Dalla letteratura

Sulle tombe dei giganti

Per emergere, i ricercatori onesti devono aspettare che gli opinion leader muoiano? Ne erano convinti pensatori medievali e Isaac Newton: siamo nani sulle spalle di giganti. Però, se l’accumulo di conoscenza – il processo attraverso il quale le nuove ricerche producono nuove informazioni avvantaggiandosi degli studi svolti in precedenza – è fondamentale per il progresso scientifico, i meccanismi che regolano queste dinamiche non sono del tutto chiari. Ma c’è chi li studia arrivando a conclusioni interessanti.

Nel saggio “Does Science Advance One Funeral at a Time?” Pierre Azoulay, Christian Fons-Rosen e Joshua S. Graff Zivin cercano di ragionare a partire da una battuta del fisico Max Planck1. La morte prematura di ricercatori di primo livello influisce sulla dinamica delle scoperte scientifiche. Ma come, direte voi?

La questione è più semplice di quello che pensi: quando muore un top researcher, chi era lontano dal suo giro di collaborazione diventa più visibile anche semplicemente perché c’è più spazio (e attenzione) sulla letteratura scientifica che conta. È così che dopo ogni funerale nascono una o più stelle e si tratta spesso di ricercatori di valore che fino a quel momento erano considerati marginali o che comunque evitavano – per un motivo o per l’altro – di misurarsi scientificamente con personalità di valore portatrici del pensiero mainstream. I tre autori – il primo economista al MIT e gli altri in due università californiane – hanno seguito le pubblicazioni di quasi tredicimila ricercatori prima e dopo la morte di una superstar della ricerca. Per restringere l’ambito dello studio, si sono concentrati sugli accademici delle scienze della vita, un settore fortemente sostenuto dai finanziamenti dei National Institutes of Health e che produce un elevato volume di ricerca. Gli scienziati sono stati selezionati in base ai fondi ricevuti, alle citazioni dei propri lavori su riviste indicizzate in Medline/PubMed, al numero di brevetti di cui erano titolari, all’appartenenza a organizzazioni prestigiose e a riconoscimenti e premi alla carriera. Hanno poi esaminato i dati di 452 di questi ricercatori d’élite morti prematuramente tra il 1975 e il 2003.

Ed ecco i risultati: dopo la morte di un caposcuola di prestigio, il numero di articoli dei collaboratori diminuiva di circa il 40%. Al contempo il flusso delle pubblicazioni dei ricercatori che non facevano parte della rete di collaboratori del defunto aumentava in media dell’8% ed entro cinque anni dalla morte l’attività di chi era più distante dallo scienziato passato a miglior vita arrivava a compensare completamente il calo di produttività dei collaboratori del trapassato. Beninteso: sembra che questi numeri non siano dovuti a una particolare influenza dei top player sui comitati scientifici delle riviste ma al desiderio dei ricercatori meno conosciuti di non scontrarsi con i colleghi più noti. È solo dopo il funerale – per così dire – che gli outsider prendono coraggio e trovano la forza di esporsi con tesi talvolta scientificamente provocatorie: ottenendo talvolta molta attenzione e un impatto citazionale ragguardevole.

Paura del cambiamento?

Diciamolo chiaramente: questo tipo di studi è affascinante. Si parla tanto di innovazione, ma negli ambienti della scienza accademica il cambiamento è visto con terrore. L’analisi dell’assegnazione dei premi Nobel così come delle targhe e dei certificati che clinici e ricercatori appendono alle pareti del proprio studio, ci dice che si tende a premiare quelle che sono definite “sorprese conservatrici”2. Le società scientifiche fanno congressi e conferenze, pubblicano articoli e documenti presentando il più delle volte contenuti scientifici già noti ai loro iscritti. Nonostante la proliferazione di premi nel tempo e in tutto il mondo, i riconoscimenti restano all’interno di un gruppo relativamente ristretto di élite scientifiche tra loro collegate, così che viene naturale pensare che sia un numero relativamente limitato di ricercatori a lavorare per ampliare i confini della scienza. Per dire: il 64,1% dei premiati ha vinto due premi di quelli importanti e il 13,7% ha vinto cinque o più premi3. E in questo – relativamente piccolo – mondo di studiosi ci si cita l’un l’altro sia perché molto spesso ci si conosce e ci si stima reciprocamente, sia perché è un modo semplice per scambiarsi una cortesia e compiacere gli editor delle riviste e i referee. Su Retraction Watch, Richard Phelps li ha chiamati strategic scholars: «Quelli che citano il lavoro dei loro amici, dei colleghi di lavoro, di coloro con cui sono d’accordo e di coloro che fanno riferimento a loro. In effetti, gli strategic scholar di maggior successo operano in gruppi composti da colleghi che la pensano allo stesso modo e che promuovono insieme le carriere degli altri: cartelli di citazione. Attirano l’attenzione sugli altri lavori che sostengono la loro carriera»4.

Chi pubblica e cita in modo “strategico” e opportunistico lo fa a svantaggio di quelli che Phelps definisce ricercatori sinceri, in altre parole quelli disponibili e attenti a riconoscere in maniera disinteressata anche il lavoro degli studiosi con cui non sono in contatto. Questi rapporti squilibrati nella diffusione delle informazioni possono produrre grandi disparità nell’effettiva produzione di conoscenza e nella comprensione della realtà da parte della società. Lo status e le ricompense nel mondo accademico si basano sulla produzione di letteratura – come noto – ma anche sulla percezione dell’impatto di questi lavori da parte degli altri ricercatori: anche a questo dobbiamo la nascita di veri e propri “citation club”5.

Insomma: per fare carriera la cosa più sicura è coltivare il proprio orto, dando meno fastidio possibile con ipotesi di ricerca destabilizzanti e cercando di compiacere colleghi e, soprattutto, capi Scuola. Ma un lavoro di Feng-Shi e James Evans uscito su Nature Communications propone un seducente punto di vista secondo il quale molti passi avanti significativi per la conoscenza avvengono proprio quando un gruppo di ricercatori si avventura in un territorio distante dal proprio per approcciare una questione rilevante in modo inusuale6. Le hanno chiamate “knowledge expedition”, proprio a sottolineare il carattere di avventurosa incursione in una terra governata da altre persone, probabilmente ostili. Lo studio dell’impatto di queste ricerche non è però arrivato a conclusioni certe: da una parte lo sguardo interdisciplinare potrebbe risultare poco gradito a chi lavora nel campo specifico, dall’altra a una quantità inferiore di pubblicazioni potrebbe corrispondere un numero più alto di citazioni, dovute all’innovatività dell’approccio. Stando così le cose, come dovrebbe regolarsi una giovane ricercatrice o ricercatore che desiderasse far carriera? Sembrerebbe che le alternative siano due. Dando retta a Isaac Newton monterebbe (beninteso chiedendo il permesso) sulle spalle dei giganti, Maestri o capo Scuola che siano, sperando di riuscire a guardare almeno un poco più lontano di loro. Oppure, confidando in Azoulay, Fons-Rosen e Graff Zivin potrebbe sfogliare i necrologi del Corriere della sera sperando in qualche buona notizia.

In generale, è meglio essere realisti ed evitare di cadere nella banalità o nell’eccessivo ottimismo: cose tipo “mantieni la tua indipendenza e libertà” semplicemente non funzionano. Sufficientemente concrete e comunque suggestive sono le parole di Seth Godin: «Un approccio innovativo non sarà mai accolto da tutti, almeno all’inizio. Se hai bisogno dell’approvazione di tutti, non andrai avanti. E non conviene. Se lo fosse, qualcuno l’avrebbe già fatto. Infine, non è sicuro che funzioni. Se hai bisogno di una o di tutte e tre queste cose per portare avanti il tuo progetto, probabilmente dovresti scegliere un progetto diverso».

Bibliografia

1. Azoulay P, Fons-Rosen C, Zivin JS. Does science advance one funeral at a time? Am Economic Rev 2019; 109: 2889-920.

2. Zuckerman H. Views: the sociology of the Nobel Prize: further notes and queries: how successful are the Prizes in recognizing scientific excellence? American Scientist 1978; 66: 420-5.

3. Ma Y, Uzzi B. Scientific prize network predicts who pushes the boundaries of science. Proc National Acad Sciences 2018; 115: 12608-15.

4. Phelps R. How citation cartels give ‘strategic scholars’ an advantage: a simple model. Retraction Watch 2022; 17 maggio.

5. Baccini A, De Nicolao G, Petrovich E. Citation gaming induced by bibliometric evaluation: a country-level comparative analysis. PLoS One 2019; 14: e0221212.

6. Shi F, Evans J. Surprising combinations of research contents and contexts are related to impact and emerge with scientific outsiders from distant disciplines. Nature Communications 2023; 14: 1641.

Luca De Fiore

Profitti di peso

Prova a dire quante sono intorno a te le persone adulte in sovrappeso o chiaramente obese. È possibile siano più di quanto pensi. Un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dice che poco meno del 69% degli adulti e quasi 1 bambino su 3 in Europa sono in sovrappeso o convivono con l’obesità1. Dietro l’evidenza di questa epidemia c’è un’industria fiorente, quella alimentare. Ma è molto probabile – c’è chi è quasi sicuro – che anche un’altra industria sta traendo vantaggio da questi numeri. In un modo o nell’altro.

Come leggiamo in un importante articolo uscito lo scorso anno sul Lancet, la prevalenza dell’obesità tra gli adulti è aumentata del 138% tra il 1975 e il 2016, con un incremento del 21% tra il 2006 e il 20162. Nello stesso periodo (1975-2016), la prevalenza di sovrappeso e obesità tra i bambini di età compresa tra i 5 e i 19 anni è aumentata di quasi tre volte nei ragazzi e più che raddoppiata nelle ragazze. Inoltre, il sovrappeso e l’obesità sono la causa di 13 diversi tipi di cancro e sono tra le principali cause di morte e di disabilità nella regione europea, causando più di 1,2 milioni di morti all’anno e contribuendo al 7% del totale degli anni di vita vissuti in malattia o con una disabilità.

Dunque, i dati epidemiologici parlano chiaro. Ma sono davvero eloquenti anche i numeri dei mercati finanziari. “Dopo 100 anni di esistenza relativamente tranquilla come produttore di farmaci per il diabete, un’azienda danese è improvvisamente cresciuta così tanto da ridisegnare l’economia della sua nazione” leggiamo sul New York Times3. «Il motivo: Ozempic e Wegovy, due farmaci prodotti da Novo Nordisk che hanno nell’obesità la propria indicazione sono stati dichiarati rivoluzionari». E c’è da scommettere che molto presto non sarà soltanto questa azienda il solo big player: “Più di mezza dozzina di industrie, da Pfizer e Amgen a società più piccole come Altimmune, stanno lavorando a terapie finalizzate alla perdita di peso» considerandole un importante motore di crescita futura, prevede l’agenzia Reuters4. Si tratta di farmaci che, inizialmente sviluppati per il trattamento del diabete di tipo 2, attenuano il desiderio di mangiare imitando l’azione di un ormone intestinale che regola l’appetito.

Siamo di fronte a qualcosa di inedito: lascia stupefatti che il successo di Novo Nordisk sia tale da spiegare quasi da solo la recente crescita economica della Danimarca, dando un incredibile beneficio all’economia e alle finanze del Paese. «Nelle ultime settimane – spiega Matt Phillips su Axios – il valore di mercato di Novo Nordisk ha superato le dimensioni dell’intera economia danese5. L’impennata del prezzo delle sue azioni l’ha resa la seconda società di maggior valore in Europa, dopo il gruppo di beni di lusso LVMH (Louis Vuitton, Dior, Hennessy e Tiffany). L’ombra dell’azienda è così estesa che gli economisti danesi stanno discutendo se il Paese debba produrre e diffondere un’altra serie di statistiche economiche che escluda Novo Nordisk. In altre parole, c’è Novo Nordisk e c’è il resto dell’economia». Ma il mercato è in tale crescita che proprio a ridosso dell’articolo uscito su Axios di nuovo la Reuters annunciava che l’azienda danese aveva superato – con una capitalizzazione pari a 424,7 miliardi di dollari – la società francese dei beni di lusso, diventando la prima nel mondo. Addirittura, alcuni economisti danesi temono che il Paese possa diventare troppo dipendente da Novo Nordisk, paragonando il rischio ai problemi vissuti dall’economia finlandese dopo la perdita del dominio di Nokia nel settore dei cellulari. È sicuramente uno sconvolgimento, quello che sta avvenendo nella nazione scandinava, che ha portato grandi benefici a un’impresa ma che ancora non si riflette in vantaggi per la popolazione: non c’è stato infatti un corrispondente aumento dell’occupazione. Negli ultimi cinque anni, Novo Nordisk ha aggiunto 3,4 punti percentuali alla crescita della Danimarca, ma solo 0,1 punti al numero di lavoratori impiegati.

Effetti sociali di farmaci rivoluzionari

Che un farmaco funzioni e che possa portare benefici alla salute è sicuramente una buona notizia. Ma qualsiasi notizia – buona o cattiva – di questa portata può avere un impatto enorme sulla società nel suo complesso. «Gli analisti del settore hanno avvertito che il crescente uso di farmaci per la perdita di peso come Wegovy e Ozempic – entrambi nomi commerciali di un farmaco chiamato semaglutide – potrebbe cancellare la domanda di prodotti e servizi in un’ampia gamma di settori, tra cui quello alimentare, del fitness e della medicina». La riflessione di Eshe Nelson sul più importante quotidiano del mondo è convincente: in effetti, potrebbe davvero succedere che dopo essere riuscita a ridurre il proprio peso, una persona sia meno motivata ad andare in palestra e decida di lasciar perdere. Allo stesso modo però, è anche possibile che un adulto obeso riduca il proprio peso riuscendo finalmente a trovare la capacità di muoversi e di tornare a fare ginnastica. Se gli effetti socioeconomici di una rivoluzione di questo tipo sono ancora tutti da verificare, c’è da dire che nell’ottobre 2023 John Furner – amministratore delegato della catena di ipermercati Walmart – ha dichiarato che i riflettori accesi sul “problema obesità” che hanno accompagnato il lancio di questi medicinali ha portato a dei cambiamenti nel modo in cui gli americani fanno acquisti, con un «leggero calo del carrello complessivo». E sono bastate queste parole a provocare un mezzo terremoto nei mercati azionari alimentari e delle bevande zuccherate. Questa volta al ribasso.

Se realmente fossimo di fronte a una rivoluzione – e c’è chi, come la rivista Time, ne è convinto avendo incluso questi farmaci tra le best inventions 2023 – dovremmo prepararci a conseguenze a diversi livelli e in molti ambiti differenti. L’amministratore delegato di Nestlé, Mark Schneider, ha dichiarato nel corso di un briefing finanziario che l’azienda sta lavorando a una serie di ausili per la salute che saranno indirizzati al crescente numero di persone che utilizzano proprio farmaci come Ozempic e Wegovy. Se i nostri carrelli al supermercato diventano più leggeri, imprenditori come Schneider capiscono come si stia aprendo ancora di più la strada a prodotti di supporto: pensiamo per esempio agli integratori per le persone che stanno dimagrendo o vitamine, minerali e altri nutrienti di cui qualcuno potrebbe aver bisogno nel passaggio a una dieta diversa. Schneider li ha definiti «prodotti di accompagnamento» che potrebbero anche aiutare a «limitare la perdita di massa muscolare magra» e a garantire che il peso perso non venga riacquistato. Una maggiore attenzione al proprio regime alimentare potrebbe intaccare i profitti dell’industria alimentare, ma il Ceo di Nestlé è convinto che il business aziendale non subirà flessioni in quanto continueremo tutti a bere caffè e a dar da mangiare ai nostri cani e gatti, sostenendo i due principali settori di attività dell’azienda.

Tornando ai farmaci miracolosi, se prescritti e assunti in modo appropriato è possibile che si rivelino un’arma importante nel contrasto all’obesità. Servono, però, politiche comprensive che incidano sui determinanti sociali ed economici: un approccio olistico è quello che raccomanda l’Oms. Attualmente però, molti Paesi si affidano prevalentemente a iniziative informative o educative che si sono rivelate costantemente inefficaci; iniziative tutto sommato non difficili da definire, politicamente non controverse e di facile attuazione6. Bisognerebbe invece guardare alle esperienze di alcune nazioni a basso o medio reddito che hanno messo in atto politiche nazionali più coraggiose e con maggiore impatto. Forse anche perché meno condizionati dalla pressione industriale, alcuni Paesi hanno disegnato iniziative di successo7, che spesso fanno leva sul ruolo di personalità leader presenti nelle comunità, nei quartieri, nei piccoli centri abitati. E quasi sempre i programmi che riescono ad avere un impatto sul sovrappeso e sull’obesità di una popolazione facilitano l’acquisto di frutta e verdura riducendone il costo e riducono sale, olio e zucchero nei cibi e nelle bevande confezionate.

Le soluzioni sono complesse e richiedono tempo e risorse. E anche in questo caso, in molti pensano che sia necessario ripartire dall’educazione dei bambini e delle bambine. Ancora una volta è la scuola la risorsa più preziosa.

Bibliografia

1. World Health Organization. Report: Europe can reverse its obesity “Epidemic”. Geneva: WHO, 2022.

2. Health-Europe TL. A holistic approach is needed to overcome the obesity epidemic. Lancet Reg Health Eur 2022; 17: 100431.

3. Nelson E. How Ozempic and weight loss drugs are reshaping Denmark’s economy. New York Times 2023; 28 agosto.

4. Erman M. Novo Nordisk rivals see room to compete in $100 m weight-loss drug market. Reuters 2023; 8 maggio.

5. Phillips M. Novo Nordisk, maker of Ozempic, useats LVMH as European’s stock market largest company. Axios 2023; 7 settembre.

6. Bellew W, Bauman A, Kite J, et al. Obesity prevention in children and young people: what policy actions are needed? Public Health Res Pract 2019; 29: 2911902.

7. Jackson-Morris AM, Miranda J, Nugent R. Tailoring off-the-shelf global evidence with local implementation research can boost action on overweight and obesity. Lancet Global Health 2023; 11: e826-7.

8. Cusi K. Our fight with fat: why is obesity getting worse? The Conversation 2017; 26 dicembre.

Luca De Fiore

L’uso di marijuana aumenta il rischio di scompenso cardiaco?

L’uso regolare di marijuana potrebbe associarsi a un aumento del rischio di scompenso cardiaco. È quanto emerge dalle anticipazioni di uno studio osservazionale prospettico presentato nel corso dell’edizione 2023 del meeting annuale dell’American Heart Association, svolto dall’11 al 13 novembre a Philadelphia1.

Il tema è di particolare interesse negli Stati Uniti dove l’uso della marijuana sta diventando sempre più popolare alla luce del numero crescente di Stati che ne hanno legalizzato l’uso per finalità ricreative oltre che mediche. Tuttavia, le implicazioni sono rilevanti anche per il contesto italiano dove si stima (dati Istat) un numero di consumatori pari a circa sei milioni.

I ricercatori hanno seguito 156.999 partecipanti del programma di ricerca dei National Institutes of Health All of Us che non avevano scompenso cardiaco al momento del reclutamento. L’età media dei partecipanti era di 54 anni, il 60,9% era di sesso femminile alla nascita e il 70,7% si identificava come appartenente all’etnia caucasica. Questi hanno compilato un questionario relativo alla frequenza del loro uso di marijuana (escludendo l’uso per motivi medici) e sono stati seguiti per quasi 45 mesi. I dati relativi all’uso, va sottolineato, non specificavano se la marijuana veniva inalata o ingerita.

L’analisi – che ha tenuto conto di fattori demografici ed economici, uso di alcol, fumo e altri fattori di rischio cardiovascolare – ha messo in evidenza un aumento del 34% del rischio di sviluppare scompenso cardiaco nelle persone che avevano riferito di usare quotidianamente marijuana rispetto a coloro che avevano riferito di non farne uso.

Aggiungendo all’analisi anche le patologie coronariche, il rischio di scompenso cardiaco è sceso dal 34% al 27%, suggerendo un possibile ruolo di queste condizioni nella relazione tra uso giornaliero di marijuana e rischio di scompenso cardiaco.

«I nostri risultati dovrebbero incoraggiare più ricercatori a studiare l’uso della marijuana per comprendere meglio le sue implicazioni sulla salute, specialmente sul rischio cardiovascolare», ha commentato Bene-Alhasan, tra gli autori dello studio. «Vogliamo fornire alla popolazione informazioni di alta qualità sull’uso della marijuana e aiutare a orientare le decisioni politiche a livello statale, educare i pazienti e guidare gli operatori sanitari».

Bibliografia

1. Bene-Alhasan Y, Osei AD, Tammara A, et al. Daily marijuana use is associated with incident heart failure: “All of Us” Research Program. Circulation 2023; 148 (Suppl_1): A1381

Fabio Ambrosino

in collaborazione con Cardioinfo.it