Dalla letteratura

Gli americani si fidano poco dell’intelligenza artificiale per le informazioni sulla salute

In un’era in cui l’intelligenza artificiale (IA) permea ogni lato della vita quotidiana, dalla gestione della casa alla finanza, un nuovo sondaggio rivela una certa riluttanza degli americani ad affidarsi alla tecnologia per uno degli aspetti più cruciali: la propria salute.

Il sondaggio, condotto dalla KFF, un’organizzazione non profit specializzata in politica sanitaria, getta luce su una crescente diffidenza nei confronti delle informazioni sanitarie generate dall’IA. Pubblicato sul JAMA, lo studio ha coinvolto oltre 2.400 adulti statunitensi, evidenziando come, nonostante la familiarità con questa tecnologia, la fiducia nelle sue applicazioni mediche rimanga sorprendentemente bassa1.

Lo studio ha rilevato che circa due terzi degli intervistati hanno avuto interazioni con l’IA, e uno su dieci la utilizza quotidianamente. Tuttavia, solo una risicata minoranza (5%) si è detta “molto fiduciosa” nell’accuratezza delle informazioni sanitarie fornite da queste fonti digitali. Più della metà degli adulti non era sicura se l’uso dell’IA per trovare informazioni sanitarie fosse utile o dannoso. Il resto era diviso equamente tra chi pensava che l’IA avesse un effetto positivo o negativo.

Un dato particolarmente interessante emerge dall’analisi dell’utilizzo di chatbot di IA come ChatGPT, Microsoft Copilot e Google Gemini. Mentre il 17% degli adulti li utilizza mensilmente per informazioni sulla salute, la percentuale sale al 25% tra i giovani sotto i 30 anni. Al contrario, solo il 10% degli over 65 si affida all’IA per tali questioni.

Il sondaggio rivela anche una sorta di “fiducia selettiva”. Se da un lato gli intervistati si mostrano scettici sull’uso dell’IA per informazioni mediche, dall’altro sono più propensi a ritenerla affidabile per compiti pratici o questioni tecnologiche. La politica, invece, si conferma un terreno minato anche per l’IA, con un livello di scetticismo ancora più elevato.

Ma cosa c’è dietro questa diffidenza? Il sondaggio non fornisce risposte definitive, ma gli esperti ipotizzano una combinazione di fattori. La paura di errori diagnostici, la mancanza di trasparenza sugli algoritmi utilizzati dall’IA e la preoccupazione per la privacy dei dati sanitari sono solo alcune delle possibili cause.

1. Orrall A, Rekito A. Poll: trust in AI for accurate health information is low. JAMA 2025; 333: 1383-4.

Fabio Ambrosino

in collaborazione con inmedicina.it

Scudo penale per i medici:
il Consiglio dei ministri approva la riforma

Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge delega in materia di professioni sanitarie che introduce modifiche al regime di responsabilità penale degli operatori del settore. Il provvedimento prevede la punibilità dei medici e del personale sanitario esclusivamente nei casi di colpa “grave”, estendendo in forma strutturale le tutele già sperimentate durante l’emergenza Covid-19.

Il testo stabilisce che gli esercenti le professioni sanitarie sono punibili penalmente solo per colpa “grave” quando si attengono alle “linee guida” definite per legge o alle “buone pratiche clinico-assistenziali”, purché queste risultino adeguate alle specificità del caso concreto. La norma introduce criteri specifici per la valutazione della responsabilità, includendo fattori quali la scarsità di risorse umane e materiali, le carenze organizzative non evitabili dall’operatore, i limiti delle conoscenze scientifiche, la complessità delle patologie e le situazioni di urgenza ed emergenza.

Il provvedimento tiene conto anche del ruolo specifico svolto in contesti di cooperazione multidisciplinare e della concreta disponibilità di terapie adeguate. Questi parametri mirano a fornire una valutazione più oggettiva della responsabilità professionale, considerando il contesto operativo reale in cui si svolge l’attività sanitaria.

L’Ordine dei medici, per voce del presidente Filippo Anelli, ha definito il provvedimento “auspicato”, precisando che “non compromette i diritti dei pazienti al risarcimento in sede civile per eventi avversi”. I ministri della Salute Orazio Schillaci e della Giustizia Carlo Nordio hanno sottolineato che “la misura non favorisce l’impunità ma consente ai medici di operare con maggiore serenità”.

La Cisl Medici, attraverso il segretario nazionale Luciana Cois, ha espresso pieno supporto alla riforma, definendola “un atto di civiltà giuridica” che restituisce dignità a una professione esposta a un crescente clima di diffidenza. L’organizzazione sindacale ha però sollecitato il Parlamento ad accelerare i tempi di approvazione e a chiarire i passaggi del testo che potrebbero generare incertezze interpretative.

Il sindacato ospedaliero Cimo-Fesmed ha manifestato perplessità sulla formulazione del concetto di “colpa grave”, ritenendo che la sua indefinitezza possa mantenere incertezze processuali. Secondo il segretario Guido Quici, permane il rischio che i medici debbano comunque affrontare procedimenti giudiziari, demandando ai giudici la valutazione caso per caso della gravità della condotta.

La capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra Luana Zanella ha criticato il riferimento alla scarsità di risorse come criterio di valutazione, interpretandolo come una legittimazione del sottofinanziamento del sistema sanitario pubblico.

Il provvedimento risponde a un problema strutturale del sistema sanitario italiano: il fenomeno della “medicina difensiva”, che comporta costi stimati in oltre dieci miliardi di euro annui. Attualmente il 97% delle cause mosse contro i medici viene archiviato, ma il processo genera comunque oneri significativi in termini di coperture assicurative e prescrizioni diagnostiche precauzionali.

La riforma dovrà ora completare l’iter parlamentare per l’approvazione definitiva, seguito dall’emanazione dei decreti attuativi che definiranno le modalità operative della nuova disciplina.

Federica Ciavoni

in collaborazione con careonline.it

Fondo italiano per l’Alzheimer e le demenze: le attività e i risultati del triennio 2021-2023

La demenza rappresenta una delle sfide di sanità pubblica più complesse e urgenti del nostro tempo. L’Italia, con un’età media tra le più elevate al mondo, si trova in prima linea ad affrontare questa crescente emergenza epidemiologica. Un recente articolo, pubblicato su BMJ Public Health, offre un’analisi sulla risposta del sistema sanitario italiano, concentrandosi sulle attività del Fondo Italiano per la Malattia di Alzheimer e le Demenze (FIMAD) nel triennio 2021-20231.

La revisione ha esaminato le iniziative nazionali in relazione al Global Action Plan della World Health Organization e alle strategie europee, fornendo una fotografia dettagliata dei progressi raggiunti e delle lacune ancora esistenti. Tra i risultati più significativi emerge una maggiore standardizzazione dei percorsi di cura, un traguardo fondamentale per garantire uniformità nell’assistenza e nella diagnosi su tutto il territorio nazionale. La mappatura dei Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD) e degli altri servizi di supporto ha fornito un quadro chiaro e prezioso, utile a orientare le future politiche sanitarie.

Un dato particolarmente rilevante per la pratica clinica, poi, è la stima che quasi il 40% dei casi di demenza in Italia possa essere attribuito a fattori di rischio modificabili. Questo risultato non solo sottolinea l’importanza della prevenzione, ma rafforza anche il ruolo del clinico nel gestire attivamente fattori come ipertensione, diabete e obesità, elementi chiave nel quadro della salute cerebrale.

Tuttavia, l’analisi non nasconde le fragilità del sistema. Il principale punto critico emerso è la profonda disparità regionale nella disponibilità e nella qualità dei servizi di assistenza. Questa disomogeneità mina l’equità nell’accesso alle cure e rende la gestione della malattia una sfida complessa per pazienti e professionisti, a seconda della loro area geografica. Per il sistema sanitario nel suo complesso, questa lacuna indica la necessità di investimenti mirati e di strategie di governance capaci di superare le barriere territoriali e garantire un’assistenza uniforme.

Le conclusioni del documento offrono una prospettiva duale. Da un lato, il modello italiano è un esempio di come un’iniziativa nazionale possa allinearsi efficacemente alle strategie globali, generando risultati concreti. Dall’altro, i dati sulle disuguaglianze e sulla necessità di una maggiore integrazione tra i servizi sanitari e sociali indicano la direzione per i futuri interventi. La lotta contro la demenza è una sfida a lungo termine che richiede un impegno costante, una collaborazione sinergica tra tutte le figure professionali e una pianificazione strategica che ponga l’equità al centro di ogni azione. Questo studio rappresenta un punto di riferimento scientifico per informare non solo i policy maker in Italia, ma anche i Paesi che affrontano sfide demografiche simili.

1. Ancidoni A, Salemme S, Marconi D, et al. Advancing dementia care: a review of Italy’s public health response within the WHO Global Action Plan and European strategies. BMJ Public Health 2025; 3: e002250.

Fabio Ambrosino

in collaborazione con neuroinfo.it

Resistenza all’immunoterapia anti-PD-1, la chiave è il danno nervoso

Un team internazionale di ricercatori del Moffitt Cancer Center, del Karolinska Institutet di Stoccolma e dell’University of Texas MD Anderson Cancer Center ha scoperto un sorprendente meccanismo di resistenza all’immunoterapia: la capacità dei tumori di danneggiare i nervi vicini. Lo studio, pubblicato su Nature1, mostra che quando le cellule tumorali si infiltrano e danneggiano i nervi associati al tumore, si innesca una risposta infiammatoria che alla fine indebolisce l’efficacia dell’immunoterapia anti-PD-1. Questo trattamento è ormai ampiamente utilizzato in diversi tumori, ma molti pazienti non rispondono.

“Le nostre scoperte dimostrano che il danno nervoso indotto da una neoplasia non è solo un effetto collaterale, ma modella direttamente l’ambiente immunitario in modi che consentono ai tumori di eludere il trattamento”, spiega Kenneth Tsai, co-direttore del Donald A. Adam Melanoma and Skin Cancer Center of Excellence del Moffitt. “È importante sottolineare che abbiamo anche scoperto che questo processo è reversibile”.

Utilizzando campioni biologici di pazienti arruolati in recenti studi sulla terapia neoadiuvante e modelli preclinici di carcinoma a cellule squamose cutanee, melanoma, tumori gastrici e pancreatici, il team ha dimostrato che le cellule tumorali degradano la guaina protettiva di mielina dei nervi vicini. I neuroni danneggiati rilasciano segnali infiammatori, inclusi IL-6 e interferoni di tipo 1, che inizialmente possono essere riparati, ma con il tempo creano un microambiente tumorale cronicamente soppressivo. I ricercatori hanno testato diverse strategie per interrompere questo ciclo. La resistenza alla terapia anti-PD-1 è stata superata rimuovendo i nervi che trasmettono il dolore, bloccando i principali segnali di danno neuronale o combinando l’anti-PD-1 con farmaci che agiscono sul percorso dell’IL-6.

“Questo lavoro evidenzia un nuovo ruolo del sistema nervoso nella progressione del cancro e nella resistenza alla terapia”, spiega Tsai. “Agendo sulla segnalazione che segue il danno nervoso, potremmo essere in grado di ripristinare la capacità del sistema immunitario di combattere i tumori”. La scoperta potrebbe portare a nuove combinazioni di trattamento che migliorano gli esiti per i pazienti i cui tumori invadono e crescono lungo i nervi, una caratteristica comune in diversi tipi di cancro associati a una prognosi infausta. “Questo è un esempio di come lo studio dell’interazione tra tumori, nervi e sistema immunitario possa rivelare vulnerabilità interamente nuove e sfruttabili”, conclude Tsai.

1. Baruch EN, Gleber-Netto FO, Nagarajan P, et al. Cancer-induced nerve injury promotes resistance to anti-PD-1 therapy. Nature 2025; 10.1038/s41586-025-09370-8.

David Frati

in collaborazione con neuroinfo.it