Linee guida per il trattamento dell’ipertensione

La European Society of Hypertension (ESH) e la European Society of Cardiology (ESC) hanno pubblicato le linee guida 2007 per il trattamento dell’ipertensione arteriosa (Mancia G, De Backer G, Dominiezak A, et al. 2007 guidelines for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and the European Society of Cardiology (ESC). J Hypertens 2007; 25: 1105).
ESH/ESC premettono che la classificazione dell’ipertensione e la valutazione del rischio che essa comporta si basano sui valori di pressione sistolica e di pressione pulsatile o differenziale. Tuttavia si fa notare che la misura della “pressione centrale”, che tiene conto dell’“indice di amplificazione” tra pressione sistolica aortica e pressione pulsatile, consente una più precisa valutazione della condizione pressoria. Finora questa misura, richiedendo una tecnica invasiva, è stata possibile soltanto in laboratorio per motivi di ricerca; recentemente è stato proposto un metodo non invasivo che consente di calcolare la pressione centrale dal contorno dell’onda di pressione pulsatile ottenuto da un’arteria periferica.
Secondo ESH/ESC la definizione e la classificazione dell’ipertensione arteriosa si basano sui seguenti criteri:
– pressione ottimale: sistolica <120 mmHg e diastolica <80 mmHg,
– pressione normale: sistolica 120-129 mmHg e/o diastolica 80-84 mmHg
– valore massimo normale: sistolica 130-139 mmHg e/o diastolica 85-89 mmHg,
– ipertensione di I grado: sistolica 140-159 mmHg e/o diastolica 90-99 mmHg,
– ipertensione di II grado: sistolica 160-179 mmHg e/o diastolica 100-109 mmHg,
– ipertensione di III grado: sistolica >180 mmHg e/o diastolica >110 mmHg,
– ipertensione sistolica isolata: sistolica >140 mmHg e distolica <90 mmHg.
Quando i valori di pressione sistolica e di pressione diastolica di un paziente rientrano in categorie differenti, per la valutazione del rischio cardiovascolare si deve tenere conto dei valori più alti.
Anche l’ipertensione sistolica isolata può essere classificata in tre gradi. Inoltre l’associazione con una pressione diastolica bassa (60-70 mmHg) deve essere considerata fattore di aggravamento di rischio cardiovascolare.
A proposito della nota definizione di “preipertensione” adottata dal US Joint National Committee (JNC7) nel 2003 in riferimento ai valori di pressione “normale” e “ai limiti superiori della norma” (vedi questa Rivista vol. 94, pag. 470, ottobre 2003), ESH/ESC non hanno ritenuto di adottare questa terminologia per i seguenti motivi: 1) anche nei pazienti con pressione “ai limiti della norma” (130-139/85-89 mmHg) il rischio cardiovascolare è risultato nettamente superiore al rischio dei soggetti con pressione “normale” (120-129/80-84 mmHg), così da non giustificare l’unificazione dei due termini, 2) il termine “preipertensione” potrebbe assumere nel pubblico un significato di pericolo, con conseguenti ansia e richiesta di non necessari interventi e 3) il termine “preipertensione” indicherebbe una categoria di soggetti con differente necessità di modificazioni delle abitudini di vita, ad esempio, anziani con pressione di 120/80 mmHg, per i quali ESH/ESC non ritengono vi sia bisogno di alcun intervento e soggetti con elevato rischio cardiovascolare (ad es. dopo un ictus o diabetici) che necessitano di un trattamento farmacologico.

ESH/ESC sottolineano che la diagnosi e il trattamento dell’ipertensione debbono essere messi in relazione con la valutazione del rischio cardiovascolare complessivo. Pertanto i pazienti debbono essere classificati non soltanto in base ai valori pressori, ma anche in base al rischio cardiovascolare che risulta dalla associazione di vari fattori di rischio, dalla presenza di danni d’organo e di varie condizioni patologiche (diabete, nefropatie, etc).
ESH/ESC forniscono un elenco dei fattori che influenzano la prognosi degli ipertesi.
A) Fattori di rischio: livello di pressione sistolica e diastolica, livello di pressione differenziale (specialmente negli anziani), età >55 anni negli uomini e >65 anni nelle donne, fumo, dislipidemia, colesterolo totale >190 mg/dL o colesterolo LDL >115 mg/dL o colesterolo HDL <40 mg/dL negli uomini e <46 mg/dL nelle donne o trigliceridi >150 mg/dL, glicemia a digiuno da 102 a 125 mg/dL, prova di tolleranza glicidica anormale, obesità addominale (circonferenza addominale >102 cm negli uomini e 88 cm nelle donne) e storia famigliare di cardiopatia precoce (uomini con età <55 anni e donne con età <65 anni).
B) Danno d’organo subclinico: ipertrofia ventricolare sinistra all’elettrocardiogramma o all’ecocardiografia, ispessimento della parete carotidea >0,9 mm oppure presenza di placche, velocità del polso carotideo-femorale >12 ms, indice pressorio caviglia-braccio <0,9, lieve aumento della creatininemia (uomini 1,3-1,5 mg/dL, donne 1,2-1,4 mg/dL), filtrato glomerulare stimato <69 mL/min/1,732 oppure clearance della creatinina (formula di Cockroft-Gault) <60 mL/min, microalbuminuria 30-300 mg/24h oppure rapporto albumina-creatinina 22 (maschi) o 31 (femmine) mg/g creatinina.
C) Diabete mellito: glicemia a digiuno >126 mg/dL in ripetuti esami oppure glicemia post-carico >198 mg/dL.
D) Malattie cardiovascolari e renali: malattie cerebrovascolari, infarto miocardico, angina, rivascolarizzazione, insufficienza cardiaca, nefropatia diabetica, insufficienza renale (creatininemia aumentata, proteinuria (>300 mg/24h), arteriopatia periferica, retinopatia in fase avanzata.

Secondo ESH/ESC sono da ritenere ad alto rischio i soggetti con: pressione sistolica >180 mmHg e diastolica >110 mmHg, diabete, sindrome metabolica, più di tre fattori di rischio cardiovascolare, uno o più danni d’organo subclinici (ipertrofia ventricolare sinistra all’elettrocardiogramma, ispessimento dell’intima carotidea o placche carotidee, aumento della rigidità arteriosa, moderata ipercreatininemia, microalbuminuria o proteinuria) e cardiopatie e nefropatie clinicamente conclamate.

ESH/ESC elencano le procedure diagnostiche che debbono mirare a stabilire i livelli pressori e a identificare eventuali cause secondarie di iipertensione e a valutare il rischio cardiovascolare complessivo, ricercando la presenza di fattori di rischio e identificando danni di organi bersaglio e condizioni patologiche associate.
Le procedure diagnostiche consigliare sono: 1) ripetute misure della pressione arteriosa, 2) anamnesi, 3) esame obiettivo e 4) esami di laboratorio e strumentali.

1) Misura della pressione: si consiglia:
– consentire al paziente di sedere per “parecchi” minuti in una stanza tranquilla prima di effettuare la misura,
– eseguire almeno due misure intervallate di 1-2 minuti e anche più qualora le prime due misure diano risultati molto differenti,
– avvalersi di un bracciale di 12-13 cm di larghezza e di 35 cm di lunghezza; adoperare bracciali più grandi o più piccoli per soggetti rispettivamente grassi o magri,
– mantenere il bracciale all’altezza del cuore, qualunque sia la posizione del paziente,
– registrare le fasi I e V (scomparsa della pulsazione) secondo Korotkoff per identificare la pressione sistolica e quella diastolica,
– misurare la prima volta la pressione su entrambe le braccia per rilevare possibili differenze di valori dovute a malattie vascolari periferiche; se i risultati sono differenti, tenere conto del valore maggiore,
– misurare la pressione 1 e 5 minuti dopo assunzione di posizione eretta nei soggetti anziani, nei diabetici e nelle condizioni di ipotensione arteriosa,
– misurare la frequenza cardiaca per almeno 30 secondi dopo la seconda misura in posizione seduta.
ESH/ESC richiamano l’attenzione su possibili differenze nei valori pressori misurati nello studio del medico o dal paziente al suo domicilio o durante la sua normale attività. A questo proposito sono forniti i dati indicativi di queste differenze:
– nello studio del medico: sistolica 140, diastolica 90,
– nel corso delle 24 ore (Holter): sistolica 125-130, diastolica 80,
– durante il giorno: sistolica 130-135, diastolica 85,
– durante la notte: sistolica 120, diastolica 70,
– a domicilio: sistolica 130-135, diastolica 85.
Si ritiene che il controllo della pressione nelle 24 ore (Holter) possa essere utile in casi particolari, come:
– considerevole variabilità dei valori ottenuti in successive misure,
– alti valori ottenuti nello studio del medico in pazienti a basso rischio con marcata discrepanza rispetto ai valori ottenuti a domicilio del paziente (ipertensione da camice bianco),
– sospetto di resistenza ai farmaci,
– sospetto di episodi di ipotensione, specialmente negli anziani e nei diabetici,
– elevati valori nello studio del medico in donne gravide e quando è sospettata una pre-eclampsia.
Secondo ESH/ESC la misura della pressione eseguita dallo stesso paziente al suo domicilio ha notevole valore clinico e prognostico e va consigliata per i seguenti motivi:
– fornisce migliori informazioni sull’effetto dei farmaci antipertensivi e sulla copertura terapeutica da questi effettuata negli intervalli tra le dosi,
– migliora la collaborazione del paziente,
– è utile qualora sorgano dubbi sull’attendibilità delle misure eseguite nello studio del medico.
Tuttavia ESH/ESC sconsigliano la misura della pressione al domicilio del paziente quando produca una condizione di ansia al paziente o provochi un’automodificazione della terapia.
Per quanto riguarda la cosiddetta “ipertensione da camice bianco” (vedi questa Rivista, vol. 88, pag. 1, gennaio 1997), che è presente in circa il 15% della popolazione generale, ESH/ESC ricordano che essa comporta un rischio cardiovascolare minore, anche se molti studi hanno indicato che questa condizione può associarsi a danno di organi bersaglio e ad anomalie metaboliche, probabilmente in rapporto con altri fattori, come età e sesso.
ESH/ESC accennano anche al fenomeno inverso, cioè “normotensione da camice bianco” (vedi questa Rivista, vol. 91, pag. 57, febbraio 2000), per cui a valori pressori normali nello studio del medico corrispondono valori patologici quando la pressione è misurata durante l’attività quotidiana del paziente; questa situazione si osserva nella stessa percentuale dei soggetti con ipertensione da camice bianco e comporta un rischio maggiore di danno di organi bersaglio con particolare aumento di anomalie metaboliche. Questa condizione è anche denominata “ipertensione mascherata”.

2) Anamnesi famigliare e personale. ESH/ESC forniscono le seguenti linee guida:
a) accertare durata e livello dell’ipertensione,
b) raccogliere indicazioni suggestive di ipertensione secondaria: malattie renali, infezioni urinarie, ematuria, abuso di analgesici, assunzione di farmaci o di stupefacenti (contraccettivi orali, liquirizia, carbenoxolone, “gocce nasali”, cocaina, anfetamine, steroidi, farmaci antinfiammatori non steroidei, eritropoietina, ciclosporina), episodi di sudorazione, cefalea, ansia, palpitazioni suggestivi di fecromocitoma, episodi di debolezza muscolare e tetania indicativi di iperaldosteronismo,
c) ricercare la presenza di fattori di rischio: storia famigliare e personale di malattie cardiovascolari e di dislipidemia, fumo di tabacco, abitudini alimentari, obesità, quantità di esercizio fisico, apnea del sonno e “personalità”.
d) ricercare sintomi di danno d’organo:
– sistema nervoso e occhio: cefalea, vertigini, disturbi visivi, attacchi ischemici transitori, deficit motori o sensitivi,
– cuore: palpitazioni, dolore toracico, “respiro corto”, edemi declivi,
– rene: sete, poliuria, nicturia, ematuria,
– arterie periferiche: estremità fredde, claudicatio,
e) indagare su precedente terapia antipertensiva: farmaci adoperati, loro efficacia ed effetti avversi,
f) indagare su fattori personali, famigliari e ambientali.

3) Esame obiettivo.
a) ricercare segni di ipertensione secondaria: sindrome di Cushing, feocromocitoma, rene policistico, ipertensione nefrovascolare, coartazione aortica o malattie dell’aorta,
b) ricercare segni di danno d’organo:
– encefalo: soffi sulle arterie del collo, deficit motori o sensitivi,
– retina: anomalie fundoscopiche,
– cuore: localizzazione e carattere dell’impulso apicale, aritmie, galoppo ventricolare, rantoli polmonari, edemi periferici,
– arterie periferiche: assenza o riduzione o asimmetria delle pulsazioni, estremità fredde, lesioni ischemiche della cute,
– carotidi: soffi sistolici,
c) ricercare segni di obesità viscerale: peso corporeo, aumento della circonferenza addominale in posizione eretta (maschi >102 cm, femmine >88 cm), aumento dell’indice di massa corporea (sovrappeso 25 kg/m2, obesità 30 kg/m2).

4) Indagini di laboratorio.
a) esami di routine: glicemia a digiuno, colesterolemia totale, LDL e HDL, trigliceridemia a digiuno, potassiemia, uricemia, creatininemia, clearance della creatinina (formula di Cockroft-Gault) o filtrato glomerulare (formula MDRD), emoglobina ed ematocrito, analisi delle urine (esame microscopico e microalbuminuria), elettrocardiogramma,
b) esami consigliati: ecocardiografia, ecoDoppler dei vasi del collo, proteinuria quantitativa, indice pressorio caviglia-braccio, esame del fondo oculare, prove di tolleranza glicidica (se la glicemia a digiuno è >100 mg/dL), velocità dell’onda pulsatoria, misura della pressione nelle diverse condizioni ambientali precedentemente indicate,
c) ulteriori esami: ricerca di danno cerebrale, cardiaco, renale e vascolare (sono obbligatori in caso di ipertensione complicata), ricerca di ipertensione secondaria quando sospettata dall’anamnesi, dall’esame obiettivo e dai risultati degli esami di laboratorio.

ESH/ESC si soffermano anche sui fattori genetici che possono contribuire all’ipertensione arteriosa e che debbono essere presi in considerazione quando l’anamnesi famigliare rivela un’ipertensione in membri della famiglia del paziente. A questo proposito si ricorda che l’ipertensione è altamente eterogenea, con un’etiologia multifattoriale e con anomalie poligeniche e che, nonostante siano state riconosciute numerose mutazioni in geni codificanti per i sistemi di controllo della pressione, ancora non è chiarito l’esatto ruolo di questi fattori nella patogenesi della malattia.

5) Ricerca di danno d’organo subclinico:
a) cuore: elettrocardiogramma per identificare un’ipertrofia ventricolare sinistra ed ecocardiografia quando si ritiene utile precisarne l’entità e riconoscere una disfunzione diastolica,
b) vasi: ecoDoppler dei vasi del collo per l’identificazione di lesioni arteriosclerotiche asintomatiche, misura della velocità dell’onda pulsatoria per valutare la rigidità delle grandi arterie (causa di ipertensione sistolica isolata negli anziani), misura dell’indice pressorio caviglia-braccio,
c) rene: creatininemia e misura del filtrato glomerulare, misura della proteinuria e, se negativa, misura della microalbuminuria,
d) fondo oculare, consigliabile soltanto nell’ipertensione “grave”; lievi anomalie retiniche sono ritenute non specifiche, tranne che nei pazienti giovani; si ricorda che emorragie, essudati e papilledema sono presenti soltanto nell’ipertensione grave associata ad aumentato rischio cardiovascolare,
e) encefalo: ricerca di infarto cerebrale silente, infarto lacunare; microsanguinamenti e lesioni della materia bianca non sono infrequenti negli ipertesi e debbono essere ricercati mediante tomografia computerizzata o risonanza magnetica nucleare.
Trattamento
ESH/ESC ritengono che la decisione di iniziare il trattamento di un’ipertensione debba basarsi sul livello della pressione sistolica e di quella diastolica e del rischio cardiovascolare.
Gli scopi del trattamento sono:
1) ottenere la massima riduzione, a lungo termine, del rischio cardiovascolare globale,
2) ridurre la pressione arteriosa almeno al di sotto dei 140/90 mmHg e, se tollerato, a valori inferiori, in tutti gli ipertesi.
3) considerare bersaglio ideale da raggiungere quello di un pressione di almeno 130/80 mmHg nei diabetici e nei pazienti a rischio molto elevato (ictus, infarto miocardico, disfunzione renale, proteinuria).
ESH/ESC riconoscono la difficoltà di raggiungere una pressione sistolica <140 o <130 mmHg, specialmente negli anziani, nei diabetici e, in genere, nei pazienti con danno cardiovascolare e ritengono che, al fine di ottenere i migliori risultati, il trattamento dovrebbe essere iniziato prima della comparsa di significativo danno d’organo.
Strategie terapeutiche
A) Modificazione delle abitudini di vita: 1) cessazione del fumo, 2) riduzione e stabilizzazione del peso corporeo, 3) riduzione di eccessiva assunzione di alcolici, 4) attività fisica, 5) riduzione dell’apporto di sodio, 6) aumento dell’apporto di vegetali e frutta e riduzione dell’apporto di grassi totali e saturi.
Le modificazioni delle abitudini di vita debbono essere controllate periodicamente, iniziando la terapia farmacologica al bisogno.
B) Scelta dei farmaci antipertensivi:
– le principali classi di farmaci antipertensivi sono: 1) diuretici tiazidici, 2) calcio-antagonisti (CA), 3) inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina I in angiotensina II (ACE-I), 4) bloccanti il recettore per l’angiotensina (ARB) e 5) beta-bloccanti (BB),
– in molti ipertesi si rendono spesso necessarie varie associazioni di farmaci antipertensivi. ESH/ESC rimarcano che vi sono molte condizioni nelle quali è indicato iniziare con una classe di antipertensivi piuttosto che con un’altra, oppure iniziare con un’associazione di farmaci,
– secondo ESH/ESC la scelta di un determinato farmaco o di una particolare associazione deve tenere conto di:
• precedente favorevole o sfavorevole esperienza con una determinata classe farmacologica,
• effetto sui fattori di rischio,
• presenza di danno d’organo subclinico o di altre condizioni che possano limitare l’uso di un farmaco,
• possibilità di interazioni farmacologiche.
– è necessario porre continua attenzione agli effetti collaterali, che sono la causa principale di mancata collaborazione del paziente,
– il controllo dell’effetto sulla pressione dovrebbe durare 24 ore; pertanto, secondo ESH/ESC, sono preferibili i farmaci che esplicano effetto antipertensivo per oltre 24 ore, consentendo un’unica somministrazione al giorno, così da favorire la collaborazione del paziente,
– ESH/ESC rimarcano che il costo di un determinato farmaco antipertensivo non deve mai prevalere sulla conoscenza di efficacia, tollerabilità ed effetto protettivo.
C) Farmaci antipertensivi da preferirsi.
a) In presenza di danno d’organo subclinico:
– ipertrofia ventricolare sinistra: ACE-I, CA, ARB,
– arteriosclerosi asintomatica: CA, ARB,
– microalbuminuria: ACE-I, ARB,
– disfunzione renale: ACE-I, ARB.
b) In occasione di particolari eventi clinici:
– precedente ictus: qualsiasi antipertensivo,
– precedente infarto miocardico: BB, ACE-I, ARB,
– angina: BB, CA,
– insufficienza cardiaca: diuretici, BB, ACE-I, ARB, antialdosteronici,
– fibrillazione atriale:
• ricorrente: ARB, ACE-I
• permanente: BB, CA non-diidropiridinici,
– insufficienza renale/proteinuria: ACE-I, ARB, diuretici dell’ansa,
– arteriopatie periferiche: CA.
c) In alcune situazioni:
– ipertensione sistolica isolata (anziani): diuretici, CA,
– sindrome metabolica: ACE-I, ARB, CA,
– diabete mellito: ACE-I, ARB,
– gravidanza: CA, metildopa, BB,
– etnia nera: diuretici, CA.
D) Controindicazioni
1 – Diuretici tiazidici: gotta (controindicazioni possibili: sindrome metabolica, intolleranza glicidica, gravidanza).
2 – Beta-bloccanti: asma, blocco atrioventricolare di 2° e 3° grado (controindicazioni possibili: arteriopatie periferiche, sindrome metabolica, intolleranza glicidica, atleti e soggetti fisicamente attivi, broncopneumopatia cronica ostruttiva).
3 – Calcio antagonisti diidropiridinici (controindicazioni possibili: tachiaritmie, insufficienza cardiaca).
4 – Calcio antagonisti verapamil e diltiazem: blocco atrioventricolare di 2° e 3° grado, insufficienza cardiaca.
5 – ACE-I: gravidanza, edema angioneurotico, iperpotassiemia, stenosi dell’arteria renale bilaterale.
6 – ARB: gravidanza, iperpotassiemia, stenosi dell’arteria renale bilaterale.
7 – Diuretici antialdosteronici: insufficienza renale, iperpotassiemia.
E) Monoterapia o terapia associata.
ESH/ESC ritengono che una terapia con un solo farmaco antipertensivo, indipendentemente dal farmaco usato, consenta di raggiungere l’obiettivo soltanto in un limitato numero di ipertesi e che nella maggioranza dei casi si renda necessario l’uso di più farmaci. Una monoterapia può essere adottata nel trattamento iniziale dell’ipertensione nel caso che questa sia lieve e vi sia un rischio cardiovascolare da basso a moderato. Tuttavia anche in questi casi è consigliabile iniziare con due farmaci a basse dosi; questo sistema semplifica il trattamento e favorisce la collaborazione del paziente. Senonché in molti pazienti l’associazione di due farmaci non è sufficiente ed è necessario l’associazione di tre o più farmaci.
ESH/ESC ricordano che nell’ipertensione non complicata e negli anziani è consigliabile iniziare il trattamento gradualmente, mentre negli ipertesi a più alto rischio i valori pressori debbono essere ridotti più prontamente mediante associazione di più farmaci e più rapido aggiustamento delle dosi.
ESH/ESC sostengono che l’associazioni di più farmaci antipertensivi di classi differenti può essere consigliato se: 1) i farmaci scelti hanno un meccanismo d’azione differente e complementare, 2) si può dimostrare che l’effetto antipertensivo dell’associazione farmacologica è maggiore di quello dei singoli componenti e 3) l’associazione può dimostrare un migliore profilo di tollerabilità, avendo un meccanismo d’azione complementare a quello dei singoli componenti, riducendo di questi gli effetti collaterali.

ESH/ESC esaminato le caratteristiche e i vantaggi delle associazioni più frequentemente usate.
1) L’associazione diuretico tiazidico-beta bloccanti ha passato il suo tempo, a causa di effetti dismetabolilci; pertanto ne è sconsigliato l’uso nei pazienti con sindrome metabolica e quando vi è il sospetto di comparsa di diabete.
2) L’associazione diuretico tiazidico-diuretico risparmiatore di potassio (amiloride, triamterene, spironolattone), è stata largamente usata per anni per prevenire la perdita di potassio, riducendo l’incidenza della morte improvvisa per iperpotassiemia, prevenendo l’intolleranza glicidica e riducendo l’incidenza di diabete da tiazidi e l’ipopatassiemia.
3) L’associazione di un ACE-I con un ARB, nonostante le due classi di farmaci interferiscono a differenti livelli con gli stessi meccanismi fisiologici, dà luogo a una maggiore riduzione della pressione e a un maggiore effetto antiproteinurico, sia nella nefropatia diabetica che in quella non diabetica; è stato inoltre osservato che questa associazione migliora la sopravvivenza nell’insufficienza cardiaca.

Per quanto concerne il trattamento dell’ipertensione negli anziani ESH/ESC osservano che negli ipertesi di oltre 60 anni, con ipertensione sistolica isolata, si sono dimostrati utili soprattutto diuretici tiazidici e calcio-antagonisti, anche se sono efficaci ACE-I e ARB. Si sottolinea la necessità della gradualità dei dosaggi iniziali e di quelli successivi, a motivo della maggiore frequenza di effetti collaterali negli anziani. Nell’anziano, come del resto nei pazienti più giovani, lo scopo della terapia è quello di raggiungere una pressione sistolica di 140 mmHg, essendo più difficile ottenere livelli inferiori. Negli anziani particolare attenzione va data alla presenza di fattori di rischio cardiovascolare e non cardiovascolare e alla possibilità di effetti collaterali, in particolare all’ipotensione ortostatica (vedi in precedenza). Si fa rilevare che negli ultraottantenni non è ancora stabilita la reale utilità di un trattamento antipertensivo, ma non vi è motivo di interrompere la terapia al raggiungimento degli 80 anni.

ESH/ESC esaminano alcuni aspetti particolari del trattamento dell’ipertensione arteriosa.
A) Diabete mellito e disfunzione renale:
– in primis è necessario adottare “intense” misure non farmacologiche, con particolare attenzione alla riduzione del peso corporeo e dell’apporto sodico,
– in questi pazienti è necessario raggiungere valori pressori di <130/80 mmHg, e iniziare il trattamento già quando la pressione è “ai limiti massimi normali”,
– la riduzione della pressione esplica un effetto protettivo sul rene e, a questo fine, sono utili i farmaci che interferiscono nel sistema renina-angiotensina,
– la comparsa di microalbuminuria impone un immediato intervento con farmaci bloccanti il sistema renina-angiotensina, che esplicano effetto antiproteinurico,
– il programma terapeutico deve comprendere anche l’uso di statine in relazione alla frequenza di fattori di rischio,
– la misura dei valori pressori va fatta anche in ortostatismo,
– per controllare la progressione del danno renale è necessario ottenere una pressione <130/80 mmHg, e un riduzione della proteinuria a <1 g/die; per raggiungere questi obiettivi è necessario avvalersi dell’associazione di vari antipertensivi (compresi i diuretici dell’ansa).
B) Malattie cerebrovascolari:
– nei pazienti con ictus o attacchi ischemici transitori, il trattamento dell’ipertensione riduce le ricorrenze cerebrovascolari oltre che gli eventi cardiovascolari,
– il trattamento è utile anche nei pazienti con livelli pressori nei limiti massimi della norma e il suo bersaglio deve essere una pressione <130/80 mmHg,
– i farmaci più spesso adoperati in questa evenienza sono ACE-I e ARB associati a diuretici, anche se ESH/ESC ritengono non definitivamente stabilito il loro ruolo in queste circostanze,
– al momento attuale non è dimostrato che la riduzione della pressione esplichi un benefico effetto sull’ictus acuto; pertanto ESH/ESC ritengono necessari ulteriori studi su questo problema; nel frattempo il trattamento antipertensivo dovrebbe iniziare dopo l’ictus, quando le condizioni cliniche sono stabilizzate (di solito molti giorni dopo l’evento),
– ESH/ESC riferiscono che studi osservazionali hanno indicato che il declino cognitivo e l’incidenza di demenza sono positivamente influenzati dalla terapia antipertensiva.
C) Coronariopatie e insufficienza cardiaca.
– nei sopravvissuti a un infarto miocardico la precoce somministrazione di BB, ACE-I o ARB riduce l’incidenza di infarto ricorrente e di obitus, inducendo a ritenere che ciò sia da mettersi in rapporto con l’effetto antipertensivo di questi farmaci,
– il trattamento antipertensivo è anche utile negli ipertesi con cardiopatie croniche; l’effetto benefico è stato dimostrato quando i valori pressori iniziali sono <140/90 mmHg e quando raggiungono 130/80 mmHg.
– ESH/ESC ricordano che nei pazienti con insufficienza cardiaca è frequente una storia clinica di ipertensione; in queste circostanze sono adoperati diuretici tiazidici o dell’ansa, BB, ACE-I, ARB e antialdosteronici; si sottolinea che debbono essere evitati i CA, a meno che si debbono controllare i sintomi collegati a un’angina o all’aumento della pressione,
– si richiama l’attenzione sull’insufficienza cardiaca diastolica (vedi questa Rivista, vol. 98, pag. 407, luglio-agosto 2007), che è frequente nei pazienti con storia di ipertensione e che comporta una prognosi sfavorevole; al momento attuale non vi sono farmaci specifici per questa condizione.
D) Fibrillazione atriale (FA):
– ESH/ESC ricordano che l’ipertensione rappresenta il più importante fattore di rischio di FA e che questa condizione accresce da 2 a 5 volte il rischio di morbilità e di mortalità cardiovascolari, con marcato aumento del rischio di ictus embolico,
– l’aumento della massa del ventricolo sinistro e l’ingrandimento dell’atrio sinistro sono determinanti indipendenti di FA; pertanto gli ipertesi con queste alterazioni richiedono un trattamento intensivo dell’ipertensione,
– il controllo della pressione è obbligatorio in corso di terapia anticoagulante, perché ictus ed episodi emorragici sono più frequenti quando la pressione sistolica è 140 mmHg,
– è stato osservato che ACE-I e ARB riducono l’incidenza di episodi di FA e delle loro complicanze, mentre BB e CA non diidropiridinici sono utili per controllare la frequenza ventricolare.
E) Ipertensione nelle donne:
1) ESH/ESC ricordano che nelle donne la risposta ai farmaci antipertensivi è simile a quella che si osserva negli uomini; tuttavia ACE-I, ARB debbono essere evitati in gravidanza o nelle donne che si preparano alla gravidanza per il pericolo di effetto teratogeno,
2) contraccettivi orali: anche quelli a basso contenuto di estrogeni comportano un aumentato rischio di ipertensione, ictus e infarto miocardico; nelle donne con elevati livelli pressori possono essere usati i contraccettivi contenenti soltanto progesterone; tuttavia, secondo ESH/ESC, questo aspetto del problema necessita ancora di ulteriori studi,
3) terapia ormonale sostitutiva: ESH/ESC ricordano che è stato osservato che essa comporta aumento di rischio di eventi coronarici, ictus, tromboembolie, carcinoma mammario, colecistopatie e demenza; questa terapia non è consigliata come cardioprotezione nella post-menopausa,
4) ipertensione in gravidanza:
– ESH/ESC sottolineano l’importanza del trattamento non farmacologico (che deve comprendere controllo e restrizione delle attività) nelle gravide con pressione sistolica 140-149 mmHg e diastolica 90-95 mmHg; in presenza di ipertensione gestazionale, con o senza proteinuria, il trattamento farmacologico è indicato quando la pressione è 140/90 mmHg; livelli di pressione sistolica 170 mmHg e diastolica >110 mmHg debbono essere considerati un’emergenza che richiede ricovero ospedaliero,
– nell’ipertensione non grave i farmaci si scelta sono metildopa orale, labetalolo (alfa e beta bloccante), CA e, meno frequentemente, BB,
– nella pre-eclampsia con edema polmonare il farmaco di scelta è la nitroglicerina; la terapia diuretica è sconsigliata a motivo della presenza di riduzione del volume plasmatico,
– come trattamento di emergenza sono indicate labetalolo endovena, metildopa orale e nifedipina orale; non è più usata l’idralazina endovena a causa degli effetti avversi perinatali; il sodio nitroprussiato endovena è utile nelle crisi ipertensive, evitando però i trattamenti prolungati;
– supplementi di calcio, olio di pesce e aspirina a basse dosi possono essere usati profilatticamente in caso di storia di pre-eclampsia a inizio precoce.
F) Sindrome metabolica (SM):
– ESH/ESC ricordano che i soggetti con SM presentano più elevata prevalenza di microalbuminuria, ipertrofia ventricolare sinistra e rigidità arteriosa;
– in questi pazienti particolare attenzione va posta all’identificazione di danni d’organo subclinici; a questo fine ESH/ESC ritengono consigliabile la misura della pressione al domicilio del paziente e durante la sua attività quotidiana;
– in tutti i casi debbono essere adottate misure adeguate al controllo delle abitudini di vita; in presenza di ipertensione la terapia va iniziata evitando farmaci che possano favorire la comparsa di diabete;
– secondo ESH/ESC vanno usati ACE-I e ARB con, al bisogno, CA oppure un diuretico tiazidico a basse dosi, mirando a ottenere normali valori pressori;
– statine e farmaci ipoglicemizzanti antidiabetici sono consigliati in caso di dislipidemia e di diabete; ESH/ESC riferiscono che è stato dimostrato che gli insulino-sensibilizzanti riducono nettamente la comparsa di diabete, ma non sono ancora accertati i loro effetti sull’iperglicemia a digiuno e sull’intolleranza glicidica.
G) Ipertensione resistente.
ESH/ESC definiscono un’ipertensione “resistente” o “refrattaria” al trattamento quando un piano terapeutico, che includa misure riguardanti le abitudini di vita e la prescrizione di almeno tre farmaci (compreso un diuretico), non consenta di ridurre la pressione sistolica e quella diastolica. ESH/ESC ricordano che la percentuale di ipertensione resistente può raggiungere il 15% e che questa condizione è spesso associata a danno subclinico d’organo e a notevole rischio cardiovascolare.
ESH/ESC elencano le cause di ipertensione resistente:
– mancata collaborazione del paziente,
– mancata o insufficiente modificazione delle abitudini di vita (controllo del peso corporeo ed eccessiva assunzione di alcolici),
– uso continuato di sostanze che aumentano la pressione (liquirizia, cocaina, glucocorticoidi, farmaci antinfiammatori non steroidei),
– apnea ostruttiva del sonno,
– presenza non sospetta di causa di ipertensione secondaria,
– danno d’organo irreversibile o scarsamente reversibile,
– sovraccarico di volume (inadeguata terapia diuretica, insufficienza renale progressiva, elevato apporto di sodio, iperaldosteronismo).
ESH/ESC accennano inoltre alle cause di ipertensione spuria:
– ipertensione da camice bianco,
– mancato uso di adatto bracciale nella misura della pressione,
– pseudoipertensione.
H) Emergenze ipertensive:
– encefalopatia ipertensiva,
– ipertensione con infarto miocardico,
– ipertensione con angina instabile,
– ipertensione e dissezione dell’aorta,
– grave ipertensione associata a emorragia subaracnoidea e ad accidente cerebrovascolare,
– crisi ipertensiva da feocromocitoma,
– uso di alcune sostanze stupefacenti (LSD, ectasy, cocaina, anfetamine),
– ipertensione perioperatoria,
– grave pre-eclampsia o eclampsia.
I) Trattamento dei fattori di rischio associati.
1) Farmaci ipolipemizzanti. ESH/ESC consigliano l’uso di statine negli ipertesi con malattie cardiovascolari stabilizzate o diabete mellito di tipo 2, mirando a raggiungere un livello plasmatico di colesterolo totale di 175 mg/mL e di colesterolo LDL di 100 mg/dL e, se possibile, livelli più bassi,
2) Terapia antipiastrinica:
– aspirina a basse dosi negli ipertesi con pregressi episodi cardiovascolari, a patto che non ci sia rischio di emorragie,
– basse dosi di aspirina sono anche consigliate negli ipertesi con o senza storia di cardiopatie, di età >50 anni e con moderate anomalie della creatininemia oppure alto rischio cardiovascolare,
3) Controllo della glicemia:
– in questi pazienti il trattamento dietetico e farmacologico deve mirare a ridurre la glicemia a digiuno a £108 mg/dL e l’emoglobina glicosata a <6,5%.
L) Controllo del decorso della malattia:
– ESH/ESC consigliano ripetuti controlli clinici e misure della pressione al fine di intervenire tempestivamente per modificare la terapia e controllarne gli effetti,
– una volta ottenuto il valore pressorio desiderato, i controlli possono essere meno frequenti pur non allungando eccessivamente gli intervalli tra le visite,
– i pazienti a basso rischio e con ipertensione di 1° grado possono essere controllati ogni 6 mesi o anche più, se la pressione è controllata dal paziente al suo domicilio; per contro i controlli debbono essere più frequenti nei pazienti ad alto rischio; lo stesso dicasi per i pazienti con variabile risposta terapeutica o poco collaboranti,
– il controllo deve essere indirizzato ai fattori di rischio e agli eventuali danni d’organo; inoltre si deve tenere presente che le modificazioni della massa ventricolare sinistra e dello spessore della parete carotidea evolvono lentamente e pertanto non si ritiene necessario eseguire questi esami a intervalli inferiori a un anno,
– ESH/ESC affermano che il trattamento dell’ipertensione deve durare tutta la vita perché, anche nei pazienti ben controllati, l’interruzione del trattamento è di solito seguìta dal ripristino della condizione ipertensiva; peraltro una cauta riduzione delle dosi dei farmaci può essere effettuata nei pazienti a basso rischio, dopo un prolungato controllo, specialmente quando è possibile attuare con successo un trattamento non farmacologico.
M) Ipertensione secondaria
ESH/ESC ricordano che uno screening di queste forme di ipertensione può essere eseguito avvalendosi della storia clinica, dell’esame obiettivo e di alcuni esami di laboratorio e strumentali. Un’ipertensione secondaria può essere sospettata in presenza di un “grave” incremento dei valori pressori o di improvviso loro aumento o di una mancata risposta alla terapia.
ESH/ESC elencano le cause di ipertensione secondaria:
1) malattia parenchimale renale (rene policistico, nefropatia parenchimale),
2) ipertensione renovascolare (stenosi dell’arteria renale),
3) feocromocitoma,
4) aldosteronismo primario,
5) sindrome di Cushing,
6) apnea ostruttiva del sonno,
7) coartazione dell’aorta,
8) ipertensione indotta da farmaci.
N) Miglioramento della collaborazione del pazienti; ESH/ESC ritengono che, a questo fine sia necessario:
– informare il paziente sui rischio dell’ipertensione e sui vantaggi conseguibili con un trattamento adeguato,
– fornire al paziente chiare prescrizioni, verbalmente e per iscritto,
– adeguare, per quanto possibile, la terapia alle abitudini di vita del paziente riducendo, se possibile, il numero dei farmaci da assumere giornalmente,
– rendere compartecipi i famigliari del paziente al trattamento,
– consigliare la misura della pressione al domicilio del paziente,
– porre particolare attenzione agli effetti collaterali (anche se lievi) ed essere preparati a modificare tempestivamente la terapia,
– discutere con il paziente le modalità di trattamento e informarsi sui suoi problemi.