopatologica e territorio pre-categoriale.

Chiara Fedeli