Dalla letteratura
Uso di fans e aspirina:
complicanze digestive inferiori

Aspirina e farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono causa ben nota di complicanze digestive superiori, ma è meno noto che questi farmaci possono causare anche complicanze digestive inferiori, specialmente diverticolite e sanguinamento diverticolare. In pazienti con osteoartrosi o artrite reumatoide il 30-50% di tutti gli eventi gastrointestinali associati ad assunzione di FANS sono localizzati nelle vie digestive inferiori e diverticolare e sanguinamento diverticolite sono risultate le più frequenti etiologie. Tuttavia la percentuale del rischio di complicanze diverticolari associate a FANS varia ampiamente dall’1,8 al 16% secondo il farmaco adoperato.
Una valutazione del rischio di  diverticolite e sanguinamento diverticolare in soggetti trattati con FANS è stata compiuta su 47210 uomini di età da 40 a 75 anni trattati con aspirina o FANS (Strate LL, Lili YL, Huang S, et al. Use for aspirin or nonsteroidal anti-inflammatory drugs increases risk for diverticulitis and diverticular bleeding. Gastroenterology 2011; 140: 1427).
È stato osservato che l’uso costante di aspirina o FANS è associato ad aumentato rischio di diverticolite e di sanguinamento diverticolare. L’entità del rischio di emorragia è apparsa simile per aspirina usata con moderata frequenza (4-6 giorni alla settimana) e a dosi definite “moderatamente elevate” (da 2 a 5,9 compresse standard da 325 mg alla settimana). Per quanto riguarda la diverticolite, il rischio è apparso più alto per i soggetti trattati con FANS rispetto a quelli che hanno usato aspirina ed è stato rilevato che il rischio aumenta con l’aumento delle somministrazioni, ma non con l’aumento delle dosi.
Gli autori richiamano l’attenzione su alcune osservazioni fatte nel corso dell’indagine.
In primis essi hanno distinto diverticolite da sanguinamento diverticolare, mentre in precedenti studi è stata tratta l’attenzione sulla diverticolite perforata, che, come noto, è una grave manifestazione di un’associazione di diverticolite e sanguinamento diverticolare. Secondo gli autori questa distinzione è importante perché la diverticolite e il sanguinamento diverticolare riconoscono probabilmente distinti meccanismi biologici e non è noto se l’aspirina o i FANS diano l’inizio a queste complicanze. In secondo luogo hanno esaminato separatemente gli effetti di aspirina e di FANS e hanno cercato di distinguere gli effetti specifici, le dosi, la durata del trattamento di aspirina e di FANS in rapporto all’evoluzione clinica delle complicanze.
Gli autori si soffermano sui meccanismi patogenetici attraverso i quali aspirina e FANS possono causare le complicanze diverticolari: questi farmaci possono danneggiare il colon attraverso una lesione determinata direttamente o inibendo la sintesi delle prostaglandine, compromettendo la permeabilità della mucosa e favorendo l’ingresso di batteri o tossine nella mucosa. La diverticolite è caratterizzata da microperforazioni o da macroperforazioni che conducono alla formazione di ascessi, con danneggiamento della barriera della mucosa e aumento della pressione intracolonica. Il sanguinamento diverticolare si verifica quando è lesa un’arteria nutritiva con emorragia nel lume del colon e frequentemente ciò comporta un’ulcerazione locale della mucosa del colon in assenza di infiammazione. È anche possibile che l’emorragia sia conseguenza di inibizione dell’aggregazione piastrinica, della quale può essere responsabile l’aspirina
Il significativo aumento di rischio di complicanze diverticolari associato ai FANS e all’aspirina può provocare importanti conseguenza cliniche in particolare nella popolazione anziana.



La misura della fibrosi epatica con metodi non invasivi
La valutazione della fibrosi epatica è della massima importanza per stabilire la prognosi nel trattamento di un’epatopatia cronica, perché le complicanze si verificano prevalentemente nei pazienti nei quali compaiono stadi avanzati di fibrosi. La biopsia epatica, che è adoperata per valutare la fibrosi epatica, non offre vantaggi a motivo delle sue frequenti complicanze, errori nella sua esecuzione, variabilità di giudizio diagnostico tra osservatori, costo e riluttanza dei pazienti alla esecuzione di routine.
Negli ultimi anni sono stati studiati alcuni marcatori non invasivi in alternativa della biopsia per valutare la gravità delle epatopatie croniche. Il Fibro-Test ha dimostrato una significativa correlazione con la sopravvivenza, con una predizione prognostica a 5 anni simile a quella della biopsia epatica, nella previsione dello scompenso di una cirrosi e della sopravvivenza in pazienti con epatite C, epatite B ed epatopatia alcoolica. Il rapporto aspartato – aminotransferasi – piastrine (APRI) e il punteggio FIB-4 hanno un significativo rendimento diagnostico per fibrosi e cirrosi. Si va diffondendo l’uso la misura della rigidità del parenchima epatico per la diagnosi della fibrosi, avvalendosi della sonda M del Fibroscan per diagnosi non invasiva della fibrosi epatica. Questo metodo presenta un elevato grado di accuratezza e di riproducibilita nel prevedere la fibrosi a monte e la cirrosi in pazienti con epatopatie croniche; il suo rendimento è particolarmente elevato nell’epatite da virus C.
In un recente studio condotto su 1457 pazienti con epatite cronica C è stata misurata la presenza di fibrosi epatica e, contemporaneamente lo stesso giorno, la rigidità del fegato, eseguendo le prove Fibro-Test, APRI e FIB-4 e analizzando contemporaneamente i campioni bioptici; inoltre, nel corso del controllo del decorso, sono stati analizzati i dati sull’obitus, l’obitus da causa epatica, su eventuali trapianti di fegato.  (Vergnol J, Fouchier J. Terrebonne E, et al. Noninvasive tests for fibrosis and liver stiffness predict 5-year outcomes of patients with chronic hepatitis C. Gastroenterology 2011; 140: 1970).



Gli autori hanno osservato: 1) la rigidità epatica e il Fibro-Test hanno una migliore validità prognostica della biopsia epatica. La prognosi è infatti risultata peggiore quando la valutazione quantitativa della fibrosi è aumentata. Inoltre è stato notato che, dal punto di vista del valore prognostico, la misura della rigidità epatica e il Fibro-Test hanno dimostrato una maggiore validità dei metodi FIB-4 e APRI. Gli autori, ricordano di non aver valutato altri biomarcatori (come Fibrometer ELF ed Hepascore). Ricordano, inoltre, che la presenza di ascite, a causa della presenza in essa di onde elastiche attraverso il liquido ascitico, determina un’inibizione della propagazione delle onde di liquido aseitico e pertanto dall’indagine sono stati esclusi i pazienti ascitici, onde non sottostimare i risultati. Hanno stabilito come valore limite di rigidità epatica il valore > 20 kPa che, come noto, è ritenuto correlato alle complicanze associate a danno epatico. Nei pazienti con cirrosi un progressivo aumento di rigidità epatica si associa a peggioramento della prognosi e questa osservazione introduce il concetto della previsione non invasiva della sopravvivenza dei pazienti cirrotici con rigidità epatica. È molto importante, secondo gli autori, l’osservazione dell’evoluzione della rigidità epatica e questo aspetto necessita ulteriori studi. Si conclude che la misura della rigidità epatica e il Fibro-Test sono molto utili per dare informazioni al medico e ai famigliari dei pazienti sulla gravità e la prognosi dell’epatopatia.
Recenti studi sugli effetti
dell’esposizione
a telefoni cellulari
La diffusione dell’uso del telefono cellulare ha prodotto preoccupazione sui possibili danni dell’esposizione a campi elettromagnetici modulati da radiofrequenze (RF-EMF, secondo l’acronimo d’uso internazionale: “radiofrequency-modulated electromagnetic fields”), in particolare, effetti carcinogenetici cerebrali (Dubey R, Hanmandlu M, Gupta SK. Risk of brain tumors from wireless phone use. J Comput Assist Tomogr 2010; 34: 799). Tuttavia non tutti gli studi su questo argomento hanno dato risultati concordanti e definitivi, cosicchè il problema è tuttora irrisolto.
È noto che gli RF-EMF emessi dai telefoni cellulari sono assorbiti dal cervello e influenzano l’attività neuronale e che le frequenze oscillatorie, sebbene di frequenza molto bassa, corrispondono ad alcune frequenze oscillatorie che si possono registrare nei tessuti nervosi e potrebbero influenzare l’attività neuronale (Hyland GJ. Physics and biology of mobile telephony. Lancet 2000; 356: 1833). Gli studi sugli effetti biologici condotti avvalendosi della tomografia a emissione di positroni (PET: “positron emission tomography”) per misurare il flusso ematico cerebrale in corso di esposizione a RF-EMF hanno dato finora risultati contrastanti.
In uno studio, condotto nel corso dell’anno 2009 su 47 soggetti sani, è stato valutato l’effetto dell’esposizione acuta a telefono cellulare sul metabolismo glicidico del cervello, misurato mediante PET dopo iniezione di 18fluorodesossiglucosco (18FDG). (Volkow ND, Tomasi D, Wang GJ, et al. Effects of cell phone radiofrequency signal exposure on brain glucose metabolism. JAMA 2011; 305: 808). Gli autori si sono avvalsi della PET, ritenendola un efficace indice dell’attività neuronale che riflette anche le componenti vascolari dell’attività cerebrale e l’attività media cerebrale in un tempo di 30 minuti, consentendo la valutazione complessiva degli effetti dell’esposizione al telefono cellulare sul cervello in condizioni di riposo.
I risultati ottenuti hanno indicato che il cervello umano è sensibile agli effetti delle RF-EMF provenienti dall’esposizione acuta a telefono cellulare. Infatti, in queste condizioni, è stato osservato un aumento del metabolismo nelle aree più vicine all’antenna e ciò, secondo gli autori, indicherebbe che l’assorbimento cerebrale degli RF-EMF può incrementare l’eccitabilità del tessuto cerebrale tramite stimolazione magnetica costituita da brevi polsi di 1 msec seguiti da esposizione a RF-EMF di 40 minuti. È stato inoltre rilevato  che, sebbene in corso di esposizione acuta a telefono cellulare siano stati osservati aumenti frontali acuti di flusso ematico cerebrale, questi aumenti non si verificano nelle aree cerebrali con più elevata esposizione a RF-EMF. Secondo gli autori, queste discrepanze possono essere dovute a differenze metodologiche, in particolare perché il metodo con il 18FDG è utile per mettere in evidenza gli effetti prolungati sull’attività cerebrale (30 minuti), mentre la misura del flusso cerebrale registra l’attività cerebrale in 60 secondi.
I meccanismi per cui i RF-EMF provenienti da telefoni cellulari influenzano il metabolismo glicidico sono tuttora non chiariti. In base ai risultati di esperimenti su animali e in vitro è stato ipotizzato che questi effetti siano conseguenza dell’esposizione agli RF-EMS dell’attività neuronale, mediata dalle modificazioni della permeabilità cellulare, dal flusso di ioni calcio, dall’eccitabilità cellulare e dalla liberazione di neurotrasmettitori (Hyland, loc cit). Altre ipotesi prevedono un effetto termico e la rottura della barriera emato-cerebrale.
Per quanto riguarda la possibilità che gli RF-EMS emessi da telefoni cellulari inducano tumori cerebrali, gli autori ricordano che tra gli studi epidemiologici finora eseguiti alcuni riportano un’associazione, altri no (Lehrer S, Green G, Stock RG. Association between number of cell fone contracts and brain tumor incidence in nineteen U.S. States. Esp Oncol 2011; 101: 1505. Myung SK, Ju W, McDonnell DD. Mobile phone use and risk of tumors: a meta-analysis. J Clin Oncol 2009; 5565).
D’altra parte, i risultati ottenuti dagli autori dimostrano soltanto che l’esposizione acuta ai telefoni cellulari influenza l’attività metabolica del cervello, ma non forniscono informazioni su eventuali affetti carcinogeni, o sull’assenza di tali effetti.



Valutazione e trattamento
della tosse cronica
Nonostante i considerevoli progressi compiuti negli ultimi decenni nelle conoscenze nella patogenesi della tosse cronica, vi sono tuttora molte discussioni e controversie soprattutto sulla diagnosi e sul trattamento di questa condizione così frequente nella pratica medica.
In una recente rassegna critica sono discussi gli studi e le controversie sulla valutazione della tosse cronica nell’adulto, sui criteri terapeutici e sulle future ricerche su questo problema (Birring SS. Controversies in the evaluation and management of chronic cough. Am J Respir Crit Care Med 2011; 181: 708).
1) Il reflusso gastro-esofageo (RGE) associato alla tosse cronica.
La valutazione del RGE è ritenuta una componente essenziale dell’iter diagnostico, secondo le più recenti linee guida (Irwin RS. Chronic cough due to gastroesophageal reflux disease: ACCP evidence-based clinical practice guide-lines. Chest 2006; 129 (1 Suppl): 805).
Gli inibitori della pompa protonica sono i farmaci più usati in questa evenienza; in caso di insuccesso può essere consigliato intervento chirurgico antireflusso, dopo ulteriore valutazione, anche se, si sottolinea, l’effetto di questa terapia è a volte incerto. A questo proposito l’autore rileva che la diagnosi di una tosse da RGE sulla base della presenza di sintomi di RGE è problematica, perché questi sono variabili e perché un RGE può coesistere con una tosse dovuta ad altre cause. Del resto l’endoscopia e l’esofago baritato presentano alcuni limiti, particolarmente in presenza di esofagite che, come noto, si osserva spesso al monitoraggio del pH esofageo; ma questa prova ha un limitato potere nel prevedere la risposta alla terapia del RGE ed altrettanto dicasi della manometria esofagea. Va ricordato che anche un RGE non acido (o debolmente acido) può essere causa di malattia da RGE e che può essere costituito da gas, liquidi solidi o da un’associazione di questi elementi e che i sintomi del RGE acido e non acido possono sovrapporsi. L’autore ricorda, in proposito, che per la valutazione del RGE non acido si sta diffondendo la tecnica del monitoraggio dell’impedenza esofagea ( Blondeau K, Dupont LJ, Mertens V, et al. Improved diagnosis of gastro-oesophageal reflux in patients with unexplained chronic cough. Aliment Pharmacol Ther 2007; 25: 723). Al momento attuale non può essere consigliata l’esecuzione routinaria dello studio del RGE nella diagnosi della tosse cronica.

2) Gli inibitori della pompa protonica nella tosse cronica.
Molti studi non hanno confermato i primi positivi risultati ottenuti su questo argomento e sono consigliate ulteriori ricerche.

3) Ruolo della chirurgia antireflusso nel trattamento della tosse cronica.
Le linee guida attuali consigliano la chirurgia antireflussso (fundoplicatio secondo Nissen) in pazienti selezionati con tosse cronica e RGE. Si ricorda che l’operazione di Nissen non è senza rischi: disfagia grave, flatulenza, inabilità ad eruttare, ipermotilità intestinale.

4) Reflusso laringeo-faringeo e tosse cronica.
Il reflusso laringeo-faringeo consiste nel reflusso di contenuto gastrico nel larige-faringe ed è considerato una causa frequente di tosse cronica, associata a raucedine e sensazione di bolo faringeo.
La diagnosi si basa sul reperto laringoscopico di eritema, edema e ispessimento del faringe posteriore reperto che potrebbe essere indistinguibile dal trauma conseguente alla tosse stessa. In questa condizione sono consigliati gli inibitori della pompa protonica.

5) Sindrome della tosse delle vie aeree superiori (STVAS).
È anche definita sindrome da sgocciolamento retro-nasale o tosse da rinosinusite ed è associata con vari sintomi a carico delle vie aeree superiori: allergie, infezioni, disturbi vasomotori, ingrandimento tonsillare, apnea ostruttiva del sonno. L’endoscopia nasale può confermare la presenza di un’infiammazione delle vie nasali. Sono adoperati frequentemente corticosteroidi endonasali.

6) Ruolo della STVAS quale causa o fattore aggravante della tosse.
È molto frequente nella popolazione generale e non è sempre associata a tosse. Si presenta con variabili anamnesi e dati obiettivi e la scarsità di studi sull’argomento non consente di stabilire un legame patogenetico con la tosse. Secondo l’autore, questi pazienti possono essere trattati con corticosteroidi o antistaminici endonasali.

7) Sindrome della tosse delle vie aeree superiori e tosse cronica non spiegata.
Questa sindrome si riscontra, silente, in pazienti che non presentano una rinosinusite, ma rispondono a trattamento specifico per le vie aeree superiori (Irvin RS, Baumann MH, Bolser DC, et al. Diagnosis and management of cough executive summary: ACCP evidence-based Clinical practice guidelines. Chest 2006; 129 (1 Suppl)-1S).

8) Asma e tosse.
Vi è comune accordo nel ritenere che l’asma bronchiale è una causa importante di tosse. Le controversie riguardano prevalentemente la sua valutazione. Una prova diagnostica per la variante dell’asma con tosse dovrebbe avere elevata sensibilità e specificità, prevedere la risposta alla terapia ed essere innocua e affidabile. Sono molto usati la misura del picco di flusso respiratorio e la risposta broncodilatatoria, ma queste prove presentano scarsa sensibilità e scarsa specificità. Sebbene le prove di broncostimolazione abbiano un alto valore predittivo negativo, il loro valore predittivo positivo è scarso. Per contro, la valutazione dell’infiammazione mediante la conta degli eosinofili nell’espettorato ha elevata specificità e sensibilità e inoltre ha valore predittivo della risposta alla terapia con corticosteroidi.



La misura dell’ossido nitrico espirato ha anche offerto finora buone possibilità; altrettanto dicasi della stimolazione con mannitolo. Nel trattamento della variante dell’asma con tosse sono consigliati i broncodilatatori associati ai corticosteroidi per inalazione, ma in alcuni studi è stato osservato che i broncodilatatori sono inefficaci nella tosse acuta e nella tosse non spiegata dei bambini.

9) Bronchite eosinofila (BE) e tosse atopica.
L’autore si sofferma su questo argomento osservando che la bronchite eosinofila è una causa frequente di tosse cronica (circa il 15%  dei casi), che può associarsi ad altre condizioni respiratorie, come malattia polmonare ostruttiva, pneumopatia occupazionale, bronchiettasie ed assenza di iperreattività delle vie aeree. La BE è diagnosticata mettendo in evidenza l’infiammazione eosinofila nell’espettorato e l’assenza di iperreattività bronchiale. Inoltre una tosse rispondente ai corticosteroidi in un paziente con una prova di stimolazione bronchiale negativa è quasi sicuramente dovuta a BE.
La tosse atopica è una rara forma che si osserva pressocché soltanto in Giappone, probabilmente in rapporto a fattori patogenetici locali. La malattia è caratterizzata dalla presenza di un fenotipo atopico o dalla presenza di un fenotipo atopico o di eosinofilia dell’espettorato con assenza di iperreattività bronchiale. È stato consigliato un trattamento di prova con antistaminici o corticosteroidi.

10) Tosse cronica non spiegata: una distinta condizione o terapia inadeguata?
Non vi è accordo sul termine appropriato da attribuire a questa condizione. Spesso la si definisce “tosse cronica idiopatica” oppure “sindrome dell’ipersensibilità della tosse” poiché è caratterizzata da anormalità del riflesso della tosse. Gli otorinolaringoiatri usano spesso i termini “tosse sensoriale neuropatica”, “neuropatia sensoriale laringea”, “iperreattività sensoriale” o “tosse associata a neuropatia vagale”.
I pazienti con questa condizione presentano una netta prevalenza di aumentata sensibilità alla stimolazione con capsaicina, che è un potente attivatore delle fibre amicliniche C (Prudon B, Birring SS, Vara DD, et al. Cough and glottic-stop reflex sensitivity in health and disease. Chest 2005; 127: 550). Inoltre è stato segnalato un aumento di nervi contenenti il peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) e delle fibre nervose C. Questi aumenti sono correlati all’intensità della sensibilità del riflesso alla capsaicina.
Nella patogenesi di questa sindrome ha un ruolo importante l’infiammazione delle vie aeree. Infatti nelle vie aeree di questi pazienti sono aumentati molti mediatori dell’infiammazione, quali istamina, prostagladina E2 e cisteinil-leucotrieni. Inoltre sono aumentati autoanticorpi e linfociti.
Le scelte terapeutiche sono limitate. Gli oppiodi possono sopprimere la tosse, ma sono associati a effetti collaterali significativi. Sono ancora allo studio farmaci adoperati per il trattamento del dolore neuropatico, come amitriptilina e gabapentina. Sono istituiti programmi terapeutici non farmacologici consistenti in manovre di igiene vocale intese a ridurre la disfunzione delle corde vocali e ad attenuare la gravità della tosse. Un recente procedimento che mira a evitare lo stimolo della tosse e ottenere la soppressione volontaria della tosse sembra essere coronato da successo. Una fisioterapia della tosse che mira a sopprimerne volontariamente gli stimoli appare attualmente un trattamento promettente. Le attuali linee guida mirano a valutare le condizioni che coesistono con la tosse cronica, come il reflusso esofagogastrico, l’asma e la tosse cronica non spiegata.

11) Il nuovo paradigma della tosse: il nuovo riflesso di ipersensibilità della tosse.
Il riflesso della tosse ha un ruolo importante nella protezione delle vie aeree e nella clearance delle secrezioni. La sensibilità del riflesso della tosse può essere valutata misurando la risposta della tosse a tutta una varietà di irritanti delle vie aeree, come capsaicina, acido citrico e nebbia.
L’elevata sensibilità del riflesso della tosse può essere considerata reversibile o persistente in pazienti con tosse cronica nei quali caratteristicamente è secca o minimamente produttiva ed è assente in condizioni polmonari associate a tosse produttiva, come la malattia broncopolmonare ostruttiva e le bronchiettasie. Il riflesso della tosse è elevato nel 10% dei pazienti che assumono ACE-inibitori, probabilmente per aumento di sostanza P, bradichinina e prostaglandine nelle secrezioni respiratorie. La sospensione degli ACE-I di solito porta alla riduzione dell’intensità della tosse e del riflesso.
La tosse da ACE-I può essere trattata con farmaci antinfiammatori, come cromoglicato sodico e sulindac. La tosse da ACE-I si può osservare anche in pazienti con infiammazione delle vie respiratorie superiori, variante asmatica con tosse e bronchite eosinofila. Non è noto se queste condizioni causano la tosse aumentando la sensibilità del riflesso della tosse oppure stimolando la tosse in soggetti sensibilizzati.

12) Valutazione della gravità della tosse.
L’importanza di adottare criteri obiettivi di misura di questo parametro è stata sottolineata recentemente dalle European Respiratory Guidelines (ERG) (Morice AH, Fontana GA, Belvisi MG, et al. ERG guidelines on the assessment of cough. Eur Respir J 2007; 29: 1256).
Il metodo più usato è la misura della sensibilità della tosse. L’autore ricorda che il principale incoveniente del metodo è che richiede tempo; inoltre può non consentire di rivelare l’effetto della terapia se questa interferisce su diverse vie riflessogene della tosse.
Recentemente sono state introdotte apparecchiature digitalizzate che consentono di monitorizzare il riflesso della tosse per 24 ore.



(
Birring SS, Fleming T, Matos S, et al. The Leicester Cough Monitor: preliminary validation of an automated cough detection system in chronic cough. Eur Respir J 2008: 31; 1013).
Ruolo della disfunzione
cardiaca e non cardiaca
nella progressione
dell’insufficienza cardiaca
Recenti studi clinici ed epidemiologici hanno messo in evidenza l’importanza di disfunzione cardiaca asintomatica quale stadio precedente nella progressione verso l’insufficienza cardiaca clinicamente conclamata. Come noto, infatti, la sindrome di insufficienza cardiaca interessa molti sistemi organici e anche minime alterazioni funzionali di sistemi organici non cardiaci possono accelerarne la manifestazione clinica: un danno renale subclinico, un’anemia, una alterazione funzionale polmonare e un’infiammazione sistematica possono contribuire alla progressione di un’insufficienza cardiaca.
Recentemente, nello studio di queste situazioni, è stata riconosciuta una differenza fisiopatologica tra insufficienza cardiaca con ridotta frazione di eiezione ventricolare sinistra e insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ventricolare sinistra conservata ed è stato ipotizzato che le forme di precedenti disfunzioni subliniche possano differire secondo questi tipi di frazione di eiezione ventricolare sinistra (Lam SP, Lyass A, Kraigher-Kraner E, et al. Cardiac dysfunction and noncardiac dysfunction as precursors of heart failure with reduced and preserved ejection fraction in the Community. Circulation 2011; 124: 24).
Gli autori hanno studiato 1038 soggetti partecipanti al Framingham Heart Study di età media di 76±5 anni, 39% uomini, controllando la funzione ventricolare sinistra sistolica e diastolica. Lo studio è durato 11 anni e, per valutare la funzionalità dei principali sistemi organici non cardiaci, sono stati controllati i valori di creatininemia (rene), albuminemia (fegato), rapporto tra volume  espiratorio forzato in un secondo e capacità vitale forzata (polmone), emoglobina (rapporto con la capacità di trasporto di ossigeno), leucociti (infiammazione sistemica). È stato osservato che una condizione di precedente disfunzione subclinica cardiaca e non cardiaca di sistemi organici è associata con il rischio di futura insufficienza cardiaca. In particolare, la presenza di disfunzione asintomatica sistolica e diastolica ventricolare sinistra ha preceduto un aumentato rischio di insorgenza di insufficienza cardiaca, rispettivamente del 50 e del 30%. Inoltre, dopo correzione per disfunzione cardiaca, la presenza di danno renale subclinico, quella di limitazione del flusso aereo ed anche quella di anemia sono associate con l’aumento del 30% di rischio di insufficienza cardiaca. È stato anche rilevato che una preced-ente disfunzione ventricolare sinistra sistolica è associata a futura insufficienza cardiaca con riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra, mentre una precedente disfunzione ventricolare sinistra diastolica è associata a futura insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ventricolare sinistra conservata. Per quanto concerne i danni dei sistemi organici non cardiaci, il danno renale subclinico e la ridotta concentrazione emoglobinica sono risultati associati a più alta frequenza di insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ventricolare sinistra ridotta, mentre una condizione di ostruzione delle vie aeree è risultata associata a insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ventricolare conservata. Secondo gli autori, questi dati sono molto importanti per la precoce identificazione di soggetti a rischio di insufficienza cardiaca e meritano ulteriori studi di approfondimento.
Gli autori ritengono che questi risultati confermino che l’insufficienza cardiaca è una sindrome clinica caratterizzata da una costellazione di segni e di sintomi interessanti molti organi oltre il cuore. Pertanto lievi alterazioni funzionali di sistemi organici non cardiaci, che di per se stesse non sono gravi al punto di produrre sintomi, possono accelerare le manifestazioni di un’insufficienza cardiaca conclamata, specialmente se sono interessati altri sistemi organici. Infatti una riduzione della funzione renale influenza il metabolismo del sodio e l’equilibrio dei liquidi, accentuando la manifestazione del sovraccarico dei liquidi. La funzione polmonare esplica un effetto diretto sulla manifestazione della dispnea. Il danno cronico polmonare è caratterizzato da una infiammazione di lieve grado e può contribuire alla progressione dell’arteriosclerosi e alla disfunzione miocardica, mentre una lieve ostruzione delle vie aeree si associa ad abnorme riempimento diastolico del ventricolo sinistro. Queste condizioni si osservano specialmente negli anziani.