Slow Medicine: un nuovo paradigma in medicina

Antonio Bonaldi1, Sandra Vernero2

Riassunto. Slow Medicine nasce in Italia nel 2011 come un movimento d’idee per riportare i processi di cura nell’ambito dell’appropriatezza, ma all’interno di una relazione di ascolto, di dialogo e di condivisione delle decisioni con il malato. La filosofia di Slow Medicine è sintetizzata da tre parole chiave: sobria, perché agisce con moderazione, gradualità e senza sprechi; rispettosa, perché è attenta alla dignità della persona e al rispetto dei suoi valori; giusta, perché impegnata a garantire cure appropriate per tutti. In breve tempo l’associazione si diffonde in ambito nazionale e internazionale cogliendo le istanze di cambiamento di professionisti della salute, pazienti e cittadini che sempre più numerosi si rendono conto che per affrontare i problemi sanitari è necessario ricorrere a nuovi paradigmi culturali e metodologici. Professionisti, pazienti e cittadini sono indotti da conflitti d’interesse, da luoghi comuni e da consuetudini a consumare sempre più prestazioni sanitarie (spesso inappropriate), nell’illusione che per migliorare la salute sia sempre meglio fare di più. Il modello culturale dominante di tipo riduzionista, su cui, oggi, si basa il concetto di salute e di malattia, considera l’uomo come una macchina, il cui studio è affidato a un numero crescente di specialisti, interessati soprattutto ai meccanismi fisiopatologici delle malattie. L’interesse è rivolto principalmente alle tecnologie, mentre la persona e le sue relazioni con la sfera familiare e sociale sono del tutto trascurate. Slow Medicine adotta l’approccio sistemico, che, al contrario, ci insegna che salute e malattia sono fenomeni complessi e che la vita di una persona è più della somma delle reazioni chimiche che si producono nelle sue cellule. A diversi livelli di complessità compaiono, infatti, proprietà nuove e inaspettate, come: il pensiero, le emozioni, i piaceri, la salute. Tali proprietà non sono individuabili nei singoli elementi e possono essere studiate solo avvalendosi di metodi di analisi e di conoscenze rintracciabili in altri domini del sapere, quali ad esempio le scienze umanistiche: filosofia, antropologia, psicologia, etica, arte, ecc. Sul piano operativo, Slow Medicine, in analogia a quanto avviato negli USA con “Choosing Wisely”, ha promosso il progetto “Fare di più non significa fare meglio”, volto a migliorare l’appropriatezza clinica riducendo il sovra-utilizzo di esami e trattamenti: come primo passo, le Società Scientifiche che aderiscono (a oggi 30) sono invitate a indicare cinque esami diagnostici o trattamenti di comune riscontro nella pratica clinica in Italia che spesso non danno benefici ai pazienti, ma li espongono a inutili rischi.

Parole chiave. Appropriatezza, choosing wisely, medicina sistemica, scienze umane, Slow Medicine.

Italy’s Slow Medicine: a new paradigm in medicine.

Summary. Italy’s Slow Medicine was founded in 2011 as a movement aimed to promote processes of care based on appropriateness, but within a relation of listening, dialogue and decision sharing with the patient. The mission of Slow Medicine is synthetized by three key words: measured, because it acts with moderation, gradually and without waste; respectful, because it is careful in preserving the dignity and values of each person; and equitable, because it is committed to ensuring access to appropriate care for all. In a short time, the association spreads at national and international level, gathering the needs of change of a growing number of health professionals, patients and citizens, committed to manage health problems with a new cultural and methodological paradigm. Medicine is soaked with inappropriateness, wastes, conflicts of interest, and many clichés induce professionals and patients to consume more and more healthcare services in the illusion that it is always better doing more for improving health. Moreover, the dominant reductionist cultural model, on which the concept of health and disease is based today, considers man as a machine, investigated by a growing number of specialists, particularly interested in the pathophysiological mechanisms of diseases. The interest is mainly focused on technologies, while the person along with the relations with his/her family and the social enviroment are completely neglected. The systemic approach adopted by Slow Medicine, on the contrary, teaches us that health and disease are complex phenomena and the life of a person is more than the sum of the chemical reactions that occur in its cells. At different levels of complexity, in fact, new and unexpected properties appear, such as thinking, emotions, pleasure, health. These properties are not detectable in the individual elements and can only be studied using methods of analysis and knowledge belonging to other domains of knowledge, such as humanity sciences: philosophy, anthropology, psychology, ethics, art, etc. Operationally, Slow Medicine has launched the “Doing more does not mean doing better” campaign similar to “Choosing Wisely” in the United States, which aims to improve clinical appropriateness through the reduction of unnecessary tests and treatments: as first step, the specialty societies involved (30 by now) should indicate five tests or treatments commonly used in Italy’s clinical practice that do not provide any benefit to most patients but may cause harm.

Key words. Appropriateness, choosing wisely, medical humanities, Slow Medicine, system medicine.

Che cos’è Slow Medicine?

Torino 2010, nasce Slow Medicine

L’11 dicembre 2010, un gruppo di amici a vario titolo impegnati in ambito sanitario e ugualmente preoccupati della pericolosa deriva imboccata dal sistema delle cure si ritrova a Torino, presso la sede dell’Istituto Change. Da alcune settimane è in corso un fitto scambio di mail su un documento di Andrea Gardini che delinea un nuovo modo di intendere la medicina: una medicina meno tecnologica, meno prona al mercato, più attenta alla persona e basata sull’approccio sistemico. Bastano poche parole per capire di essere sulla medesima lunghezza d’onda: la medicina d’oggi non ci piace e siamo convinti che ci siano modi migliori per affrontare i problemi di salute e che cambiare si può. Inizia così una vera e propria tempesta di idee, di pensieri e di concetti a cui, però, bisogna dare forma, di cui bisogna cogliere i significati e farne una sintesi comprensibile per i non esperti. Dopo diversi tentativi emergono le tre parole chiave in cui si racchiude la filosofia di Slow Medicine per una medicina sobria, rispettosa e giusta. Sobria, perché agisce con moderazione, gradualità e senza sprechi; rispettosa, perché tiene in considerazione la dignità della persona e riconosce che i suoi valori e le sue aspettative sono principi inviolabili; giusta, perché intende combattere le diseguaglianze e assicurare l’accesso a cure appropriate per tutti1. Da ultimo, Jorge Frascara, grafico della comunicazione presso l’Università di Alberta (Canada), disegna il nostro logo: due chioccioline che dialogano. Di lì a poco ci costituiamo come associazione e si inizia a parlare di Slow Medicine.

Qualcuno ne aveva già parlato

Poco dopo ci accorgiamo che qualcuno aveva già individuato una strada slow per la medicina. Nel 2002, Alberto Dolara, cardiologo di Firenze, aveva anticipato tutti con il suo articolo “Invito a una slow medicine”2 e qualche anno dopo, nel 2008, Roberto Satolli, sul Corriere della sera, metteva bene in evidenza che slow doveva essere inteso come un approccio alle cure, morbido e meno tecnologico.

Anche negli Stati Uniti si parla di Slow Medicine. Dennis McCullough in “My mother, your mother”3, Victoria Sweet in “God’s Hotel”4 e Katy Butler in “Knocking on Heaven’s Door5: tre bestseller che affrontano in modo esemplare i temi della slow medicine nell’assistenza agli anziani e in situazioni di fine vita. Con i tre autori, animati dai nostri medesimi interessi, nasce un proficuo scambio di pensieri, esperienze e riflessioni.

Slow Medicine prende il largo

I concetti di Slow Medicine sembrano cogliere un comune modo di sentire. Così, in breve tempo intorno a queste prime idee si raccolgono le istanze di cambiamento di tanti professionisti della salute, pazienti e cittadini. Dopo alcuni mesi d’incontri e dibattiti, nel maggio del 2011, Slow Medicine fa il suo esordio ufficiale con il workshop di Ferrara, in cui le cure sobrie, rispettose e giuste sono declinate nei vari ambiti. In quell’occasione l’associazione si definisce come rete d’idee in movimento, per sottolinearne l’aspetto dinamico, non verticistico, rispettoso dei principi della complessità e di una rigorosa linea etica. Sono soprattutto le interazioni tra i soci e i simpatizzanti a tracciare la strada e a promuovere il cambiamento: non ci sono certezze ma un continuo dialogo tra persone e contesto d’appartenenza. I percorsi non seguono piani predefiniti, non sono mai lineari e colgono le varie opportunità via via che si presentano. In questo modo il movimento cresce e si diffonde. I suoi rappresentanti partecipano a moltissimi convegni, workshop, manifestazioni pubbliche in ambito nazionale che aiutano a definire sempre meglio il pensiero slow, le aree tematiche, i progetti e le alleanze. Ne parlano la stampa nazionale e diversi blog, tra cui quello di Richard Smith sul BMJ, dove Slow Medicine è definita come la migliore medicina del ventunesimo secolo6.

Più recentemente, viene avviato un gruppo di discussione su Facebook, Slow Medicine Italia, che oggi conta oltre 2700 iscritti e da cui emerge un flusso costante di riflessioni, idee, ipotesi, proposte. Nel 2013 esce il libro-manifesto di Slow Medicine, frutto di pensieri, contributi e riflessioni dei fondatori7. Viene consolidata, inoltre, la collaborazione con Slow Food di cui alcuni di noi, insieme a Carlo Petrini, sono stati fondatori e con cui condividiamo il rispetto per la natura e l’ambiente, il valore delle diversità, il senso di giustizia, la lotta agli sprechi e al consumismo. Con Slow Food Italia viene sottoscritto un protocollo d’intesa per lo sviluppo di iniziative comuni in campo alimentare, per la promozione della biodiversità e il rispetto dell’ambiente. Vengono aperti nuovi rapporti internazionali con il movimento americano di Slow Medicine e con Choosing Wisely8.

Una crisi di valori e di metodi

Perché tante persone si identificano con le idee di Slow Medicine? Dopotutto, negli ultimi decenni la medicina ha raggiunto obiettivi meravigliosi e ha conseguito straordinari successi. La vita media si è allungata, le malattie infettive sono quasi scomparse, i trapianti, la protesica, le nuove tecniche chirurgiche e anestesiologiche ci salvano e allungano la vita, la diagnostica per immagini e la biologia molecolare ci consentono di indagare il corpo nei più fini dettagli. Perché lamentarci?

Se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci rendiamo conto che la medicina si trova a un importante punto di svolta. Il sistema delle cure sta attraversando una crisi profonda e non solo, come vorrebbero farci credere, di natura economica. È soprattutto una crisi d’idee, di valori e di metodi. Sempre più persone si rendono conto che i problemi della salute non sono più governabili sulla base delle concezioni culturali, scientifiche e metodologiche tradizionali da cui sempre più spesso si allontanano per abbandonarsi ad altre medicine. Servono allora nuove mappe concettuali e un vero e proprio salto di paradigma. Vediamo meglio di cosa si tratta.

I veleni della fast medicine

Interessi economici e di mercato

Basta guardarci intorno con occhio disincantato per capire che la medicina è intrisa di prestazioni inappropriate, sprechi, conflitti d’interesse e frodi che nascono dall’interazione economico-finanziaria tra chi prescrive, chi acquista le tecnologie sanitarie e l’industria che le produce e commercializza. Il fenomeno permea anche l’intero ambito della ricerca e dell’editoria, tanto che Marcia Angell, in un editoriale pubblicato su JAMA osserva che i medici non potranno più a lungo fidarsi della letteratura medica per disporre di valide informazioni scientifiche9.

Nella maggior parte dei casi, gli interessi commerciali si insinuano in modo subdolo nelle nostre decisioni, anche perché non siamo inclini a considerare la medicina come un business. Così, veicolati da luoghi comuni, espressione della cultura efficientista del fare di più, si diffondono attraenti consigli che tendono a delegare alla tecnologia la soluzione dei problemi di salute. Slow Medicine ha riassunto questi luoghi comuni nei sette veleni della fast medicine (tabella 1), per ciascuno dei quali abbiamo riportato un esempio.




• Nuovo è meglio. La chirurgia assistita con il robot costa parecchio di più e in molti casi è associata a un aumento delle complicanze, il suo impiego andrebbe pertanto ricondotto tra le sperimentazioni e i pazienti dovrebbero essere informati dei rischi a cui sono sottoposti10. Invece, nonostante le difficoltà economiche, molti ospedali, per malintese ragioni di prestigio e con l’importante complicità dei media, si vantano di poter garantire ai propri assistiti l’ultimo ritrovato della tecnologia.

• Tutte le procedure utilizzate nella pratica clinica sono efficaci e sicure. La maggior parte delle persone pensa che la medicina sia una scienza esatta e che tutto ciò che viene prescritto sia scientificamente dimostrato: purtroppo, non è sempre così. Più del 50% delle procedure utilizzate nella pratica clinica non si basa su prove scientifiche e il 3% è addirittura dannoso11. Non sarebbe male se i medici adeguassero la loro attività a ciò che è scientificamente provato, almeno quando tali “certezze” sono disponibili.

• L’uso di tecnologie sempre più sofisticate risolverà ogni problema di salute. I servizi sanitari spiegano solo il 10% della mortalità prevenibile. Il restante 90% è associato a stili di vita, a fattori ambientali, sociali e culturali e alla predisposizione genetica12. Eppure, solo una minima parte delle risorse assegnate alla ricerca è indirizzata verso lo studio delle componenti sociologiche e comportamentali della salute13.

• Fare di più aiuta a guarire e migliora la qualità della vita. Gli straordinari progressi ottenuti nella diagnostica ci consentono di rilevare piccole anomalie di cui non avremmo mai avuto sentore (incidentalomi). Per esempio, quasi il 90% delle persone asintomatiche di età superiore a 60 anni che esegue una risonanza del ginocchio mostra di avere almeno un’anomalia14. Il problema è che dopo averla trovata, il paziente sarà quasi sicuramente sottoposto a qualche forma di trattamento (del tutto inutile), anzi sarà lui stesso a pretenderlo!

• Scoprire una “malattia” prima che si manifesti attraverso i sintomi è sempre utile. È provato che i check-up (test di laboratorio, esami ecografici e radiologici eseguiti a persone asintomatiche) non riducono né la mortalità, né la morbosità ed espongono, viceversa, a seri effetti dannosi15. Ciononostante continuano a essere ampiamente prescritti, spesso per assecondare le insistenti richieste dei pazienti. Basta aprire Google e digitare check-up per rendersi conto del business straordinario che si cela sotto questa fiorente attività. Una trappola, spesso senza ritorno, da cui bisognerebbe tenersi bene alla larga, ma alla quale è praticamente impossibile sottrarsi.

• I potenziali “fattori di rischio” devono essere trattati con i farmaci. Negli ultimi anni c’è stata una progressiva tendenza ad abbassare le soglie di normalità di molti parametri biologici (pressione arteriosa, lipidi, colesterolo, glicemia, vitamina D, densità ossea), per poi ricondurli entro la norma mediante l’uso di farmaci. Una recente Cochrane rewiew ha concluso che trattare l’ipertensione arteriosa <160/100 mmHg non ha effetti significativi sulla morbosità e sulla mortalità di soggetti a basso rischio16. Ciononostante milioni di persone con valori pressori sistolici compresi tra 140 e 159 continuano a essere trattati inutilmente con farmaci che li espongono a effetti indesiderati anche gravi.

• Per controllare meglio le emozioni e gli stati d’animo è utile affidarsi alle cure mediche. È in atto un’estesa e progressiva medicalizzazione che comprende le decisioni relative agli eventi più significativi della vita. Così molte delle decisioni che riguardano la nascita, il sesso, le emozioni, la vecchiaia e la morte sono delegate alla medicina e per qualcuno sono diventate addirittura un ottimo “affare”. La nuova edizione del manuale per la classificazione dei disturbi mentali (DSM-5) ha destato molto allarme tra gli stessi psichiatri per il possibile massiccio incremento delle diagnosi, dato che comuni disturbi somatici sono stati classificati come malattie mentali e conseguentemente trattabili con farmaci psicoattivi17.

Sovradiagnosi e sovratrattamenti

Come abbiamo visto, ampi settori della medicina sono fortemente contaminati da varie forme di consumismo sanitario che tendono a trasformare persone soggettivamente sane in pazienti bisognosi di cure. I check-up, gli screening, la riduzione delle soglie di normalità, l’invenzione di nuove malattie sono tutti modi ingegnosi per perseguire questo obiettivo. Oggi vi sono, però, solide prove che questi interventi danneggino le persone in buona salute, soprattutto a causa del fenomeno della sovradiagnosi, che consiste nell’individuare e conseguentemente trattare anomalie che non avrebbero causato alcun disturbo. Ciò può avere serie ricadute negative sulla salute a causa degli effetti dannosi dovuti ai farmaci, agli interventi chirurgici e alla radioterapia a cui tali persone sono inutilmente sottoposte. Per esempio, nelle popolazioni dove sono attivi gli screening per il cancro della prostata e della tiroide si è registrato un forte aumento del numero delle diagnosi e dei trattamenti rispetto alle popolazioni dove lo screening non è stato attivato, ancorché i tassi di mortalità siano rimasti pressoché immutati in entrambe le popolazioni18. Gli interventi di diagnosi precoce devono essere, quindi, valutati con molta attenzione, perché le percentuali di sovradiagnosi di tumore, evidenziate nel corso degli screening, sono particolarmente preoccupanti: 20-30% dei tumori al seno identificati con la mammografia19, 50-60% dei tumori della prostata identificati con il test del PSA20, 80-90% dei tumori della tiroide identificati con l’ecografia21.

La medicina diventa slow

Dai dettagli all’insieme: riallineare scienza e umanesimo

Il pensiero scientifico classico è basato sul paradigma riduzionista secondo il quale la spiegazione dei fenomeni che osserviamo è racchiusa nelle proprietà degli elementi di cui sono costituiti e dai rapporti lineari di causa-effetto attraverso cui sono collegati. Questo metodo, che ha conseguito straordinari risultati in ogni ambito della conoscenza, ci ha illuso che avremmo potuto risolvere qualsiasi problema.

In campo biomedico ciò significa che l’uomo può essere “ridotto” a un insieme di molecole e che le malattie sono l’espressione di qualcosa che non funziona a livello biochimico. In ossequio a tali principi, l’interesse della ricerca si è concentrato sui meccanismi fisiopatologici delle malattie, sulla biologia molecolare, sull’applicazione di tecniche diagnostiche e sul controllo dei sintomi, come se l’uomo fosse una macchina da revisionare e aggiustare. Sul piano della cura, i singoli organi sono presi in carico da un numero crescente di specialisti, ognuno dei quali concentra l’interesse su parti del corpo sempre più piccole. In questo modo i saperi si parcellizzano e conseguentemente i processi di cura si frammentano in una miriade di atti e di procedure a cui nessuno sembra più in grado di dare un senso. Per esempio, una paziente di ottant’anni con osteoporosi, artrosi, diabete di tipo II, BPCO e ipertensione dovrebbe assumere 12 farmaci, in 19 somministrazioni giornaliere e attenersi a decine di raccomandazioni alimentari e comportamentali, alcune delle quali in contraddizione l’una con l’altra22, ma raramente qualcuno si preoccupa di ricostruire un nuovo equilibrio tra il suo “stato metabolico”, la persona e l’ambiente familiare e sociale in cui è inserita.

L’approccio sistemico, al contrario, ci insegna che alcuni fenomeni non possono essere spiegati semplicemente studiando a fondo gli elementi costitutivi perché, a causa della loro interazione, a un livello gerarchico superiore possono emergere proprietà completamente diverse. Così, la vita di una persona è più della somma delle migliaia di reazioni chimiche che si producono in ogni istante nelle sue cellule. A diversi livelli di complessità compaiono, infatti, proprietà nuove e inaspettate, cosiddette emergenti, quali ad esempio: il pensiero, le emozioni, i piaceri, la salute. Tali proprietà non sono individuabili nei singoli elementi e per essere studiate non si può ricorrere agli strumenti scientifici classici, bisogna avvalersi di altri metodi di analisi e acquisire competenze e conoscenze in altri domini del sapere, quali per esempio le scienze umanistiche (filosofia, antropologia, psicologia, pedagogia, etica, arte, ecc.).

A grandi linee si potrebbe dire che il metodo riduzionista vede solo il funzionamento di singole molecole mentre l’approccio sistemico osserva le proprietà che scaturiscono dalle loro interazioni23 (tabella 2). L’impiego del primo non esclude però l’utilizzo del secondo, perché gli aspetti scientifici e tecnici s’intrecciano con le inclinazioni, i desideri, i valori e le preferenze della persona in un crogiolo di azioni e reazioni dentro cui non è facile orientarsi, ma di cui bisogna avere almeno consapevolezza. Paziente, medico e contesto rappresentano spesso un tutt’uno inseparabile che bisogna saper riconoscere e salvaguardare attraverso la pluralità dei linguaggi e la comunione dei saperi fra scienze biologiche, umanistiche e sociali. Per affrontare i fenomeni complessi, ci ricorda Edgar Morin, non basta contrapporre frammenti di saperi, occorre trovare un modo per farli interagire all’interno di una nuova prospettiva24.




Medico e paziente: una relazione a due

L’approccio riduzionista ha portato grandi contributi alla medicina, ma paradossalmente ha alimentato l’ignoranza su altri ambiti non meno importanti per la salute delle persone, quali, per esempio, gli aspetti relazionali e di comunicazione.

È ormai chiaro che per curare le persone bisogna avvalersi di ciò che è scientifico (riconducibile alle conoscenze cosiddette “evidence-based”), ma si deve tenere conto anche del lato umanistico, quello che ha a che fare con i sentimenti, gli stati d’animo, le emozioni, le aspettative. Il medico deve mettere in campo la propria competenza per formulare una diagnosi, indicare una prognosi, proporre le possibili scelte terapeutiche, ma deve anche acquisire specifiche competenze sul piano della comunicazione e della relazione in modo da prendere in considerazione anche l’attitudine al rischio, i valori, le paure, le aspettative e le circostanze sociali del paziente e delle persone a lui vicine. È solo dall’incontro di questi due mondi fatti di conoscenze, di saperi e di sentimenti che si attiva e consolida il processo di cura: in questo senso l’attenzione alla medicina narrativa, che Slow Medicine mette alla base dell’incontro con il paziente, assume un significato fondamentale.

Empatia, rispetto, aspettativa di un beneficio, speranza di guarire, svolgono un ruolo cruciale nella cura e agiscono in modo indipendente dal principio attivo che viene somministrato. Le neuroscienze hanno scoperto, peraltro, che il rituale e la relazione interpersonale che accompagnano l’atto medico mettono in moto una catena di effetti biologici che si associano a quelli indotti dalla malattia e dai trattamenti e che possono influenzare in modo positivo o negativo gli esiti delle cure25.

Riconoscere i limiti della scienza

Poiché la medicina è annoverata tra le scienze esatte, molti professionisti hanno imparato che nella pratica clinica conta solo ciò che è acquisito attraverso gli studi scientifici. Così, tutto ciò che non è scientifico è solo il frutto di opinioni e di credulità.

Che la pratica medica debba attenersi alle migliori conoscenze scientifiche è fuori discussione, ma occorre anche rassegnarsi al fatto che molti aspetti della cura non sono indagabili con il metodo scientifico e che, nonostante gli straordinari progressi, gran parte di ciò che riguarda le malattie e la loro cura resta tuttora ignoto. La gente, invece, è portata a credere che la medicina non abbia limiti e che vi sia sempre una soluzione a tutti i problemi. L’assenza di risposte o la mancata guarigione sono considerate quindi l’effetto dell’incompetenza del professionista e innescano rivendicazioni di natura medico-legale, soprattutto quando tra professionista e paziente non si è instaurato un rapporto schietto di reciproca fiducia.

Gestire l’incertezza e la non conoscenza

Di fronte ai problemi per i quali la medicina non ha risposte scientifiche, il medico” scienziato” si trova, quindi, completamente disarmato e costretto a ricorrere all’unico strumento che gli hanno insegnato a usare: prescrivere esami, visite specialistiche e farmaci, anche quando sono palesemente inutili. Oltretutto, la sua cultura scientifica, apparentemente ineccepibile, gli impedisce di utilizzare un potente strumento di sollievo e di guarigione: l’effetto placebo, di cui non abbiamo ancora spiegazioni “scientifiche”, ma che è in grado di risvegliare le straordinarie capacità di difesa e di guarigione presenti in ciascuno di noi. Non per nulla oltre la metà della popolazione approda alle medicine alternative. I loro cultori, infatti, più o meno in buona fede, hanno capito che è utile gestire anche ciò che non conoscono e che, comunque, vale sempre la pena di ascoltare le persone e dare loro conforto e speranza.

Il progetto “Fare di più non significa fare meglio”

Sul piano operativo, nel dicembre del 2012, Slow Medicine ha promosso il progetto “Fare di più non significa fare meglio”26, in analogia a quanto avviato negli USA con “Choosing Wisely”27. Il progetto si propone di migliorare l’appropriatezza clinica, riducendo il sovrautilizzo di esami e trattamenti attraverso un’assunzione di responsabilità dei professionisti sanitari. Come primo passo è previsto che le società scientifiche che hanno aderito al progetto indichino cinque esami diagnostici o trattamenti di comune riscontro nella pratica clinica in Italia che spesso non danno benefici ai pazienti, ma anzi li espongono a inutili rischi. Tali pratiche dovranno essere oggetto d’informazione e di dialogo tra professionisti e pazienti.

Verso una nuova alleanza

Si tratta di una bella scommessa, perché in medicina il concetto secondo cui “fare di più non significa fare meglio” non è assolutamente scontato e va in direzione opposta alla cultura prevalente. Per un medico e per l’organizzazione in cui lavora, infatti, fare di più significa spesso guadagnare di più, accontentare il paziente ed essere meno esposto a contenziosi medico-legali. In questo clima, dire di no al paziente che chiede una TAC per la lombalgia, gli antibiotici per il raffreddore o un check-up per stare tranquillo può essere molto saggio, ma difficilmente praticabile. Da solo nessuno ce la può fare: ecco perché è necessaria una forte alleanza tra professionisti, pazienti e cittadini.

Il progetto avanza anche in ambito internazionale

Nonostante questi problemi, il progetto di Slow Medicine ha ricevuto il sostegno di FNOMCeO, IPASVI, Altroconsumo, Slow Food, di alcune associazioni di cittadini e pazienti e l’adesione, a oggi, di 30 società scientifiche nazionali, 10 delle quali hanno già pubblicato la lista delle 5 procedure a rischio d’inappropriatezza (tabella 3). Sei schede per i pazienti sono state, inoltre, pubblicate da Altroconsumo e altre sono in corso di pubblicazione28.

Anche alcuni ospedali si stanno muovendo in tal senso, a cominciare da quello di Cuneo, che ha già elaborato le liste relative alle varie discipline specialistiche29, e quello di Messina, che sta per avviare un progetto biennale approvato dalla Regione Sicilia. A Torino, in collaborazione con la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG), è in corso una prima sperimentazione per valutarne l’impatto sulla pratica clinica. La sperimentazione, denominata “Scegliamo con cura”, prevede un’intensa attività d’informazione e di coinvolgimento della popolazione sui temi dell’appropriatezza e delle scelte consapevoli.




Il progetto “Fare di più non significa fare meglio” è ufficialmente parte del movimento Choosing Wisely International che si è costituito, nel giugno 2014, nel corso dell’International Roundtable on Choosing Wisely di Amsterdam, dove erano presenti i rappresentanti di USA, Canada, Olanda, Italia, Gran Bretagna e Galles, Germania, Danimarca, Svizzera, Giappone, Australia e Nuova Zelanda30,31.

La definizione delle pratiche rappresenta, comunque, solo il primo passo. Il progetto si propone altri importanti obiettivi, quali, per esempio: mettere a confronto i diversi professionisti per evitare il rischio di fornire indicazioni divergenti o contraddittorie, migliorare il dialogo tra medici e pazienti e far comprendere ai pazienti e ai cittadini che non sempre fare di più è meglio e che il medico che prescrive più esami non è necessariamente quello più competente32,33.

Bibliografia

1. http://www.slowmedicine.it/Manifesto_ITA.pdf

2. Dolara A. Invito ad una “Slow Medicine”. Ital Heart J Suppl 2002; 3: 100-1.

3. McCullough D. My mother, your mother: embracing “Slow Medicine,” the compassionate approach to caring for your aging loved ones. New York: HarperCollins, 2008.

4. Sweet V. God’s Hotel. New York: Rivershead Books, 2012.

5. Butler K. Knocking on heaven’s door: the path to a better way of death. New York: Scribner Book Company, 2014.

6. Smith R. The case for slow medicine. 17 December 2012. http://blogs.bmj.com/bmj/2012/12/17/richard-smith-the-case-for-slow-medicine

7. Bert G, Gardini A, Quadrino S. Slow Medicine, perché una medicina sobria, rispettosa e giusta è possibile. Segrate, MI: Sperling & Kupfer, 2013.

8. Cassel CK, Guest JA. Choosing wisely: helping physicians and patients make smart decisions about their care. JAMA 2012; 307: 1801-2.

9. Angell M. Industry-sponsored clinical research: a broken system. JAMA 2008; 300: 1069-71.

10. Wright JD, Kostolias A, Ananth CV, et al. Comparative effectiveness of robotically assisted compared with laparoscopic adnexal surgery for benign gynecologic disease. Obstetr Gynecol 2014; 124: 886-96.

11. BMJ Evidence Center: Clinical evidence Handbook 2012.

12. Stephen M. Bridging the divide between health and health care. JAMA 2013; 309: 1121-2.

13. Crow M. Time to rethink the NIH. Nature 2011; 471: 569-71.

14. Guermazi A, Niu J, Hayashi D, et al. Prevalence of abnormalities in knees detected by MRI in adults without knee osteoarthritis: population based observational study (Framingham Osteoarthritis Study). BMJ 2012; 345: e5339.

15. Krogsbøll LT, Jørgensen KJ, Grønhøj Larsen C, Gøtzsche PC. General health checks in adults for reducing morbidity and mortality from disease: Cochrane systematic review and meta-analysis. BMJ 2012; 345: e7191.

16. Diao D, Wright JM, Cundiff DK, Gueyffier F. Pharmacotherapy for mild hypertension. Cochrane Database Syst Rev 2012; 8: CD006742.

17. Frances A. The new somatic symptom disorder in DSM-5 risks mislabeling many people as mentally ill. BMJ 2013; 346: f1580.

18. Moynihan R, Doust J, Henry D. Preventing overdiagnosis: how to stop harming the healthy. BMJ 2012; 344: 19-23.

19. Bleyer A, Welch HG. Effect of three decades of screening mammography on breast-cancer incidence. N Engl J Med 2012; 367: 1998-2005.

20. Welch HG, Black WC. Overdiagnosis in cancer. J Natl Cancer Inst 2010; 102: 605-13.

21. Ahn HS, Kim HJ, Welch HG. Korea’s thyroid-cancer “epidemic”: screening and overdiagnosis. N Engl J Med 2014; 371: 1765-7.

22. Boyd CM, Darer J, Boult C, Fried LP, Boult L, Wu AW. Clinical practice guidelines and quality of care for older patients with multiple comorbid diseases implications for pay for performance. JAMA 2005; 294: 716-24.

23. Luisi PL. Sull’origine della vita e della biodiversità. Milano: Mondadori Education, 2013.

24. Morin E. Intervista rilasciata il 25 aprile 2008 al quotidiano La Repubblica.

25. Benedetti F. Il cervello del paziente. Roma: Giovanni Fioriti Editore, 2012.

26. http://www.slowmedicine.it/fare-di-piu-non-significa-fare-meglio.html

27. http://www.choosingwisely.org/

28. http://www.altroconsumo.it/salute/diritti-del-malato/speciali/esami-inutili

29. Bobbio M, Pirozzi MG. Progetto Choosing Wisely. Considerazioni e implicazioni organizzative. Tecnica Ospedaliera 2014; 10: 66-71.

30. Hurley R. Can doctors reduce harmful medical overuse worldwide? BMJ 2014; 349: g4289.

31. Vernero S, Domenighetti G, Bonaldi A. Italy’s “Doing more does not mean doing better” campaign. BMJ 2014; 349: g4703.

32. Domenighetti G, Vernero S. Looking for waste and inappropriateness: if not now, when? Intern Emerg Med 2014; 9 (Suppl): S1-S7.

33. Levinson W, Kallewaard M, Bhatia RS, Wolfson D, Shortt S, Kerr EA; on behalf of the Choosing Wisely International Working Group. “Choosing Wisely”: a growing international campaign. BMJ Qual Saf 2015; 24: 167-74.