In questo numero

La seconda parte dell’editoriale di Raffaele Giusti e Dario Trapani è un invito esplicito rivolto alle riviste scientifiche ad agire per un cambiamento di rotta: “È innegabile che le riviste scientifiche coprano un ruolo fondamentale nella comunicazione efficace del dato” scrivono i due autori a pag. 702. Questo invito giunge a conclusione d’anno e anche per questo è una sollecitazione preziosa per fare il punto condividendo qualche riflessione con i nostri lettori, partendo da una descrizione sintetica della situazione complessiva dello stato dell’editoria scientifica internazionale.

Il mercato globale dell’academic publishing continua a crescere costantemente: dal 2018 al 2019 è passato da un valore di 27 a 28 miliardi di dollari. Sebbene nel 2020, anno d’inizio della pandemia globale, il mercato abbia subito una contrazione a 26,5 miliardi si prevede infatti che riacquisterà il valore di 28 miliardi di dollari entro il prossimo anno. La crescita del fatturato complessivo va di pari passo con l’aumento del volume degli articoli pubblicati che ha continuato ad aumentare tra il 2015 e il 2020 a un ritmo medio tra il 5 e il 6,5%. In numeri assoluti vuol dire che, immaginando una produzione di 3 milioni di articoli in un anno, dobbiamo aspettarcene 3.200.000 nei dodici mesi successivi. Il tasso medio di crescita del numero delle riviste è tra il 2 e il 3% dal 2015: meno rapido di qualche anno fa, probabilmente perché ormai il concetto stesso di “rivista” non corrisponde più al significato che assegnavamo un tempo a questa parola. Oggi un periodico scientifico è un contenitore dallo spazio potenzialmente illimitato e questa caratteristica rende meno necessaria di un tempo l’espansione dei cataloghi degli editori. Tra i modelli di publishing, l’editoria ad accesso aperto è quella che sta crescendo più rapidamente, con un aumento dei ricavi dell’11,5% e della produzione del 12,5% (tassi di crescita annuali composti) nel periodo 2019-2022.

Gli Stati Uniti continuano a mantenere la quota maggiore del mercato globale, con il 40% dei ricavi nel 2018 e nel 2019. La Cina rimane il produttore più prolifico al mondo di item di ricerca pubblicabili e ha mostrato il più forte tasso di crescita medio della produzione a livello internazionale tra il 2018 e il 2020. Anche la Federazione Russa, l’India, la Spagna, il Brasile e l’Australia hanno registrato forti tassi di crescita dal 2018. Può sorprendere ma l’associazione internazionale degli editori scientifici e tecnici inserisce anche l’Italia tra le nazioni in cui la crescita è maggiore. Il formato digitale continua a dominare il mercato globale, arrivando a rappresentare l’89% del segmento scientifico e tecnico nel 2020, con un aumento del 10% rispetto al 2019. Grande produzione di contenuti e grandi investimenti complessivi delle istituzioni: negli ultimi vent’anni, negli Stati Uniti i bilanci delle università sono quasi raddoppiati in termini reali, mentre la percentuale spesa per le biblioteche si è quasi dimezzata.

Quest’ultimo è un dato molto allarmante: l’investimento per la lettura come strumento per l’aggiornamento dei professionisti sanitari sta crollando. Ne sono testimoni anche i medici italiani, vittime di un servizio sanitario che ha una fisionomia differente a seconda della geografia, non soltanto in relazione al parallelo ma anche alla distanza dal centro delle maggiori città della penisola. Il passaggio progressivo ma apparentemente inarrestabile dall’accesso alle riviste in base alla sottoscrizione di un abbonamento al cosiddetto “author-pay” sta implicitamente sottraendo valore ai contenuti scientifici. L’open access è nato sulla spinta di una democratizzazione della conoscenza ma ha finito col nuocere alla percezione dell’importanza dell’output della ricerca. Senza, peraltro, arrecare vantaggi alle istituzioni pubbliche che, al contrario, sono costrette a stringere con gli editori degli accordi ancora più onerosi di un tempo, resi solo meno evidenti dai cosiddetti transformative agreements che dovrebbero restituire alle istituzioni parte dei costi sostenuti per la pubblicazione su riviste per le quali già si è speso per l’accesso ai contenuti.

Alla luce dei dati, è difficile pensare che dagli editori scientifici giunga un aiuto alla comunità scientifica nella direzione auspicata da Giusti e Trapani. L’industria editoriale è troppo sbilanciata verso la ricerca del profitto per immaginare possibile un’inversione di rotta che restituisca all’editoria il ruolo formativo che l’ha caratterizzata per molti decenni. Il publishing scientifico è ormai prevalentemente organizzato per rispondere all’esigenza degli autori di pubblicare per sostenere il progredire delle carriere, così che viene da domandarsi se una qualunque delle centinaia di riviste internazionali potenzialmente adatte avrebbe pubblicato oggi il saggio di Claudio Rapezzi che offriamo ai nostri lettori (pag. 713). Kant, Popper, Umberto Eco, Vasco Rossi o Botero, fino ai detective investigatori (pag. 754): difficile – se non impossibile – leggerne nei tre milioni di articoli pubblicati ogni anno in giro per il mondo.