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I dati sull’andamento dell’occupazione negli Stati Uniti dicono che tra circa tre anni il comparto sanitario darà più posti di lavoro che tutte le attività commerciali sommate tra loro. Oltre 15 milioni di addetti e 503 mila nuovi lavoratori assunti solo negli ultimi 12 mesi. Destinati ad aumentare con impressionante regolarità. Sono numeri su cui ragionare: «This bubble will burst when medicine is forced to move forward #CDoM», ha commentato Eric Topol su Twitter non rinunciando a promuovere la “sua” Creative Destruction of Medicine prossima ventura. «Are we making the current healthcare to big to be disrupted?», ha risposto Harlan Krumholz. La preoccupazione dell’internista di Yale è fondata, soprattutto se consideriamo che negli Stati Uniti il 36% dei dipendenti della sanità si occupa di questioni amministrative. Quando una cosa diventa un po’ troppo grande, il cambiamento è molto più difficile. Troppa burocrazia fa sospettare che gran parte della spesa non generi valore. Intendendo con questo termine il vantaggio concreto e non teorico percepito dal paziente, dai suoi familiari e da qualsiasi cittadino che valuti positivamente servizi sanitari accessibili, sicuri, efficienti, non discriminanti e accoglienti.

Il sondaggio svolto su circa 1300 medici italiani, di cui parliamo nel secondo numero di Forward, mostra che quasi la metà dei clinici non ha letto su riviste, né ascoltato nulla in occasione di congressi, che riguardasse il tema del valore e dei valori. Eppure, se ne discute molto in giro per il mondo e non da oggi. Forse anche perché – come sostiene il filosofo Slavoj Žižek nel libro Benvenuti in tempi interessanti«stiamo entrando in un nuovo periodo in cui la crisi economica è diventata permanente, è ormai un semplice modo di vita». Che l’attenzione per questi argomenti stia aumentando in questi anni è comprensibile, ma di valori dovremmo parlare sempre. Sono gli elementi capaci di guidare le decisioni in condizioni di incertezza: tra terapie sostanzialmente equivalenti; tra strategie di prevenzione per le quali non si dispone di evidenze dirimenti; tra cure potenzialmente efficaci ma che comportano la sofferenza di effetti collaterali significativi; tra un’assistenza teoricamente più efficiente prestata in ospedale e un’altra gestita nella propria casa. La sanità dovrebbe migliorare dialogando su questi argomenti e investendo in una ricerca comparativa di efficacia, appropriatezza e sostenibilità non soltanto tra medicinali di fatto sovrapponibili ma tra opzioni anche del tutto diverse, capaci di garantire differente valore. All’orizzonte potrebbe esserci una comparative effectiveness research che confronti assistenza sanitaria e supporto sociale.

Intanto, ridisegnare l’assistenza e la ricerca sanitaria guardando al valore può ridare slancio alla medicina delle prove, restituendo a queste il loro senso originale perché l’approccio della EBM si fonda sul valore: della ricerca utile, dell’interpretazione rigorosa dei risultati, dell’esperienza clinica, delle preferenze dei malati. Sono queste le basi da cui ripartire, sottolineando soprattutto la necessità di una maggiore intransigenza nella definizione di ciò che è realmente importante per il paziente, così da ancorare la valutazione degli esiti degli interventi sanitari a endpoint davvero significativi.

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