Ricerca qualitativa: quale priorità per le riviste scientifiche?

stefania rodella

Agenzia Sanitaria e Sociale, Regione Emilia-Romagna

Pervenuto su invito il 30 dicembre 2015.
Aggiornato il 29 marzo 2016.

Qualitative research: which priority for scientific journals?

Summary. Quantitative and qualitative approaches in scientific research should not be looked at as separate or even opposed fields of thinking and action, but could rather offer complementary perspectives in order to build appropriate answers to increasingly complex research questions. An open letter recently published by the BMJ and signed by 76 senior academics from 11 countries invite the editors to reconsider their policy of rejecting qualitative research on the grounds of low priority and challenge the journal to develop a proactive, scholarly and pluralistic approach to research that aligns with its stated mission. The contents of the letter, the many voices raised by almost fifty rapid responses and the severe but not closed responses of the editors outline a stimulating debate and hopefully prelude some “change in emphasis”, ensuring that all types of research relevant to the mission of the BMJ (as well as other core journals) are considered for publication and providing an evolving landmark for scientific and educational purposes.

Nel febbraio 2016 è stata pubblicata sul British Medical Journal (BMJ) una lettera aperta, firmata da 76 ricercatori provenienti da 11 Paesi1, che invita gli editori della rivista a riconsiderare la policy attuale, orientata a escludere gli studi condotti con approccio qualitativo perché “a bassa priorità”.

La lettera, promossa da Trisha Greenhalgh, professore di Primary Care Health Sciences all’Università di Oxford, una delle penne più critiche e graffianti nel mondo della evidence based medicine, prende il via dalle motivazioni espresse dalla rivista nel rifiutare un lavoro proposto per la pubblicazione dal McGill Qualitative Health Research Group nel settembre 2015 (e riportate in sintesi nella stessa lettera): gli studi condotti con approccio qualitativo sarebbero scarsamente “gettonati” e riceverebbero poche citazioni rispetto agli altri tipi di ricerca; insomma, incontrerebbero scarso interesse tra i lettori e, di conseguenza, sono da considerarsi come “extremely low priority” per il BMJ.

Le argomentazioni sollevate dalla lettera aperta guardano sostanzialmente in due direzioni: il ruolo del BMJ – ma anche di altri “core journal”, come NEJM e JAMA, che sembrano adottare la sua stessa linea – e le sfide attuali della ricerca scientifica.

Per quanto riguarda il primo punto, il tema principale è rappresentato dalla mission dichiarata dal BMJ: guidare il dibattito sulla salute, informando e stimolando clinici e ricercatori in modi utili a migliorare le loro capacità decisionali e i risultati per i pazienti. Questi obiettivi sono necessariamente “method agnostic”, cioè devono prescindere dalla metodologia di ricerca. Perché se in alcuni casi la risposta migliore a un quesito clinico o di policy è uno studio randomizzato controllato o un altro disegno di tipo quantitativo, l’approccio qualitativo diventa necessario quando, per esempio, l’oggetto di studio sia rappresentato dalle complesse relazioni che compongono e coinvolgono il mondo sanitario o quando si intenda esplorare le ragioni del successo o del fallimento di interventi promettenti in contesti specifici.

Inoltre, se da un lato il BMJ ha una lunga tradizione nel formare i lettori ai metodi della ricerca quantitativa – il riferimento è quello delle storiche Statistics Notes ed Economic Notes – può anche vantare una propria esperienza nel suggerire l’importanza dell’approccio qualitativo, a partire dai famosi articoli di Pope e Mays5, che hanno occupato le pagine della rivista tra il 1995 e il 2000. Infine, la lettera ricorda che alcune tra le ricerche eccellenti pubblicate dal BMJ – e richiamate in occasione del 20° anniversario della presenza online della rivista6 – appartengono alla sfera della ricerca qualitativa.

Queste riflessioni sui diversi aspetti che contribuiscono alla realizzazione della mission del BMJ potrebbero a buon titolo affiancarsi ad altre voci recenti sul futuro dell’editoria scientifica2,3 – già commentate in un editoriale di Luca De Fiore4 – e concorrere forse alla descrizione di una delle “malattie” segnalate (per es., “le riviste sono troppo statiche” oppure “le riviste sono troppo parrocchiali”) o arricchire l’elenco delle patologie con una nuova diagnosi (per es., “le riviste mancano [a volte] di consistency nell’interpretazione e nella realizzazione della propria mission).

Il secondo percorso di argomentazione della lettera aperta affronta il tema delle sfide a cui la ricerca scientifica si propone di rispondere, in tempi – attuali e soprattutto futuri – caratterizzati da una crescente complessità dei quesiti di interesse per la pratica clinica e per i servizi sanitari. La risposta appropriata può essere cercata non tanto (o non solo) in singoli studi esaustivi, quanto piuttosto in “composizioni” di studi, condotti con disegni diversi, in grado di offrire prospettive complementari e avvicinarsi il più possibile alla multidimensionalità della current practice. A questo proposito la lettera cita un esempio tipico nell’ambito della patient safety, in particolare l’uso della surgical safety checklist (SSCL). In questo caso gli studi quantitativi hanno misurato l’impatto dell’intervento, mentre gli studi qualitativi hanno permesso di comprendere le ragioni della grande variabilità di adesione descritta nelle numerose esperienze pubblicate e le caratteristiche socio-tecniche di una pratica che rappresenta qualcosa di ben diverso da un semplice “tick box exercise”, quanto piuttosto un delicato mix di comportamenti in cui le condizioni organizzative e le relazioni tra i professionisti giocano un ruolo ben più importante della semplice compilazione di pochi item.




La lettera si conclude con una proposta concreta per il BMJ: riservare uno spazio a cadenza mensile, per la durata di un anno, a uno studio qualitativo esemplare, rappresentativo, di riferimento (landmark), accompagnandone la pubblicazione con un commento metodologico da parte di un esperto internazionale. Allo stesso tempo, gli autori offrono il proprio contributo per assistere lo staff editoriale nella revisione degli articoli e nella selezione dei lavori di migliore qualità.

Nel tracciare i nodi di questo dibattito, vale la pena citare prima di tutto la risposta della rivista, contenuta in un editoriale pubblicato contemporaneamente alla lettera aperta7, i cui punti principali sono i seguenti:

il BMJ non adotta “quote” per specifici tipi di ricerca e non intende farlo in futuro; i criteri di giudizio per la scelta di pubblicare o meno un articolo si basano su disegno dello studio, quesito di ricerca, limiti del lavoro;

gli obiettivi della rivista si sono modificati negli anni e l’orientamento attuale privilegia gli studi “definitivi” rispetto agli studi “esplorativi”;

pur riconoscendo il valore della ricerca qualitativa, così come rappresentato dalla lettera di Greenhalgh et al.1, il BMJ la considera a bassa priorità perché generalmente “esplorativa” e a basso grado di generalizzabilità;

la policy editoriale concentra la propria attenzione sulla ricerca quantitativa che riporta outcome rilevanti per pazienti, medici e policymaker;

sebbene la maggior parte degli studi qualitativi non risponda ai criteri editoriali del BMJ, è condivisibile il fatto che alcuni quesiti di ricerca possano essere affrontati solo con metodi qualitativi; il luogo ideale per la pubblicazione di questi lavori è rappresentato dalle riviste specializzate, con una platea di lettori maggiormente interessata a questo approccio (ma anche il BMJ Open accoglie con favore la submission di studi qualitativi).

Alla pubblicazione di lettera ed editoriale ha fatto seguito una valanga di “rapid response” – in totale 47 alla data del 21 marzo, l’ultima firmata dal Board of Health Services Research inglese – inviate da professionisti di diversissima provenienza: non solo l’area della ricerca qualitativa, ma anche la clinica, la sanità pubblica, la primary care, la sociologia e molte altre.

In data 15 marzo una seconda risposta degli editor8, contenuta in poche righe, corregge la posizione precedente, apprezza il vigore, la profondità e la ragionevolezza delle reazioni alla lettera di Greenhalgh et al. e all’editoriale della rivista e dichiara due impegni: approfondire l’opportunità di dare riconoscimento alla ricerca qualitativa di buon livello e sollecitare metodologie di ricerca e articoli che ne rendano conto. Un’apertura, quindi, che stimola curiosità e interesse sulle iniziative che seguiranno.

Il merito principale, scientifico ed educativo, di Greenhalgh et al. è quello di aver proposto con forza (anzi, riproposto) il tema del confronto/contrasto tra approccio quantitativo e approccio qualitativo – e, per estensione, tra approcci metodologici per la ricerca – su una grande rivista scientifica “generalista”, con una platea di lettori molto ampia e differenziata.

Un confronto/contrasto sentito e “sofferto” nella pratica da più parti – che si dispiega in tutte le sue sfaccettature nell’insieme delle rapid response – perché porta con sé anche un confronto tra visioni, filosofie, linguaggi e spazi di visibilità e di azione (e perché no, anche di finanziamenti); un confronto in cui l’approccio quantitativo appare dominante e quello qualitativo recita il ruolo del “rapporto di minoranza”; in cui l’identità “positivista” dell’approccio quantitativo si contrappone a quella “umanista” del qualitativo; in cui la ricerca quantitativa si concentra sul “cosa” con metodi standardizzati, controllati, apparentemente lontani dalle persone; mentre la ricerca qualitativa si occupa del “come” e del “perché”, mettendo al centro proprio le persone e le ragioni del loro comportamento.

È senz’altro vero che la pratica della ricerca clinica e sui servizi sanitari, così come accade in altri campi della scienza, richiede competenze tecniche specifiche e deve potersi avvalere di specialismi metodologici; ma se la realtà, e quindi la scienza, è complessa e multiforme, spetta alle intelligenze di chi osserva, studia e tenta di comprenderla il compito di evolvere, in estensione e in velocità, per identificare quesiti pertinenti e comporre risposte appropriate.

La sollecitazione/proposta della lettera aperta può essere letta proprio in questo senso: un invito alle intelligenze, di chi produce e di chi diffonde conoscenze scientifiche, perché si confrontino anziché contrapporsi, perché includano anziché alzare steccati, perché lavorino in rete anziché rinchiudersi in compartimenti di addetti ai lavori.

Greenhalgh et al.1 ricordano come l’International Cochrane Collaboration e il programma inglese di Health Technology Assessment, pur avendo privilegiato per molto tempo l’approccio quantitativo, si siano convinti a includere ricerche qualitative o condotte con metodi misti, naturalmente là dove appropriate; e suggeriscono che opporre “quantitativo” a “qualitativo” rappresenti ormai una battaglia di retroguardia.

Si può forse dire che superare le battaglie di retroguardia sia una sfida di questi tempi: se coltivare e mantenere specialismi è importante e necessario, lo è altrettanto coltivare e abitare luoghi in cui quegli specialismi si riconoscano in visioni comuni e in cui la risposta a questioni complesse possa essere costruita da popolazioni di intelligenze ed esperienze diverse, che tuttavia assegnino valore alla cooperazione e alla complementarietà. L’auspicio è che il BMJ, anche attraverso questa vicenda, possa (continuare a) essere uno di questi luoghi.

Conflitto di interessi: l’autrice è tra i firmatari della open letter al BMJ.

Bibliografia

1. Greenhalgh T, Annandale E, Ashcroft R, et al. An open letter to the BMJ editors on qualitative research. BMJ 2016; 352: i563.

2. Krumholz HM. The end of journals. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2015; 8: 533-4.

3. Smith R. A better way to publish science. BMJ Blogs 2015; 22 ottobre 2015.

4. De Fiore L. Buona fine e buon principio. Quale futuro per le riviste scientifiche? Recenti Prog Med 2015; 106: 591-2.

5. Pope C, Mays N. Qualitative research: reaching the parts other methods cannot reach: an introduction to qualitative methods in health and health services research. BMJ 1995; 311: 42-5.

6. Payne D. Twenty top papers to mark. The BMJ’s two digital decades. BMJ 2015; 351: h3660.

7. Loder E, Groves T, Schroter S, Merino JG, Weber W. Qualitative research and the BMJ. BMJ 2016; 352: i641

8. Loder E, Groves T, Schroter S, Merino JG, Weber W, Godlee F. The BMJ editors respond. BMJ 2016; 352: i1492.