Prevenzione della fibrillazione atriale

Rapporto di un gruppo di lavoro del National Heart, Lung and Blood Institute
Il National Heart, Lung and Blood Institute degli Stati Uniti ha recentemente pubblicato i risultati di un gruppo di lavoro sulla prevenzione della fibrillazione atriale (FA) (Benjamin EJ, Chen PS, Bild DE, et al. Prevention of atrial fibrillation. Report from a National Heart, Lung and Blood Institute workshop. Circulation 2009; 119: 606). Il gruppo di lavoro ha preso in considerazione tre problemi generali: 1) identificazione dei fattori di rischio di FA, 2) identificazione delle misure ritenute utili per l’approfondimento delle conoscenze di questi fattori attraverso studi osservazionali e clinici e 3) future direzioni delle ricerche sulla prevenzione della FA.

A questo scopo il gruppo di lavoro ha formulato sei consigli.

1 – Approfondire le conoscenze sull’epidemiologia della FA.

a) identificazione della FA asintomatica e sintomatica,
b) definizione più precisa del decorso clinico della FA, attraverso lo studio dei dati anamnestici, comprendente anche uno stretto monitoraggio dei vari gruppi ad alto rischio,
c) studio dei criteri diagnostici e del controllo elettrocardiografico, con particolare attenzione alle differenze tra diverse etnie,
d) sviluppare e convalidare modelli predittivi di rischio di FA,
e) eseguire analisi della genetica epidemiologica e dell’influenza di età, sesso e obesità sul rischio di FA.

In relazione ai suddetti punti, il gruppo di lavoro ricorda i problemi ancora non perfettamente risolti:
a) il ruolo dell’età, dell’etnia, del sesso e delle variazioni regionali nell’insorgenza della FA e della sua progressione;
b) la prevalenza, l’incidenza, i fattori di rischio e la prognosi della FA nella maggioranza delle etnie e anche nelle minoranze etniche;
c) le conoscenze sulla prevalenza della FA e sulla tendenza di questa ad aumentare in Nord America e nell’Europa occidentale;
d) la capacità di prevedere la comparsa di FA nei singoli individui;
e) il ruolo dei geni, ivi compresi i rapporti tra geni e condizioni ambientali;
f) i meccanismi delle determinanti genetiche di sotto-fenotipi di FA, come, ad esempio la FA che si verifica nell’età avanzata, nell’ipertensione, nell’insufficienza cardiaca, nell’obesità o nelle cardiopatie strutturali.

Inoltre il gruppo di studio ritiene utili i seguenti specifici suggerimenti:

a) identificare la FA sintomatica e asintomatica secondo i criteri del National Heart, Lung and Blood Institute (NHLBI) degli Stati Uniti al fine di meglio definire i fattori di rischio, la prevalenza nel tempo, il decorso clinico e il monitoraggio intensivo in alcuni sottogruppi di pazienti;
b) valutare gli eventi collegati alla FA sia fuori che dentro l’ospedale, in rapporto ai criteri del NHLBI;
c) sviluppare e convalidare modelli di previsione del rischio di FA;
d) eseguire analisi di genetica epidemiologica (vedi sopra).

2 – Diagnosi di FA.

Il gruppo di lavoro ricorda che la FA è spesso asintomatica e non di rado viene rilevata solo misurando al polso la frequenza cardiaca o in occasione di un controllo elettrocardiografico; anche nei pazienti strettamente monitorizzati dopo cardioversione, in circa nel 70% dei casi le ricorrenze di FA sono asintomatiche. Il mancato riconoscimento di una FA può avere gravi conseguenze – ictus e insufficienza cardiaca – che possono verificarsi prima che la FA sia diagnosticata. Si sottolinea che una particolare attenzione va rivolta ai soggetti a rischio e, a questo fine, una migliore comprensione della storia naturale della FA (frequenza delle forme persistenti e permanenti), può agevolare la prevenzione.

Per quanto concerne i problemi non chiaramente risolti, il gruppo di lavoro indica:
a) la  frequenza e i fattori predisponenti della FA sintomatica e asintomatica ed il meccanismo della transizione da FA parossistica a persistente e permanente;
b) i metodi ottimali per l’identificazione e lo studio della prevalenza della FA e la storia naturale della forma asintomatica; vengono indicate nuove tecniche e metodologie per la diagnosi delle forme di FA asintomatica, parossistica, persistente e permanente.

3 – Identificazione delle componenti del rimodellamento cardiaco che promuovono la FA.

3a – Fibrosi atriale e rimodellamento. Alla patogenesi della FA contribuiscono principalmente il rimodellamento strutturale ed elettrofisiologico, come indicato dalla stretta associazione tra fibrosi atriale e FA. Si ricorda che la fibrosi è una delle conseguenze del danno atriale e dell’infiammazione, che, unitamente a ipertensione, insufficienza cardiaca ed età avanzata, promuovono l’insorgenza di FA; pertanto la prevenzione di questi due aspetti deve rappresentare lo scopo principale della prevenzione della FA.
Il gruppo di lavoro elenca i fattori fisiopatologici e genetici, ancora non completamente conosciuti, che promuovono la fibrosi atriale: citochine, compreso il fattore di trasformazione e accrescimento β, il fattore di accrescimento derivato dalle piastrine e il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Inoltre, come indicato da recenti studi, i fibroblasti cardiaci vanno incontro a un rapido rimodellamento in corso di rapida attivazione atriale, mentre l’accentuata fibrosi dell’atrio e delle vene polmonari promuove blocco della conduzione, eccitazione rientrante e attività stimolata.
Il rimodellamento elettrico, che involve alterazioni dell’espressione e della funzione dei canali ionici e del metabolismo e/o alterazioni strutturali associate ad incremento della aumentate pressione e dilatazione atriali sinistre, determina lo sviluppo della FA favorendone il mantenimento, dando luogo a stimoli ectopici e facilitando il rientro a causa dell’accorciamento dell’onda di contrazione.
Gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina I in angiotensina II, i bloccanti il recettore per l’angiotensina II e l’assunzione di acidi grassi omega-3 hanno mostrato di poter prevenire la comparsa di FA. Si sottolinea che lo sviluppo di efficienti tecniche per immagine non invasive che consentano di identificare e controllare l’infiammazione e la fibrosi atriali potranno fornire più precisi dati sulla patogenesi della FA.

Fra i problemi non risolti su questi punti gli autori ricordano:

a) i processi di natura genetica e i segnali biologici che sono implicati nel rimodellamento elettrico e strutturale nella FA;
b) la mancanza, al momento attuale, di validi metodi per quantificare in vivo la fibrosi atriale e le altre componenti del rimodellamento;
c) lo sviluppo di metodi non invasivi per quantificare le componenti del rimodellamento atriale; su questo punto l’interesse è rivolto: 1) a tecniche per immagine per lo studio del collageno atriale, di altri marcatori del tessuto fibroso, delle alterazioni infiammatorie dell’atrio, dei substrati metabolici che, tutti, danno inizio alla FA e la mantengono e 2) a nuovi marcatori biologici o genetici che permettano di identificare o prevedere un rischio di sintesi o di scissione del collageno atriale.

3b – Innervazione autonoma. È noto che spesso un episodio di FA è in correlazione a variazioni del tono del sistema nervoso autonomo (Bettoni M, Zimmermann M. Autonomic tone variation before the onset of paroxysmal atrial fibrillation. Circulation 2000; 105: 2753); ciò si può verificare in associazione con la desaturazione notturna di ossigeno nei pazienti con apnea del sonno ed episodi di FA. Il gruppo di lavoro ritiene che un trattamento che regoli l’attività del sistema nervoso autonomo può contribuire alla prevenzione di questi episodi. Sono riferite le ricerche sulla modulazione autonomica ottenibile con gli acidi grassi omega-3 per la prevenzione della FA. Tuttavia il gruppo di lavoro riconosce che, al momento attuale, il ruolo dei fattori autonomici è poco conosciuto e ricorda che il trasferimento dei promettenti risultati sperimentali alla prevenzione della FA nell’uomo è difficile, perché non sono disponibili metodi non invasivi che consentano di definire e monitorare l’innervazione autonomica nell’atrio. Il gruppo di lavoro incoraggia a sviluppare metodi per localizzare e quantificare strutture nervose autonome estrinseche e intrinseche che innervano gli atri e le vene toraciche e per studiare la loro funzione.




4 – Sviluppare altri modelli animali sperimentali di FA.

Pur riconoscendo che lo studio di modelli animali ha fatto progredire le conoscenze sulla patogenesi e la terapia della FA, il gruppo di lavoro osserva che i modelli attualmente disponibili non hanno chiarito molti dei problemi. Si osserva, fra l’altro, che i modelli finora adoperati sono stati di animali giovani e adulti, mentre è noto che la FA aumenta notevolmente di incidenza con l’avanzare dell’età.
Il gruppo di lavoro ritiene pertanto che sia necessario studiare e convalidare nuovi modelli animali ch consentano di “ricreare” la fisiopatologia dei più importanti sottotipi di FA dell’uomo. A questo scopo debbono essere studiati modelli animali correlati all’età, nei quali l’invecchiamento sia quantificabile; inoltre debbono essere sviluppati metodi utili per valutare i meccanismi patogenetici della FA e i vari interventi terapeutici. Alcuni modelli animali dovrebbero riguardare l’associazione della FA all’ipertensione, i meccanismi di attivazione parossistica delle vene toraciche e il rimodellamento atriale correlato alla FA.

5 – Approfondire le conoscenze sui metodi utili alla prevenzione della FA e, a tal fine, identificare altri punti di riferimento in questo studio.

Gli autori ricordano che le abitudini di vita e quelle alimentari, oltreché la terapia, possono ridurre l’incidenza di FA. Al riguardo sono riportati i risultati di recenti studi sulla prevenzione della FA ottenuti con statine, inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) e con beta-bloccanti. Occorre riconoscere le difficoltà nel valutare e interpretare i risultati di alcune ricerche, perché la FA non ha costituito il motivo dello studio. È quindi difficile valutare l’efficacia degli inibitori del RAAS, che potrebbe essere dovuta direttamente a riduzione della fibrosi atriale oppure, indirettamente, al miglioramento dell’insufficienza cardiaca compresente in pazienti con FA.
Pertanto i punti ancora controversi sono: 1) disponibilità, spesso carente, di studi sulla FA considerata come obiettivo principale, 2) insufficienti informazioni sull’influenza delle modificazioni delle abitudini di vita, del peso corporeo e dell’attività fisica sulla incidenza della FA, 3) difficoltà nell’interpretazione dei risultati dei vari interventi terapeutici proposti per la FA e 4) mancanza di adeguato monitoraggio delle popolazioni a rischio di FA.
Vengono forniti alcuni consigli: a) basandosi sui risultati di studi clinici, la FA dovrebbe essere inclusa come punto di riferimento nella valutazione del decorso e b) distinguere le forme sintomatiche da quelli asintomatiche anche negli studi clinici non specificamente diretti alla FA.

6 – Studi sulla prevenzione della FA.
La prevenzione del primo episodio di FA in pazienti ad alto rischio di aritmia rappresenta la prevenzione primaria.
In queste eventualità è difficile identificare soggetti a “sufficiente” rischio. È citata, come esempio, la presenza di obesità; è noto che interventi preventivi miranti a ridurla possono favorevolmente influenzare le dimensioni e l’infiammazione dell’atrio e ritardare la comparsa di FA; tuttavia un trattamento dell’obesità mirante alla prevenzione della FA potrebbe influenzare molti punti di riferimento, come infarto miocardico e insufficienza cardiaca, che di per stessi possono predisporre alla FA. Viene inoltre osservato che in ricerche per la prevenzione primaria della FA, potrebbero essere compresi soggetti a più alto rischio, i quali potrebbero avere ipertensione e/o insufficienza cardiaca e pertanto avere altre indicazioni per farmaci ritenuti più utili alla prevenzione della FA, come statine e inibitori del RAAS.
Gli autori rilevano che i fattori di rischio della transizione da FA parossistica a FA persistente o permanente possono essere simili a quelli che predispongono al primo episodio di FA, ma, sottolineano che al momento attuale non sono stati identificati criteri di prevenzione secondaria, idonei a ritardare la ricorrenza di un episodio iniziale di FA o ritardare la progressione da forma parossistica a persistente o permanente. Si deve, invece, ritenere particolarmente efficace una prevenzione secondaria nel prevenire ulteriori episodi, perché la progressiva fibrosi e altre alterazioni strutturali si verificano quando una FA di lunga durata rende difficile sopprimere un’aritmia (Burstein B, Nattel S. Atrial fibrosis: mechanisms and clinical relevance in atrial fibrillation. J Am Coll Cardiol 2008; 51: 802).



Viene sottolineata l’importanza di includere punti di riferimento “gravi”, come mortalità e ictus, negli studi sulla prevenzione della FA e si torna sulla questione se si debba rivolgere l’attenzione al controllo della frequenza o al controllo del ritmo; gli autori citano alcuni studi che hanno indicato vantaggi seguendo uno di questi criteri e altri che hanno dato la preferenza all’altro, ma ricordano che la riduzione di futuri episodi di FA non rende inutile un prolungato trattamento anticoagulante nei pazienti a rischio di ictus.
Gli autori evidenziano il “deludente” rendimento dei tradizionali farmaci aritmici nella prevenzione secondaria e ritengono che in queste circostanze si debbano cercare altre vie e citano le statine, gli inibitori del RAAS, i beta-bloccanti, gli acidi grassi omega-3 e le strategie antinfiammatorie; a questo proposito viene citato lo studio GISSI-AF che ha indicato l’utilità del valsartan (un bloccante del recettore per l’angiotensina) nella prevenzione delle ricorrenze della FA [ Disertori M, Latini R, Maggioni AP, et al. Rationale and design of the GISSI-Atrial Fibrillation Trial: a randomized, prospective and multicentre study on the use of valsartan, an angiotensin II AT1-receptor blocker, in the prevention of atrial fibrillation recurrence. J Cardiovasc Med (Hagerstown) 2006; 7: 29].

Si richiama l’attenzione su: 1) la scarsità di dati che confermino l’utilità di interventi sulle abitudini di vita per la prevenzione, sia primaria che secondaria, della FA e 2) la mancanza di conferma che prevenire o ritardare la transizione da un episodio iniziale di FA a una FA ricorrente o persistente migliori morbilità e mortalità.

Il gruppo di lavoro conclude consigliando di: 1) condurre studi su pazienti con un’iniziale episodio di FA al fine di prevenire ricorrenze sintomatiche e asintomatiche e di esaminare, quali punti di riferimento, morbilità e mortalità e 2) avvalersi dei risultati di questi studi per condurre ulteriori ricerche sulla prevenzione della FA.


Due correzioni
Egregio direttore,
sono un medico ospedaliero da numerosi anni abbonato alla vostra rivista “Recenti Progressi in Medicina”. Ho letto attentamente il Case Record IFC/CNR dal titolo “Un caso di ipertensione arteriosa resistente”, pubblicato nel Gennaio 2010. Mi permetto di segnalare un errore di stampa o una distrazione nella correzione delle bozze. Mi riferisco al commento al caso, pagina 37, dove è scritto: “in meno della metà dei casi di iperaldosteronismo è presente l’iperpotassiemia, cioè quello che è tradizionalmente considerato il reperto cardine che indirizza il sospetto clinico”. Spero nell’opportuno “errata corrige”. Complimentandomi sempre per la Rivista, veramente di ampio respiro internistico, come dicevano i nostri Maestri, colgo l’occasione per inviarle i miei cordiali saluti.

Nicola Aracri
Ospedale San Giovanni, Roma


La parola corretta è ipopotassiemia. Ringraziamo il dottore Aracri e ci scusiamo con i lettori




Caro direttore,
ho letto e apprezzato la presentazione del libro della Sanders (Ogni paziente racconta la sua storia) pubblicata sull’ultimo numero di Recenti Progressi in Medicina a firma Gaia de Bouvigny. Mi permetta un piccolo rilievo, motivato dalla mia religiosa ammirazione per William Osler, al quale nella recensione sono attribuiti gli Stati Uniti come patria. Osler nacque, si laureò, diventò professore di medicina in Canada (a 26 anni, alla McGill), e alla McGill inventò e iniziò a esercitare il suo metodo di insegnamento al letto del malato, allora rivoluzionario. Si trasferì negli USA nel 1984 (a Filadelfia) e si spostò alla John’s Hopkins a Baltimora nel 1889. Insegnava alla John’s Hopkins nel 1891, quando pubblicò il suo storico trattato Principles & Practice of Medicine. Infine, si trasferì a Oxford nel 1905 come Regius Professor of Medicine, e morì (di polmonite ed empiema) nel 1919. Come si è scritto, e a ragione, “he had served the cause of Medicine in 3 countries”. Le invio in allegato la storia e molti aforismi di Osler, e cordialmente La saluto.

Luigi Pagliaro

Ringraziamo il professor Pagliaro e ci scusiamo con gli Osleriani ed i lettori.