L’efficacia e la sicurezza dei farmaci antivascolari dopo gli anti-EGFR:
aflibercept dopo cetuximab in un caso clinico

Francesca Aroldi1, Alberto Zaniboni1

Riassunto. Riportiamo il caso di un uomo, affetto da metastasi linfonodali ed epatiche (asportate) di adenocarcinoma del colon operato, sottoposto a una prima linea di terapia con FOLFOX-cetuximab. Alla progressione linfonodale viene iniziato un trattamento secondo lo schema FOLFIRI-aflibercept, riportando una iniziale risposta parziale e una successiva lunga stabilità di malattia.

Parole chiave. Aflibercept, farmaci antivascolari, cetuximab.

Efficacy and safety of antivascular drugs after anti-EFGR: aflibercept after cetuximab, a clinical case.

Summary. We describe a case of a man affected by colon adenocarcinoma with metachronous nodes and liver metastases (resected), exposed to first line therapy with FOLFOX-cetuximab. After disease progression, a second line based on FOLFIRI-aflibercept was started achieving an initial partial response followed by a long-lasting disease stability with a good tolerability.

Key words. Aflibercept, anti-vascular therapy, cetuximab.

Introduzione

Il cancro del colon-retto (CRC) rappresenta circa il 10% di tutti i tumori nell’uomo, la seconda causa di morte per tumore nei Paesi occidentali e la terza neoplasia più frequente1. Dal 1990 a oggi, grazie a una diagnosi più precoce supportata dai programmi di screening e ai progressi in campo terapeutico, si è registrata una riduzione della mortalità pari a circa il 35%2. Tuttavia, nel gruppo di pazienti affetti da malattia metastatica la sopravvivenza a 5 anni è ancora molto bassa; circa un quarto dei pazienti è metastatico già alla diagnosi, mentre circa la metà di essi lo diverrà successivamente2.

In questo scenario la scelta della sequenza terapeutica da utilizzare è cruciale dal momento che, è ormai un dato consolidato, un aumento della sopravvivenza si correla all’esposizione del paziente a tutti i farmaci disponibili.

In questo lavoro presentiamo il caso di un uomo affetto da metastasi epatiche e linfonodali di adenocarcinoma del colon destro operato, K-RAS wild type (WT), che ha riportato una risposta buona e di lunga durata a un trattamento di seconda linea con FOLFIRI-aflibercept, senza tossicità importanti.

Caso clinico

Un uomo di 60 anni, in ottime condizioni generali (ECOG Performance Status 0), in assenza di comorbilità e familiarità per patologie neoplastiche, si recava, nel febbraio 2012, in pronto soccorso, per la comparsa di addominalgie diffuse. Riscontrato un quadro clinico-radiologico di occlusione intestinale, veniva prontamente eseguito un intervento di emicolectomia destra con linfoadenectomia e gastrectomia parziale; l’esame istologico documentava un adenocarcinoma del colon, moderatamente differenziato, pT4N2 5/18.

A causa del rifiuto del paziente di sottoporsi a una chemioterapia con intento adiuvante, veniva intrapreso un percorso di stretto follow-up; nell’ambito del quale, a giugno dello stesso anno, una TAC addome evidenziava la presenza di due metastasi epatiche a livello del quinto, una a livello del sesto e altrettante a livello del settimo segmento (diam. max 20 mm). Richiesta la valutazione dello stato mutazionale di RAS e BRAF, il paziente, risultato wild type (WT), veniva sottoposto a una terapia di prima linea secondo schema mFOLFOX6 più cetuximab, di cui erano stati completati 4 cicli con risposta epatica parziale.

Pertanto, nel settembre 2012, veniva effettuato intervento di resezione del sesto e settimo segmento epatico e metastasectomia delle lesioni sul quinto; il decorso post-operatorio era stato regolare. Il paziente aveva quindi proseguito la chemioterapia con lo stesso schema per altri 4 cicli con successivo depotenziamento, fino al marzo 2013, quando la TAC torace-addome-pelvi di rivalutazione documentava la comparsa di metastasi linfonodali ascellari, sovraclaverari, laterocervicali sinistre e interaortocavali (figura 1).

All’esame obiettivo erano palpabili adenopatie di consistenza duro-lignea, fisse sui piani superficiali e profondi in sede sovraclaveare sinistra (la maggiore di 2 cm) e in sede ascellare omolaterale di circa 3 cm. Il CEA era 5 ng/ml, il Ca19.9 51 U/ml, gli esami ematochimici non documentavano alterazioni di rilievo.

Il paziente veniva, quindi, inserito nell’ambito dello studio clinico “A Multicenter, Single Arm, Open Label Clinical Trial to Evaluate the Safety and Health-related Quality of Life of Aflibercept in Patients with mCRC Previously Treated with Oxaliplatin Containing Regimen (ASQoP/AFEQT program)”, per cui a partire da aprile 2013 veniva somministrato un trattamento di seconda linea secondo schema FOLFIRI-aflibercept (irinotecano 180 mg/m2, 5 fluorouracile 400 mg/m2 in bolo, 5 fluorouracile 2400 mg/m2 in infusione continua per 48 ore, acido folinico 200 mg/m2, aflibercept 4 mg/kg). La rivalutazione strumentale dopo 7 cicli documentava una risposta parziale al trattamento (figura 2), quindi, anche in considerazione della buona tolleranza, la terapia era stata proseguita fino al quattordicesimo ciclo.




A novembre 2013 la malattia si manteneva stabile, con comparsa di un’iniziale tossicità gastroenterica dovuta al FOLFIRI, per cui, in accordo con il desiderio del paziente, era stata interrotta la chemioterapia ed era stato somministrato il solo antivascolare fino ad agosto 2014, per un totale complessivo di 32 cicli. Il trattamento era stato complessivamente ben tollerato, eccezion fatta per un episodio di ipertensione di grado G3, verificatosi dopo 3 cicli, regredito a grado 1 con il rinvio della somministrazione e l’inizio di una terapia con ACE inibitori e calcio-antagonisti, mucosite G2 comparsa al nono ciclo, anch’essa regredita con il rinvio della somministrazione, diarrea G1 dopo 14 somministrazioni risoltasi con la sospensione della chemioterapia e astenia G1 comparsa a partire dal quinto ciclo e protrattasi per tutta la durata del trattamento.

La TAC di rivalutazione di settembre 2014 evidenziava una progressione linfonodale di malattia per cui, viste le ottime condizioni generali, era stata iniziata una terapia di terza linea secondo lo schema XELOX.

Discussione

Fino a venti anni fa l’unico agente efficace nel trattamento del CRC avanzato era il 5-fluorouracile (5-FU). Successivamente, l’armamentario dei farmaci a disposizione dell’oncologo si è arricchito con l’irinotecano (1996), la capecitabina (1998), l’oxaliplatino (2002), il bevacizumab (2004), il cetuximab (2004) e il panitumumab (2006). L’introduzione di questi farmaci ha determinato un incremento della sopravvivenza globale, passando dai 11-13 mesi con il solo 5 FU, ai 18-21 mesi con questi agenti biologici. Il cetuximab e il panitumumab, investigati negli studi CRYSTAL3, OPUS4 e PRIME5, hanno dimostrato un’efficacia solo nei pazienti WT, riportando un aumento statisticamente significativo sia del response rate sia della progression-free survival (PFS) con l’aggiunta degli anticorpi monoclonali anti-EGFR alla chemioterapia tradizionale. Pertanto il loro utilizzo è divenuto il trattamento di prima scelta in questo sottogruppo di pazienti, nonostante ne rimanga possibile la somministrazione nelle linee successive (studio EPIC6, BOND17, 1818, NCIC-0179).

I pazienti WT hanno quindi più alternative terapeutiche, anche se una risposta al trattamento non è comunque scontata; negli ultimi tempi sono state infatti identificate altre mutazioni possibili: BRAF, PTEN, MET riducendo sempre di più il numero dei pazienti realmente responsivi a un trattamento anti-EGFR10.

Da una maggiore conoscenza della patologia sembra emergere che il tumore del colon sia suddivisibile in almeno due entità: la forma con mutazione di RAS e BRAF, una malattia aggressiva, con decorso infausto nel medio-breve tempo, ridotte chance terapeutiche e scarsa risposta ai trattamenti, e la forma WT, con più possibilità terapeutiche e maggiori probabilità di risposta11. Fino a qualche tempo fa l’unico antivascolare utilizzabile in seconda linea era il bevacizumab, un anticorpo monoclonale diretto contro il VEGF-A (vascular endothelial growth factor-a), impedendone il legame con i recettori (VEGFR) e la conseguente attivazione della cascata di trasduzione intracellulare del segnale.

A partire da giugno 2013, nell’ambito della seconda linea di trattamento, si inserisce l’aflibercept, una proteina di fusione composta dal dominio extracellulare del VEGFR 1-2 e dalla porzione Fc della immunoglobulina G; tale farmaco ha dimostrato di inibire la vascolarizzazione legando VEGF-A, VEGF-B e PIGF.

Lo studio VELOUR, un trial di fase 3 randomizzato, doppio cieco, che investigava l’efficacia dell’aggiunta dell’aflibercept al FOLFIRI rispetto alla sola chemioterapia nei pazienti pretrattati con FOLFOX, ha riportato una superiorità, statisticamente significativa, in termini di PFS (6,9 vs 4,6 mesi) e overall survival (OS) (13,5 vs 12 mesi) del braccio sperimentale rispetto al controllo, indipendentemente dallo stato mutazionale di RAS12. Questo farmaco si è dimostrato efficace anche nei pazienti pretrattati con bevacizumab, diventando, quindi, una delle poche possibilità terapeutiche dei pazienti mutati e un’ulteriore opzione nei pazienti WT. Il farmaco è caratterizzato, inoltre, da una buona tollerabilità e maneggevolezza, riportando, nello studio registrativo, un tasso di eventi avversi quasi sovrapponibile al braccio di controllo (99,2% e 97,9%) con un incremento degli eventi di grado 3 e 4 tipici degli antivascolari: ipertensione (19,1% vs 1,5%), emorragie (2,9% vs 1,7%), eventi trombo-embolici arteriosi (1,8% vs 0,5%) e venosi (7,9% vs 6,3%) e proteinuria (7,9% vs 1,2%) e un lieve aumento delle tossicità tipiche dei chemioterapici, quali diarrea (19,3% vs 7,8%), astenia (16,9% vs 10,6%), stomatite (13,7% vs 5%) e neutropenia (36,7% vs 29,5%), con un tasso di perforazioni gastrointestinali (meno del 2 %) uguale in entrambi i bracci. L’astenia, la diarrea e l’ipertensione hanno portato all’interruzione definitiva del trattamento nel 26,8% dei pazienti nel braccio sperimentale contro il 12,1% del braccio di controllo.

È stato quindi condotto lo studio ASQoP/AFEQT, multicentrico, internazionale, a singolo braccio, volto a valutare il profilo di sicurezza e l’impatto sulla qualità di vita dei pazienti nello stesso scenario dello studio VELOUR13. Nonostante l’inclusione di una quota maggiore di pazienti sopra i 65 anni, tale studio ha messo in luce come l’aflibercept sia in realtà molto meglio tollerato; infatti, l’incidenza di eventi avversi di grado 4, compresi ipertensione, astenia e diarrea, è stata quasi inesistente. Pertanto, l’aflibercept, si presenta come un farmaco efficace, ma maneggevole, assicurando, così, al paziente una migliore qualità di vita.

Negli studi di seconda linea sia con farmaci anti-EGFR (studio EPIC6, BOND17, 1818) sia con antivascolari la PFS mediana non supera i 7 mesi, attestandosi intorno ai 4 con il cetuximab, 6 con il panitumumab e 7 sia con bevacizumab sia con aflibercept.

Il caso che abbiamo riportato è quello di un paziente RAS WT, che dopo una prima risposta a una terapia con mfolfox6+cetuximab ha ottenuto una buona risposta e, soprattutto, di lunga durata a una terapia di seconda linea con aflibercept e FOLFIRI; tale risposta si è mantenuta anche durante il trattamento con il solo antivascolare permettendo il completamento di 32 cicli complessivi (16 mesi). Tale lunga durata della terapia è stata possibile a fronte di una bassa tossicità del trattamento rappresentata da un’iniziale ipertensione arteriosa, controllata dalla terapia anti-ipertensiva e da una mucosite G2 che si è risolta nell’interciclo.

Conclusioni

Il CRC metastatico rimane a tutt’oggi una delle neoplasie più frequenti, ma, grazie agli sforzi della ricerca, sempre nuovi farmaci sono a disposizione del clinico per affrontare questa patologia. A oggi i grandi fattori predittivi di risposta sono lo stato mutazionale di RAS e BRAF, anche se per quest’ultimo non è ancora disponibile una farmaco target registrato. Un paziente WT ha, quindi, a disposizione molte chance terapeutiche; tra queste, è da tenere in considerazione anche l’aflibercept, che si è dimostrato efficace e tollerabile anche in questa categoria di pazienti.

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