Il sesso è (quasi) tutto

di Stefano Cagliano




Anche se ordinaria di Patologia generale all’università di Padova dove insegna Generi, saperi e giustizia sociale, anche se direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica nella Città della speranza, anche se nel comitato scientifico della Fondazione Onda indicante l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, presente nel consiglio direttivo del Centro Elena Cornaro per gli studi di genere dell’università, ebbene, Antonella Viola, immunologa, nonostante questo lavoro fa anche altro. Per esempio scrive libri, uno nel 2020 (“Danzare nella tempesta”) e uno due anni dopo, ed è quello di cui ci stiamo occupando: “Il sesso è (quasi) tutto”. Come probabilmente il lettore sa, partecipa a innumerevoli dibattiti televisivi su covid-19, con contenuti convincenti e viso rassicurante.

Può darsi che a qualcuno queste righe possano sembrare sottilmente critiche, ma non è così. Semmai è vero il contrario. Moltissimi (me compreso) hanno apprezzato quanto diceva e dice la Viola per esempio su La7, nello studio di Lilli Gruber, in alcuni dibattiti sulla pandemia.

Queste righe iniziali son servite non solo a presentarla professionalmente, se mai ce ne fosse bisogno, ma a indicare solo che quella di “Il sesso è (quasi) tutto” è materia di tutti i giorni per lei.

Consapevole delle condizioni in cui vive l’Italia, non solo della scarsa propensione alla lettura, della pseudo-alfabetizzazione di materie scientifiche, di una rappresentazione arcaica del rapporto uomo-donna, nel suo libro Antonella Viola presenta un sommario di idee nell’Introduzione e poi organizza gli otto capitoli e la conclusione dividendoli in due parti: la prima centrata su Scienza e medicina del sesso e la seconda su Scienza e medicina di genere. Il libro si conclude con una bibliografia. Le pagine sono una sintesi della sua posizione attuale nel mondo, condivisa da molti, anzi da molte.

E così, sostiene nell’Introduzione, siamo diversi l’uno dall’altra molto più di quanto non s’immagini, in primo luogo geneticamente. Ma questa diversità occorre conoscerla meglio perché «la scienza ci può aiutare perché ci dice che l’orientamento sessuale è biologicamente determinato» 1 (p.13) . La storia ci dice che «il corpo femminile [è stato] poco studiato, poco considerato e, come conseguenza, curato male». Sembra il peana di una rivoluzione culturale. «Che in questo ambito – prosegue Viola – una rivoluzione sia urgente emerge con grande chiarezza guardando alcuni dati della medicina che per secoli è stata una medicina dei maschi, per i maschi bianchi. Continuare a non vedere questo squilibrio gravissimo significa rinunciare alla cura, quella medicina di precisione tanto sbandierata quanto falsa, se si cura con precisione solo il 50% della popolazione» 1 (p.13) . Non deve sorprendere «che buona parte della medicina sia riferita alla fisiologia del maschio caucasico di circa 70 chili di peso» 1 (p.71) .

Il libro sviluppa, insieme a un’iniziale e doverosa alfabetizzazione del lettore su Dna, mutazione, utilità degli errori per l’evoluzione, un quadro convincente di quanto abbiamo scoperto intorno al sesso biologico degli esseri viventi. Per dire a una persona “sei una donna” o “un uomo” non sono sufficienti i dosaggi ormonali o l’esame citologico alla ricerca di cromosomi X e Y. «Oggi […] sappiamo che il sesso maschile è determinato da una piccola sequenza di geni chiamata SRY (Sex-determining region of the Y)» 1 (p.47) . La presenza di questo grappolo di geni sul cromosoma Y determina la mascolinità genetica, la sua assenza (presente o meno il cromosoma Y) la femminilità. Naturalmente le cose non sono così semplici però.

Se il problema fondamentale è che il sesso anagrafico è binario, osserva Viola, «quello biologico non sempre lo è. E per riuscire a incastrare le persone in una delle due caselle “maschio” o “femmina” operiamo delle forzature su chi presenta variazioni e non è immediatamente o facilmente riconducibile a questa variazione» 1 (p.48) . Il problema è che ogni volta che si esercita ogni forma di pressione su un neonato “malformato”, si fa violenza. E per questo, scrive ancora, «la medicalizzazione di queste alterazioni è una forma di violenza nei bambini e deve poter avvenire solo in persone adulte consapevoli del percorso che stanno per intraprendere. […] Ricordiamo che l’intersessualità è una condizione frequente che può arrivare a interessare un bambino ogni 100» 1 (p.50) . In generale, osserva la Viola, non si sceglie di essere bisessuali, transessuali, omosessuali, eterosessuali. «Ogni orientamento sessuale è secondo natura ed è inaccettabile la violenza che viene rivolta contro determinate persone sulla base di quello che sono» 1 (p.13) .

Nel 1912, le pagine di “La donna medico di casa” facevano leggere cose rassicuranti alle signore, anche parlando di “cardiopatie”. Nelle donne, diceva il libro, «per la maggior parte i disturbi cardiaci dipendono da un eccitamento nervoso che in molti casi si collega per via riflessa con malattie degli organi genitali (utero e ovaie) e perciò non tardano a scomparire quando l’affezione uterina od ovarica sia giunta a guarigione» 2 (p.375) . Il tempo però è stato giusto, più che misericordioso. Così mentre per molti anni si è ritenuto che le patologie cardiocircolatorie fossero un problema maschile, «il cuore delle donne è stato poco seguito e studiato» 2 (p.72) mentre oggi si sa che «anche nelle donne le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte» 2 (p.72) . Nel nostro Paese, riporta la Viola, queste malattie «causano il 43% delle morti femminili contro il 33% di quelle maschili». E non solo.

Peccato che non sia citato lo studioso inglese Charles Snow e il suo pamphlet “Le due culture”, ma anche la Viola lamenta la parzialità di certi ambienti culturali. «Decine di brillantissimi immunologi, biochimici, biologi molecolari, oncologi – scrive – che avrebbero potuto insegnarmi tanto delle loro discipline, ma che non si erano mai accostati alla filosofia. D’altro canto – continua – un vero umanista oggi non può essere completamente privo di nozioni di biologia, ecologia e fisica» 2 (p.119) . Se le persone leggessero di più, anche ciò che fanno gli “altri”, non solo farebbero cosa buona e giusta, ma anche cosa utile a loro stessi. L’analisi di queste pagine potrebbe bastare quasi, ma occorre aggiungere qualcosa.

Primo, compare d’un tratto una frase in apparenza senza sequenza logica, almeno a mio parere, («Nonostante questo esperimento sia stato molto discusso e contestato e nonostante al momento non possiamo confermare i risultati, l’idea è tutt’altro da scartare») e per verificarne l’affidabilità volevo vedere a quale fonte bibliografica si riferisse. Non è stato possibile. Si parla solo di «un articolo di molti anni fa» mentre la bibliografia del volume ne presenta uno del 1986, uno del 1996 e uno del 2001: l’autrice era sicura che si riferisse al primo e non al secondo? Sono errori fastidiosi che però vanno ascritti all’editore e che in un libro di divulgazione scientifica sono da censurare. La bibliografia ha la sua importanza e ci sono modi diversi per proporla.

Secondo, mi sono chiesto per quale ragione Viola non menzioni donne che negli anni scorsi hanno conquistato spazi significativi culturali e politico-culturali. Se l’autrice parla del degrado ambientale senza una commendevole omissione del nome di Greta Tunberg, l’omissione non è ammessa per quanto hanno fatto, per esempio, nei decenni scorsi (non anni) Fiona Godlee, editor-in-chief del BMJ 3-5 o Barbara Mintzes e Ellen ‘t Hoen, prima all’Health Action International, poi professore associato a Sidney la prima e coautrice di Sex, Lies and Pharmaceuticals (con Ray Moynihan, 2010), «tuttora un’attivista medica internazionale la seconda, inserita nel 2006 dalla rivista Managing Intellectual Property tra le 50 persone più influenti al mondo in materia di proprietà intellettuale» 6 .

Inoltre, se ho ricordato il lavoro editoriale di Fiona Godlee con “Covid-19: perché abbiamo ancora bisogno di più donne nel mondo accademico” 7 o di Sarah Stewart-Brown con “La diversità di genere nella medicina accademica” 8 non è solo per meriti personali. Sono solo due esempi di quanto ha fatto e fa sull’argomento il BMJ da anni. E mi sono chiesto allora perché al periodico l’autrice abbia lasciato uno spazio striminzito, solo una citazione, forse poco.

Last but not least, l’autrice sostiene più volte nel libro che la medicina ha bisogno di raddrizzare la barra e indica anche in che direzione: «Verso una vera medicina genere-specifica» 1 (p.90) . Argomento di cui si parla sempre più spesso, in siti diversi, anche in Forward , per esempio 9 . Dobbiamo però considerare che alcuni passi avanti sono sotto gli occhi di tutti, se pensiamo – ma è solo un esempio – al contributo di donne alla crescita del sapere scientifico con il lavoro di “governo” di progetti come quello del BMJ prima citato o del New England Journal of Medicine , diretto (o co-diretto) per molte stagioni da Marcia Angell. Persona che ha dato un contributo essenziale alla costruzione di consapevolezza sul tema dei conflitto di interessi, «che esistono praticamente in ogni campo della medicina, in particolare quelli che dipendono fortemente da farmaci o dispositivi. Semplicemente non è più possibile credere a gran parte della ricerca clinica che viene pubblicata, o fare affidamento sul giudizio di medici fidati o linee guida mediche autorevoli. Non provo alcun piacere per questa conclusione, a cui sono giunta lentamente e con riluttanza nel corso dei miei due decenni come direttore del New England Journal of Medicine » 10,11 .

Ora negli Usa c’è solo da augurare un gran buon lavoro a Kirsten Bibbins-Domingo, la prima persona di colore a ricoprire il ruolo di redattore capo del JAMA. Dobbiamo essere consapevoli però che è un Paese difficile, dove il 25 marzo scorso dallo stesso posto è stato sollevato Howard Bauchner per le critiche mosse al modo in cui la rivista ha discusso del razzismo in medicina. Un comportamento definito da Aletha Maybank, chief equity officer dell’American Medical Association, «una dimostrazione di razzismo strutturale e istituzionale» 12 . Credo che la Bibbins-Domingo continuerà a fare ciò che ha fatto sinora, ovvero “affrontare” medici di culture diverse.

Restando in questo ambito, un’ultima considerazione: le donne cedono meno di frequente dei colleghi maschi alle lusinghe delle industrie: qualcuno sostiene che siano meno corteggiate, perché il loro ruolo accademico è meno rilevante. Ma vogliamo credere che il motivo non sia questo. È da questa evidenza che potremmo ripartire…

Bibliografia

1. Viola A. Il sesso è (quasi) tutto. Milano: Feltrinelli, 2022.

2. Fisher-Duckelmann A. La donna medico di casa. Torino: Carlo Pasta, 1912.

3. Godlee is made BMJ’s first woman editor. Press Gazette 2005; 11 febbraio.

4. Fiona Godlee. Lancet 2005; 365: 1023.

5. Macdonald H. Feature Christmas 2021: Time Warp. The BMJ Interview: in conversation with Fiona Godlee. BMJ 2021; 375: n2986.

6. Ellen ‘t Hoen. Wikipedia. Disponibile su: https://bit.ly/3LkGl92 [ultimo accesso 29 marzo 2022].

7. Godlee F. Covid-19: why we still need more women in academia. BMJ 2020; 371: m4161.

8. Stewart-Brown S. Gender diversity in academic medicine. BMJ 2020; 371: m4076.

9. Medicina genere specifica, un passo etico e un dovere scientifico. Per andare verso una reale applicazione della medicina di precisione. Forward 2021; 25 ott 2021.

10. Angell M. Drug companies & doctors: a story of corruption. The New York Review of Books 2009; 15 gennaio.

11. Angell M. Farma&Co. Industria farmaceutica: storie straordinarie di ordinaria corruzione. Milano: Il Saggiatore, 2006, pp. 252.

12. Williams S. Top JAMA Editor Leave in Fallout Over Racism Podcast. TheScientist 2021; 26 Marzo.