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Gran parte degli editori internazionali ha deciso di inserire nel proprio catalogo degli strumenti utili per applicare con maggiore facilità e prontezza le evidenze della letteratura al paziente individuale. È un’offerta nata per soddisfare una domanda reale o una sorta di sperimentazione che vuole anticipare la possibile richiesta da parte di professionisti smanettoni? Dare risposte sintetiche ai bisogni informativi che sorgono “al letto del paziente” è un’aspirazione diffusa e da tempo i gruppi di lavoro che si richiamano alla evidence-based medicine tengono in tale considerazione i cosiddetti point-of-care-tools da averli posti in cima alla fatidica piramide delle evidenze (cfr. Haynes RB. Of studies, syntheses, synopses, summaries, and systems: the “5S” evolution of information services for evidence-based healthcare decisions. Evid Based Med 2006; 11: 162-4).

Nonostante le diverse risorse siano diventate col tempo più affidabili, il ricorso a questi strumenti non è ancora così diffuso (cfr. per esempio Phua J. How residents and interns utilise and perceive the personal digital assistant and UpToDate. BMC Med Educ 2008; 8: 39; Addison J, et al. How doctors make use of online, point of care clinical decision support systems. Health Info Libr J 2013; 30: 13-22). La semplicità d’uso ha un’importanza fondamentale, al punto che alcuni studi recenti condotti su giovani medici mettono in evidenza come l’alternativa prevalente sia tra l’utilizzo di un collaudato sistema informatizzato e un motore di ricerca generalista come Google (Duran-Nelson A, et al. Should we Google it? Resource use by internal medicine residents for point-of-care clinical decision making. Acad Med 2013; 88: 788-94). Le barriere maggiori, però, sono nella rigidità del sistema percepita dal medico e nella sovrabbondanza delle informazioni fornite.

La testimonianza di un chirurgo ortopedico riportata nel lavoro di Elisa Liberati et al. (pag. 180) punta il dito su un’altra criticità: «Chi controlla il controllore? Io vorrei fidarmi di chi ha messo le evidenze nel sistema, vorrei poter capire come ha fatto e a partire da quali criteri. A oggi non c’è nessuna organizzazione che abbia così tanta autorità da poterlo fare in modo indiscutibile». La presenza di informazioni potenzialmente condizionate è stata considerata da pochissimi studi e i risultati non sono tranquillizzanti (Amber KT, et al. Conflict of interest in online point-of-care clinical support websites. J Med Ethics 2014: 40: 578-80).

Ma la questione centrale è probabilmente in un’altra frase che estrapoliamo dalla ricerca prima citata: «Nella decisione, il medico deve mettere anche la sua esperienza e l’esperienza dell’ospedale». Due verità: in primo luogo, l’esperienza del clinico è parte costitutiva della EBM dal momento che quest’ultima «it’s about integrating individual clinical expertise and the best external evidence” (Sackett DL, et al. Evidence based medicine: what it is and what it isn’t. BMJ 1996; 312: 71-2); secondo, esiste anche una “esperienza dell’ospedale”. Potremmo parlare della “stanza intelligente” di David Weinberger ma, in generale, trascurare l’importanza del contesto è uno degli errori più gravi che possano essere commessi nel momento di prendere decisioni.

Cambiando (apparentemente) argomento, l’ancoraggio ai contesti è un elemento fondante anche del contrasto di illegalità e corruzione al quale è chiamato nel suo insieme il servizio sanitario anche per effetto della legge 190/2012. Abbiamo voluto dedicare un dossier a questo tema perché la salute si promuove sia sostenendo la trasparenza nelle procedure e nei risultati degli interventi sanitari, sia restituendo le risorse sottratte dalla corruzione agli investimenti utili a migliorare la salute dei cittadini. “Correggere” il dolore per una società stravolta dalla criminalità nell’azione feconda di migliaia di operatori onesti è una splendida rivoluzione che l’associazione Libera sta portando avanti nel nostro Paese (www.illuminiamolasalute.it).

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