Appropriatezza della farmacoterapia nel paziente anziano nefropatico

Maria Antonietta Rizzo1, Andrea Stucchi2,
Matthias A. Cassia3, Maurizio Gallieni3,4

Choosing the right medications in elderly patients with chronic kidney disease.

Summary. With the aging of the population, the prevalence of chronic kidney disease (CKD) is increased. Measurement of glomerular filtration rate as a screening tool may over-diagnose CKD, especially when proteinuria is normal, but it can be very useful when considering drug metabolism. Renal dysfunction is a factor predisposing to potential adverse drug reactions, because drug can accumulate to toxic levels. In addition, some drugs are nephrotoxic and can more easily damage the kidneys in the elderly. Limited data are available on the risks of drugs in the elderly population with CKD. Drugs with no clear evidence-based indication, drugs with higher risks of adverse side effects compared to their benefits, and drugs which are not cost-effective, have been defined “potentially inappropriate medications” (PIMs). Even if criteria to evaluate PIMs and adverse drug reactions are available to clinical management, we strongly support the idea that the issue of PIMs in the elderly affected by CKD should be better studied and defined. The Italian website Slow Medicine, based on the US project “Choosing Wisely”, opened a new strategy in this field, taking into consideration both economic issues and patients quality of life. The main goal of this initiative is avoiding wasteful or unnecessary medical tests, treatments and procedures.

In questi ultimi decenni, il medico ospedaliero e il medico di famiglia si sono trovati sempre più coinvolti nella gestione clinica del paziente anziano, spesso fragile e affetto da plurime comorbilità. Quanti di noi medici, nella pratica clinica quotidiana, passando nelle corsie ospedaliere e nelle aree di attesa per le visite ambulatoriali, si sono ritrovati a volgere lo sguardo sui pazienti valutando come l’età avanzata sia protagonista indiscussa: respiri affannosi anche dopo piccoli sforzi, deambulazione resa difficile da vasculopatia e patologia ossea, incontinenza urinaria e lunghe liste di farmaci da assumere. Del resto la popolazione anziana affetta da multiple comorbilità riceve gran parte delle prescrizioni farmacologiche, determinando un importante impatto economico sulla società.

Come comportarsi di fronte all’invecchiamento della popolazione? I medici hanno a disposizione gli strumenti di conoscenza necessari per una gestione clinica ottimale dell’anziano e della patologia geriatrica? Come valutare l’appropriatezza delle terapie farmacologiche nel paziente anziano?

Sia per i medici di medicina generale sia per gli specialisti è fondamentale confrontarsi con la comorbilità geriatrica e acquisire gli strumenti necessari per valutare l’appropriatezza della terapia farmacologica basandosi sui dati disponibili in letteratura scientifica, allo scopo di riconoscere un percorso di gestione clinico-terapeutica che si prefigga come obiettivi la “safety” del paziente e la sua qualità di vita, senza perdere di vista il problema della risorse economiche.

Nel processo decisionale, oltre all’allocazione delle risorse economiche e al prolungamento della vita, occorre considerare la qualità della vita che si può offrire al paziente a seguito del nostro intervento terapeutico. La qualità della vita esprime la percezione soggettiva che un individuo ha della propria salute fisica, di quella psicologica, emotiva, del livello di indipendenza, delle relazioni sociali e della interazione con il proprio contesto ambientale.

Una questione cruciale è come definire un farmaco appropriato. In generale, l’appropriatezza di una terapia farmacologica implica che il potenziale beneficio di un farmaco superi il suo rischio, ma il rapporto rischio/beneficio può variare secondo la tipologia del paziente.

Idealmente, la definizione di criteri di appropriatezza di un trattamento esige revisioni sistematiche dei trial clinici e un consenso multidisciplinare per lo sviluppo di linee-guida e raccomandazioni basate sulle prove scientifiche. Tuttavia, nella pratica clinica molti trattamenti continuano a essere prescritti per abitudine, per soddisfare le richieste dei pazienti, per evitare problemi medico legali, per dimostrare al paziente di aver fatto tutto il possibile: nel 30% dei casi, inoltre, tali terapie non apportano nessun beneficio ai pazienti e di conseguenza si rivelano uno spreco per l’economia sanitaria1.

I continui progressi della medicina nel campo delle vasculopatie e dei danni multiorgano hanno comportato un aumento della sopravvivenza a eventi cardiovascolari e un prolungamento della vita media, associandosi a un aumento di prevalenza di diverse patologie croniche, tra cui la malattia renale cronica (chronic kidney disease - CKD). L’aumento dell’età media della popolazione ha portato a un incremento della frequenza di CKD, a causa di un fisiologico declino della funzione renale con una riduzione del filtrato glomerulare stimato di circa 10 ml/min ogni 10 anni dopo i 40 anni2.




La prevalenza della CKD è aumentata negli ultimi anni, raggiungendo il 35% nella popolazione con più di 65 anni di età3 e il 40% nella popolazione con più di 70 anni di età4. Il fisiologico declino della funzione renale legato all’età risulta poi accelerato da patologie di frequente riscontro, come ipertensione arteriosa e diabete. Un appropriato approccio terapeutico alla patologia ipertensiva e alla cardiopatia risulta essenziale. Nei pazienti che sono anche affetti da CKD va inoltre considerato che l’utilizzo di farmaci nefro-protettivi, quali gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, appare utile nel rallentare il declino della funzione renale nel contesto di un quadro di nefropatia glomerulare primitiva e secondaria, in particolare quando è presente proteinuria significativa. Peraltro, è stato recentemente segnalato un basso rischio di peggioramento della funzione renale nella popolazione anziana trattata con farmaci cardiovascolari, che quindi non dovrebbero essere limitati nel loro utilizzo5.

Considerando l’invecchiamento come un predittore di morbilità e mortalità, la popolazione anziana appare ad alto rischio di ospedalizzazione e perdita di autonomia nella vita quotidiana, soprattutto in presenza di comorbilità invalidanti. La maggior parte della spesa farmaceutica è impiegata per la cura del paziente anziano, con un forte impatto economico sulla società. Negli USA gli anziani, che rappresentano il 15% della popolazione totale, sono i destinatari del 30% delle prescrizioni farmacologiche6. Inoltre, il 91% dei pazienti anziani viene trattato con almeno un farmaco e più del 50% con 5 o più farmaci in associazione7.

Uno screening di base atto a valutare la presenza di CKD appare di primaria importanza nella gestione del paziente anziano, sia come approccio di prevenzione sia come approccio prognostico, considerando che il deficit di funzione renale rappresenta non solo una causa potenziale di eventi avversi da farmaci, ma anche un predittore di mortalità da tutte le cause e cardiovascolare8. Tuttavia, il dosaggio della creatinina sierica non può essere considerato da solo un indicatore esaustivo della funzione renale. Per valutare la presenza di CKD e la sua gravità, è necessario considerare il filtrato glomerulare misurandolo o stimandolo (estimated glomerular filtration rate - eGFR), con formule quali quella sviluppata dalla CKD-Epidemiology Collaboration (CKD-EPI)9. Occorre considerare che un filtrato glomerulare <50 ml/min richiede generalmente un adeguamento della posologia dei farmaci.

L’impiego di formule automatizzate per il calcolo del filtrato glomerulare consente di identificare soggetti a rischio di insufficienza renale negli ambulatori di medicina generale10. A tale strategia appare utile associare anche la ricerca di un’eventuale proteinuria, il controllo dei valori pressori arteriosi e la gestione delle complicanze della CKD, allo scopo di rallentare l’evoluzione verso la dialisi.

La presenza di CKD è fattore di rischio per eventi avversi da farmaci: essi possono essere causati da una riduzione di metabolismo ed eliminazione renale del farmaco stesso. Recentemente, commentando un articolo sulla prescrizione di farmaci potenzialmente inappropriati a pazienti dializzati11, abbiamo espresso alcune motivazioni per le quali il paziente anziano nefropatico possa presentare un alto rischio di tossicità da farmaci12. Tra questi ricordiamo la riduzione della volemia effettiva, la malnutrizione con ridotti livelli di albumina sierica che aumenta la frazione libera del farmaco, la mancata attenzione da parte del caregiver, la scarsa disponibilità di studi clinici randomizzati e, non da ultimo, le interazioni tra farmaci. Infine, la farmaco-tossicità espone il paziente anziano all’ospedalizzazione con una prevalenza stimata del 5-17%. Il rischio di sviluppare un evento avverso è stimato del 20%, con un rischio di ospedalizzazione del 10,7% per i pazienti anziani, rispetto a una percentuale del 5,3% nella popolazione generale13.

I principali farmaci con alto rischio di eventi avversi nell’anziano appartengono a diverse categorie farmacologiche: anticoagulanti, farmaci cardiovascolari (inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, diuretici), analgesici (antinfiammatori non steroidei e oppioidi), farmaci steroidei, ipoglicemizzanti. La duplice o triplice terapia di associazione con farmaci anti-infiammatori non steroidei, inibitori del sistema renina-angiotensina e/o terapia diuretica espone a un più alto rischio di danno renale14. In un trial randomizzato controllato, è stato dimostrato che programmi di formazione per i medici di medicina generale e l’utilizzo di programmi per stimare il filtrato glomerulare siano in grado di ridurre l’errore di prescrizione negli ambulatori di primo livello15.

Le reazioni avverse possono essere evitate mediante differenti strategie, come la riduzione della dose, l’aumento dell’intervallo tra le dosi, o la prescrizione di un farmaco alternativo. Infine, un monitoraggio attento della funzione renale è raccomandato qualora risulti strettamente necessario l’impiego di un farmaco nefrotossico.

La prescrizione di farmaci potenzialmente inappropriati (potentially inappropriate medications o PIM) è oggi un problema emergente. I farmaci con un rischio elevato di eventi avversi che superi il loro reale beneficio, con scarsa indicazione secondo la “evidence-based medicine”, sono da considerarsi PIM. È stata segnalata una prevalenza di PIM del 13%, includendo anche la prescrizione di farmaci in fase di acuzie clinica; farmaci anti-ipertensivi e antibiotici costituirebbero i principali PIM16.

La letteratura scientifica ci offre la possibilità di attingere a diversi criteri di appropriatezza. Per esempio, in Europa, sono stati sviluppati i criteri STOPP (Screening Tool of Older People’s potentially inappropriate Prescriptions)17 e i criteri START (Screening Tool to Alert doctors to the Right Treatment)18, che hanno affiancato i criteri Beers19. Rispetto ai criteri Beers, essi appaiono clinicamente più esaustivi in quanto in grado di indirizzare non solo sulle principali categorie di PIM, ma anche sull’omissione di prescrizioni necessarie.

Tuttavia, è stato sviluppato in questi ultimi anni un approccio più innovativo, basato su un rapporto di dialogo e collaborazione tra medico e paziente. L’iniziativa è stata intrapresa negli USA e denominata Choosing Wisely (sito web: http://www.choosingwisely.org/) e mira a contrastare l’idea che la salute si possa assicurare con un sempre crescente numero di farmaci. Ogni intervento terapeutico comporta dei rischi e in particolare per quelli inappropriati il rapporto rischio-beneficio è sfavorevole. Essere consapevoli di tali rischi, anche contrastando la richiesta di farmaci da parte dei pazienti, è un obiettivo basilare di tale strategia, che appare di rilevante utilità in una società con problemi emergenti di ristrettezze economiche e invecchiamento della popolazione.

Nel 2010 è stato proposto a ogni società scientifica specialistica di creare una “Top Five List”, una lista di cinque test diagnostici o trattamenti che fossero prescritti molto comunemente, fossero tra i più costosi, esponessero i pazienti a rischi e che, secondo prove scientifiche di efficacia, non apportassero benefici significativi20. La Top Five List della nefrologia21 è riassunta nella tabella 1.




In linea con questa iniziativa, nel dicembre 2012 Slow Medicine (http://www.slowmedicine.it/) ha proposto in Italia il progetto “Fare di più non significa fare meglio” nella convinzione che, come avvenuto negli Stati Uniti per il progetto Choosing Wisely, la spinta all’utilizzo appropriato delle risorse disponibili implichi un’assunzione di responsabilità da parte dei medici in alleanza con i pazienti. Occorre che i cittadini siano consapevoli che non sempre il medico che prescrive più terapie è il medico più competente; nelle organizzazioni sanitarie dovrebbero essere premiate la qualità e l’appropriatezza delle prescrizioni, senza dover rinunciare ai farmaci innovativi, con l’obiettivo primario di promuovere sempre la qualità di vita del paziente.




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