In questo numero

Non sarà un buon modo per iniziare l’anno ma citare il post di Richard Smith sul blog del BMJ (http://blogs.bmj.com/bmj/2014/12/31/richard-smith-dying-of-cancer-is-the-best-death) è quasi un obbligo considerati i commenti e le critiche che ha suscitato: «So death from cancer is the best […]. You can say goodbye, reflect on your life, leave last messages, perhaps visit special places for a last time, listen to favourite pieces of music, read loved poems, and prepare, according to your beliefs, to meet your maker or enjoy eternal oblivion». La chiave per comprendere il senso dell’affermazione è nella preposizione iniziale, quel “so” che rende la frase la conclusione di un ragionamento per esclusione: è preferibile che il morire sia un processo (e non un evento improvviso), che lasci al morente e ai suoi affetti la possibilità di prepararsi consapevolmente alla separazione. L’ex direttore del BMJ si aspettava le reazioni giunte puntualmente sui social media e con la consueta ironia aggiungeva: «This is, I recognise, a romantic view of dying, but it is achievable with love, morphine, and whisky».

«The reality is that death from cancer often does not conform to Smith’s vision», ha replicato Janet Freeman su uno dei blog più seguiti (https://grayconnections.wordpress.com/2015/01/02/dying-the-best-death-its-not-cancer/) tra quelli curati dai malati oncologici. La maggior parte dei pazienti non trae sollievo da una terapia del dolore adeguata e non è neanche nelle condizioni di poter sistemare le proprie cose in una maniera soddisfacente, per l’insicurezza economica o per la difficoltà a comunicare.

Tra i tanti commenti al punto di vista di Smith, molti si sono concentrati sull’affermazione conclusiva: «Stay away from overambitious oncologists, and let’s stop wasting billions trying to cure cancer, potentially leaving us to die a much more horrible death». Critiche e consensi che confermano come l’oncologia sia uno degli ambiti in cui più si manifesta la tensione tra domanda di un’assistenza più umana e l’offerta di tecnologie – farmacologiche e diagnostiche – talvolta incapaci di promettere (quasi mai di garantire) un impatto rilevante sul benessere o sulla sopravvivenza del malato. Con il ricco contorno di problemi legati alla sostenibilità economica (e quindi sociale) dei trattamenti, all’equità dell’accesso alle cure (soprattutto all’assistenza nel fine vita), alla praticabilità, all’utilità e all’indipendenza della ricerca.

L’oncologia è una disciplina che sollecita un’intensa domanda di informazione da parte dei clinici, dei ricercatori, del personale impegnato nel nursing, dei dirigenti sanitari, dei pazienti, dei loro familiari, degli economisti, dei bioeticisti. Tanto è forte la domanda quanto è debole l’offerta formativa indipendente. Anche da parte dell’editoria scientifica, molto più interessata a produrre spazi per soddisfare la necessità di pubblicare che l’esigenza di leggere e condividere per costruire saperi. Per questo, Recenti Progressi in Medicina dedicherà alcuni numeri monografici alla discussione dell’attualità e – soprattutto – delle prospettive dell’oncologia: cercando collaborazione tra gli “overambitious oncologists” che vivono questa loro aspirazione non come stimolo per sovradiagnosi e overtreatment ma come desiderio di assistere il malato nel modo migliore e più rispettoso.

Lo faremo a partire da questo quaderno ed è un bel modo per iniziare l’anno.

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