Goffredo Fofi, uno spirito rivoluzionario

Domenico Ribatti1

1Dipartimento di Biomedicina traslazionale e neuroscienze, Scuola di Medicina, Università di Bari.




Goffredo Fofi è mancato il 15 luglio scorso all’età di 88 anni. Era nato a Gubbio il 15 aprile 1937 da una grande famiglia mezzadrile. L’incontro con Aldo Capitini, perugino, padre del pacifismo italiano, lo spinse a raggiungere Danilo Dolci in Sicilia. L’esperienza con Dolci, trasferitosi nel Sud più diseredato, promotore degli scioperi fu, al contrario, una scuola di vita. A fianco di Capitini portò avanti le istanze del sottoproletariato palermitano e della provincia contro la povertà e le ingiustizie. Quell’esperienza avrebbe segnato per sempre il suo pensiero e la sua pratica intellettuale, ispirata alla nonviolenza e alla giustizia sociale. Fofi ha avuto l’instancabile pregio di sollecitare il nostro Paese a produrre autenticamente una riflessione culturale che fosse capace di tradursi in cambiamenti a vantaggio delle persone più fragili o svantaggiate, verso le minoranze e gli emarginati. 

Fofi credeva massimamente nella funzione rivoluzionaria delle riviste: spazi di confronto, di dialogo, di discussione accesa. Nei primi anni Sessanta aveva potuto lavorare a Parigi nella redazione della prestigiosa rivista di cinema Positif, la rivista rivale dei Cahiers du Cinema, dove diventò un critico cinematografico militante. Tornato in Italia, nel 1962, aveva collaborato insieme a Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi alla creazione della storica rivista culturale e politica Quaderni piacentini; nel 1967 aveva fondato la rivista di cinema e cultura Ombre rosse; nel 1983 a Milano, Linea d’Ombra. Da ultime, aveva fondato e diretto La terra vista dalla luna, Lo Straniero e L’asino. Tra i tanti collaboratori, va ricordato Alessandro Leogrande, giovane intellettuale tarantino, scomparso prematuramente a soli 40 anni.

Memorabile il saggio di Fofi “Immigrazione Meridionale a Torino”, del 1963, censurato dalla FIAT che veniva criticata e attaccata e per questo rifiutato da Einaudi (pubblicato poi da Feltrinelli) con conseguente rottura della mitica redazione di via Biancamano a Torino sancita dalla fuoriuscita di Renato Solmi per i dissensi, con Mila e Cantimori, sull’opportunità e l’urgenza di pubblicare il libro.

Nel 1972, a Napoli contribuì a fondare la Mensa dei bambini proletari insieme ad alcuni militanti legati a Lotta continua, coinvolgendo anche scrittrici amate come Elsa Morante e Fabrizia Ramondino. Scriveva Fofi: «Vedevo il lavoro “rivoluzionario” dell’educatore e a maggior ragione del rieducatore, e nella sostanza non ho cambiato idea, nel favorire la trasformazione di bambini e ragazzi giustamente “disadattati” a un mondo di ingiustizie (“vagabondi” inefficaci, “delinquenti” inefficaci) in cittadini attivi, coscienti, anticonformisti, ribelli ai valori borghesi, non “integrati” e non complici di sistemi di sopraffazione e sfruttamento».

Fofi è stato una delle voci più lucide, radicali e controcorrente della cultura italiana. Era un battitore libero. Un grande curioso, sempre profondamente irrequieto. Ci ha insegnato l’importanza dell’educazione, un modo non di imporre la propria visione ma di aiutare tutti, a contribuire all’impresa comune di trasformazione cercando e sviluppando i propri talenti, non imitando, non adeguandosi. Ci mancherà, e il suo spirito rivoluzionario potrebbe essere un buon viatico anche per chi, soprattutto i giovani, si appresta a intraprendere l’esercizio della medicina sul campo, veramente al fianco dei più deboli e dei meno protetti da uno stato sociale sempre più lontano dall’esercizio della sua funzione pubblica.