Quale politica? Quella della conoscenza
Francesco De Fiore è stato per decenni l’ispiratore della politica editoriale del Pensiero Scientifico da quando – nei primi anni Cinquanta – affiancò alla guida della casa editrice il fondatore.
Giustizia e libertà sono stati i suoi valori, incarnati in scelte editoriali spesso coraggiose e in controtendenza, sempre orientate al bene comune e ad una sanità pubblica. Francesco De Fiore si è spento il 29 luglio 2013.

Editore è una parola del Secolo breve; Carducci ne chiedeva il significato ad un amico a pochi anni dall’inizio del Novecento. È anche parola sostanzialmente europea: il nostro continente ne è stata la culla, con le tradizioni centroeuropea, francese e italiana, a iniziare da Torino e Firenze. Ed è un termine – editore – intrecciato con la più autentica aspirazione liberale e democratica. Dagli editori che dell’antifascismo hanno fatto una ragione di vita ai molti intellettuali in fuga dalla persecuzione nazista che hanno arricchito la cultura internazionale avviando negli Stati Uniti straordinarie esperienze editoriali. Quella dei fratelli Springer è solo la vicenda più conosciuta; meno nota è la vita di Henri Stratton, ematologo austriaco che all’aprirsi del conflitto fu costretto a riparare oltre oceano. Fu l’anima della casa editrice Grune & Stratton e il fondatore di Blood, sicuramente la più conosciuta rivista della disciplina in cui era specializzato.
Mr Stratton tornava in Europa ogni anno anche per incontrare gli editori amici. Sprofondato nella poltrona di cuoio rossiccio dello studio di casa lo guardavamo conversare con nonno e papà dei molti programmi avviati insieme: il più importante era Progress in Cardiovascular Disease, la cui edizione italiana era un fiore all’occhiello del Pensiero. Erano i primi anni Sessanta e le riviste scientifiche erano prodotte per chi le leggeva, e nel nostro Paese erano in tanti a farlo se è vero che gli abbonati a quella rivista di cardiologia erano oltre 1.500. Qualche editore americano era sbalordito da questi numeri: una serie come Gastroenterology Clinics of North America aveva più abbonati in Italia che negli Stati Uniti. Cifre che giungevano da una casa editrice per certi aspetti diversa da altre aziende editoriali italiane del settore; papà era puntualmente alla Fiera di Francoforte – appuntamento fisso del mondo editoriale internazionale – ma passava gran parte del proprio tempo tra i libri degli stand delle university press americane. Al punto che, già nel 1983, alla prima nostra presenza, ci sentimmo domandare da un suo antico amico della Saunders: “Ma papà è ancora vivo? Sono tanti anni che non lo vedo…”. Ha scritto Michele Tansella, preside della Facoltà di Medicina di Verona, che Francesco De Fiore è stato uno dei “pochi editori italiani – forse l’unico nel settore della medicina e allied sciences – sempre pronto a fare innovazione, a rischiare di percorrere strade nuove”: magari è anche perché frequentava poco l’ambiente e preferiva un’editoria che fosse, come ha scritto Silvana Guida, “calcolo e fiuto, diplomazia e scienza, arte e impresa”.
Un piccolo libro azzurro è rimasto accanto a nostro padre fino ai suoi ultimi giorni: “L’impronta dell’editore”, di Roberto Calasso. Non che fosse innamorato della Adelphi. Ma, a giudicare dagli appunti riportati sui suoi taccuini nel tormentato inizio d’estate, doveva ritrovarsi in molte delle pagine di questo tascabile. Calasso a un certo punto si chiede: qual è la politica della casa editrice? Così risponde.
“Era una domanda colorata da un certo periodo, quello in cui la parola politica stingeva su tutto, anche sul caffè che si beveva in un bar. Nella sua goffagine, era però una domanda giusta. Sempre più, nel nostro secolo, l’editore è diventato una figura occulta, un invisibile ministro che dispensa immagini e parole seguendo criteri non immediatamente chiari, che suscitano l’universale curiosità. Pubblica forse per fare denaro, come tanti altri produttori? Nel profondo, pochi ci credono, se non altro per la fragilità del mestiere e del mercato”. E allora? “La mia proposta è che agli editori si chieda sempre il minimo, ma con durezza. E qual è questo minimo irrinunciabile? Che l’editore provi piacere a leggere i libri che pubblica”.
L’editore come lettore dei libri che pubblica. È stata la scelta di Mr Stratton ma anche di tanti altri editori, per esempio di Mr Febiger, l’ultimo erede della più antica casa editrice statunitense – la Lea & Febiger: col suo abito nero e il fido aiutante, l’editor Ken Bussy, perseguitava i migliori medici del mondo fino alla sospirata consegna del manoscritto. Erano loro due, sicuramente, i più ansiosi di imparare qualcosa.
Ma anche no: l’editore come lettore. Punto. È il caso di papà: personalmente instancabile nel comprare e leggere libri sulle questioni che lo appassionavano, era sul lavoro un lettore “by proxy”. Si circondava di amici che leggevano per lui di argomenti forse distanti dai suoi interessi ma che finivano col rivelarsi oggetto di riflessione quotidiana. Erano anni diversi: “La metà degli anni Settanta – annota Gianni Tognoni, oggi direttore del Negrisud – quando era normale immaginare progetti che potevano avere come protocollo (più o meno esplicito) sogni/sperimentazioni collettive di democrazia anzitutto culturale e perciò anche politica. Con stupore – e pochissime parole – scoprimmo di avere in comune, noi così diversi, la necessità di verificare concretamente l’improbabile coincidenza tra immaginazione e rigore tecnico in progetti che fossero veri laboratori collettivi di ricerca sul campo e di informazione: senza che tra i due obiettivi ci fosse soluzione di continuità”.
Gianni dice una cosa vera: l’assenza della “accademia” dall’editoria del Pensiero viene dal radicale ancoraggio della conoscenza alla ricerca e alla clinica. Era uno stile che informava qualsiasi cosa si facesse sin dalla fondazione. Non è certo un caso che la decisione di aprire la casa editrice fu successiva alla guarigione di nostro nonno – Luciano De Feo – da una malattia allora poco conosciuta, grazie alla testarda abitudine ad aggiornarsi di alcuni giovani medici della scuola romana di Medicina interna: da quei giorni del secondo dopoguerra, la Scuola di Frugoni aveva ribattezzato la patologia il Defeocromocitoma…. Come ricorda Aldo Mariani Costantini, il grande anatomista Antonio Ascenzi, appena ventenne, riusciva ad ottenere regolarmente il Lancet e il British Medical Bulletin dalla Ambasciata del Regno Unito e li leggeva all’alba e al tramonto sul trenino tra Roma e Frascati. Questa saldatura tra ricerca e pratica si manifestò nuovamente quando il curatore dell’edizione italiana di Progress in Cardiovascular Disease, Piero Lega, trovò nell’esperienza di Doug Wigle a Toronto descritta sulla rivista una soddisfacente e impensata soluzione per la cardiopatia di cui soffriva nostra madre.
Ma che anni erano quelli in cui il Pensiero divenne quello che è oggi? “Gli anni di cui parlo furono per me, e per tanti miei amici, quelli del primo impegno politico. Così, la casa editrice – che allora recava nettissima l’impronta di Francesco, del suo personale impegno civile – non fu soltanto il posto dove andavamo a comporre il nostro giornale, ma soprattutto un luogo ‘diverso’, che accoglieva e restituiva le istanze di cambiamento che iniziavamo a vivere: un ambiente colto, aperto, vivace, percorso da tutte le speranze e le inquietudini dell’epoca”. Nel ricordo di Alessandro Montebugnoli, il lavoro a Qualemondo – il giornale di un liceo romano tra il 1971 e il 1974 – fu davvero una cosa di sinistra. Se “sinistra” significa discutere, approfondire e ragionare su cose che ci stanno a cuore.
Appassionato di giornali: fosse quello “del marito” (prodotto da lui stesso a mano, negli anni Sessanta, a beneficio – per fortuna – dei soli familiari), quelli studenteschi o scientifici, erano lo strumento più amato per andare al fondo delle cose: il giornale o la rivista, l’unica garanzia di continuità di incontro e dialogo tra autore e lettore. Sostiene Tognoni che sarebbe bello scrivere la storia complessiva di queste esperienze, “almeno per verificare – con tutta la leggerezza ed il disincanto – quanto fosse giusta l’intuizione (o la nostalgia?) iniziale di pensare che sono la fantasia e il rischio che garantiscono il rigore tecnico, e non viceversa”. Equilibrio tra rigore e creatività, per una politica culturale prima ancora che editoriale che non fosse soltanto l’insieme – più o meno coerente – di sogni e aspettative ma anche la tecnica per ordinare e rendere misurabili le strade percorse. Politica, dunque, come capacità di tracciare rotte e impegnarsi a percorrerle. “Governare”, in greco, ha come primo significato “timonare”: l’editore che fa politica, e se si vuole si fa, è anche un nocchiero. Le linee culturali sono le sue rotte e pur non restando tracciate da segni sul mare sono indicazioni imprescindibili per metter ordine nel caos, nella dismisura. Ma “deve essere pronto a entusiasmarsi e sognare, di calcio come di politica, con quelli più giovani di lui”: ha ragione Giancarlo Bausano…
La personale distanza che per tutta la propria vita ha tenuto a mettere tra sé e la medicina si è progressivamente ridotta avvicinandosi alla morte. Negli ultimi anni, l’interrogarsi sul significato del vivere si era tradotto nella lettura e interpretazione di migliaia di pagine sulla morte. Ancora una volta, cercare non l’aveva condotto a certezze. “Il cuore – dice Stefano Cagliano – gli aveva fatto brutti scherzi. Era come se quel viso mi raccontasse la tristezza di una sorpresa che non s’aspettava proprio, la malinconia di non riuscire a far nulla con tutto quanto aveva imparato sulle malattie. ‘E ora che so, che fare?’ era come se dicessero quegli occhi nella sua stanza in casa editrice che ancora frequentava regolarmente”.
“Che senso ha soffrire così?”. Alla sua ultima domanda non abbiamo saputo rispondere. Vorremmo credere che i suoi ultimi giorni siano stati il completamento di una ricerca determinata quanto umile di conoscenza. “Suffering is an ineradicable part of life, even as fate and death. Without suffering and death human life cannot be complete”. La citazione di Victor Frankl è giunta da Richard Smith il 14 agosto.
Come in altre occasioni, è stata d’aiuto.

Luca De Fiore