In questo numero

Gli scontri armati hanno continuato in questi anni a martoriare molti paesi: nel 2022 si è registrato il più alto numero di conflitti armati dalla fine della seconda guerra mondiale e ora, nel 2023, questa tendenza si conferma drammaticamente in un’ulteriore spirale di violenza che coinvolge non solo Ucraina e Medio Oriente, ma anche numerosi altri luoghi, in assenza di iniziative efficaci a favore di soluzioni diplomatiche e non violente.

Vogliamo aprire questo numero della rivista informando che l’Associazione italiana di epidemiologia ha promosso un documento condiviso da diverse altre società, associazioni e riviste – tra cui Recenti progressi in medicina – preparato per sottolineare che non esistono mai giustificazioni all’uso della guerra per risolvere le controversie tra i popoli, come esplicitamente affermato dalla Costituzione italiana1 e dalla Carta delle Nazioni Unite2, che rifiuta la dottrina della “guerra giusta”.

Il documento riafferma con forza quanto sostenuto dalla Carta di Ottawa3, a cui la comunità di sanità pubblica internazionale si ispira, secondo cui la pace è il primo dei prerequisiti fondamentali per la salute. Solo in seconda battuta vengono elencati l’abitazione, l’istruzione, il cibo, un reddito, un ecosistema stabile, le risorse sostenibili, la giustizia sociale e l’equità. Tutti fattori egualmente compromessi o distrutti dalla guerra, con effetti che perdurano ben oltre la cessazione delle ostilità.

L’uso bellico delle tecnologie disponibili fa sì che i conflitti armati si caratterizzino per:

mancanza di limiti spaziali, temporali e giuridici;

impossibilità di discriminare tra obiettivi militari e civili (comprese le strutture sanitarie);

violazione delle leggi umanitarie internazionali;

effetti negativi per la salute umana, a breve, medio e lungo termine;

forte impatto negativo sulle persone più giovani e le generazioni future;

effetti negativi sulla sicurezza alimentare;

danni ambientali e dell’ecosistema, con ulteriore accelerazione della crisi climatica.

A ciò si affiancano le crescenti minacce di utilizzo di ordigni nucleari, che generano un rischio talmente grave per la salute delle popolazioni, che le più importanti riviste mediche internazionali hanno sentito il dovere di pubblicare congiuntamente un editoriale4 con cui invitavano le associazioni delle professioni sanitarie di tutto il mondo a informare i propri membri e a sostenere ogni sforzo per ridurre i rischi di una guerra nucleare, compresi quelli determinati da errori e da azioni non intenzionali.

In questo contesto la comunità scientifica sanitaria deve far sentire la propria voce a favore dell’interruzione di tutte le guerre in atto e della prevenzione di quelle future, attraverso la ricerca di soluzioni non violente efficaci, che intervengano sulle cause alla base dei conflitti, in coerenza con gli obblighi deontologici e con l’Iniziativa Globale per la Pace e la Salute dell’Organizzazione mondiale della sanità5.

Prevenire e contrastare i conflitti implica sostenere il rafforzamento delle infrastrutture di peacekeeping e peacebuilding delle Nazioni Unite e richiedere la riduzione delle spese militari, reindirizzando le risorse verso obiettivi di benessere sociale, di salute e di promozione dell’universalismo dei sistemi sanitari.

Quanto al rischio di conflitti nucleari, chiediamo al governo italiano di garantire la propria partecipazione ai prossimi incontri delle Nazioni Unite sul Trattato sulla proibizione delle armi nucleari6, con il fine ultimo di firmarlo e ratificarlo. Contestualmente, si chiede ai decisori di mettere in atto – e all’opinione pubblica di sostenere – interventi concreti, quali la protezione del personale, delle strutture e dei servizi dei sistemi sanitari dei paesi colpiti dalla guerra, e l’accoglienza delle persone che fuggono da aree di conflitto.

A chi opera per la salute competono alcuni compiti specifici:

contribuire alla descrizione quantitativa degli effetti diretti e indiretti della guerra sulla salute;

approfondire le relazioni complesse che legano la guerra ad altri eventi, a loro volta fattori di rischio per la salute, quali migrazioni, carestie, alterazioni degli ecosistemi;

elaborare strategie di prevenzione e di mitigazione dei danni alla salute prodotti dall’insieme di fattori che precedono e seguono i conflitti;

informare e responsabilizzare la popolazione e i decisori sulle strategie di contrasto più efficaci.

Le associazioni firmatarie della dichiarazione si impegnano a proseguire nel lavoro su questi temi e in questi ambiti, in adempienza dei propri doveri etici e deontologici.




Bibliografia

1. Costituzione italiana, art. 11. https://lc.cx/FkY-PD

2. United Nations Charter, vd. Preambolo e art. 51. https://lc.cx/qavZFZ

3. WHO. The 1st International Conference on Health Promotion, Ottawa, 1986. https://lc.cx/DJKn19

4. Abbasi K, Ali P, Barbour V, et al. Reducing the risks of nuclear war. The role of health professionals. JAMA 2023; 330: 601-2.

5. WHO Global Health and Peace Initiative (GHPI). https://lc.cx/6ubm5h

6. United Nations. Treaty on the prohibition of nuclear weapons (TPNW). https://lc.cx/WBUEd6