Dalla letteratura

In collaborazione con l’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
www.associali.it

Autori fantasma: dannosi ma fanno comodo a tutti

Un articolo su The BMJ torna sul ruolo del cosiddetto “ghostwriter” nella comunicazione scientifica1. Una questione che siamo abituati a considerare di natura etica ma che – se guardata da un diverso punto di vista – può sollecitare ulteriori riflessioni.

Il ghostwriter è la persona che scrive un documento per conto di altri che avranno il privilegio di firmarlo. In quanto fantasma, il suo lavoro non viene pubblicamente riconosciuto: resta dietro le quinte, insomma. È una figura alla quale ricorre frequentemente l’industria soprattutto quando ha la necessità di alimentare una mole di pubblicazioni utile a supportare le attività di marketing per i propri prodotti. Ne parlava oltre 10 anni fa Marco Bobbio: «Si tratta della cosiddetta “tecnica del terzo elemento”, che viene utilizzata non solo nella stesura di articoli, editoriali o revisioni sistematiche, ma molto spesso anche nelle conferenze. La logica è semplice: un esperto indipendente ha maggiore credibilità di un rappresentante dell’industria, perché […] il lettore viene privato degli elementi per attivare il radar che gli consente di analizzare criticamente il lavoro»2.

Fenomeno molto diffuso ma difficile da quantificare proprio perché caratterizzato da massima segretezza3, dovuta soprattutto alla consapevolezza che il medico si accosta con comprensibile diffidenza a un articolo qualora sia al corrente che non sia stato scritto da chi lo ha firmato4. Ciononostante, sono noti numerosi casi di malpractice che hanno causato serie conseguenze sulla salute dei cittadini e un rilevante costo economico per i sistemi sanitari. Vediamone alcuni.




Casi di ghostwriting

Wyeth utilizzò diversi autori fantasma per la redazione di articoli finalizzati a sminuire gli effetti avversi della terapia ormonale, mettendo al contempo in cattiva luce altri farmaci concorrenti5. L’azienda Forest promosse la pubblicazione su un’importante rivista internazionale di un lavoro redatto da ghostwriter per sostenere l’uso off-label del citalopram nella popolazione pediatrica6. SmithKline Beecham (ora GSK) ricorse a ghostwriter per la preparazione del famigerato Studio 329 di confronto tra paroxetina e imipramina, oggetto di rielaborazione e successiva ripubblicazione in una versione fedele ai dati realmente raccolti nell’indagine, a cura di ricercatori del gruppo RIAT (Restoring Invisible and Abandoned Trials)7. Parke Davis (successivamente acquisita da Pfizer) utilizzò come riferimenti per l’estensione delle indicazioni del Neurontin diversi lavori firmati da “esperti” scritti però da agenzie di comunicazione8. Una di queste società percepiva un compenso di 12.000 dollari per ognuno dei 12 lavori preparati ad arte9. All’autore che accettava di firmare l’articolo andava un compenso di 1.000 dollari10. Gli autori – o meglio, i firmatari – degli articoli beneficiavano anche di una serie di effetti a cascata successivi alla pubblicazione. In virtù della visibilità ottenuta, entravano a far parte della faculty dei corsi di educazione medica continua sponsorizzati dall’azienda e come relatori in occasione di questi meeting – presumibilmente forti della traccia di presentazioni preparate dall’industria stessa – percepivano ulteriori compensi10. Dopo questi eventi le vendite del prodotto aumentavano fino al 70 per cento nelle aree di attività dei medici coinvolti11. L’80 per cento delle prescrizioni di Neurontin negli Stati Uniti nel 2003 si riferiva a patologie fuori indicazione9, dal disturbo bipolare al disturbo post-traumatico da stress, dall’insonnia alla sindrome delle gambe senza riposo. Nel 2004, dopo 8 anni dall’inizio di queste attività di marketing spregiudicato basate sull’attività di ghostwriter, Pfizer accettava di pagare la sanzione di 430 milioni di dollari. Mica poco, ma una cifra trascurabile rispetto ai 2,7 miliardi di dollari di vendite del prodotto12. Merck basò sull’attività di ghostwriter e di dipendenti dell’azienda gran parte della produzione di letteratura utile all’approvazione e alla promozione del rofecoxib, evidenza che venne alla luce solo successivamente alla causa intentata all’azienda da parte dei familiari di pazienti deceduti in conseguenza di effetti avversi cardiocircolatori del Vioxx13. Roche fu affiancata da ghostwriter della agenzia editoriale ADIS – di proprietà della casa editrice Wolters Kluwer – nell’allestimento di articoli su oseltamivir, farmaco antivirale proposto per il trattamento dell’influenza. Così che gli autori firmatari di alcuni lavori dovettero confessare ai ricercatori impegnati nel reperimento dei dati grezzi degli studi di non esserne in possesso o, in alcuni casi, di non averli proprio mai visti14. Le storie potrebbero continuare…

Il ghostwriting conviene

Come ha sottolineato Peter Doshi7, di fronte a casi in apparenza clamorosi giunge dalla medicina accademica per lo più un imbarazzato silenzio. In sostanza, la pratica della scrittura per conto terzi è generalmente tollerata: uno studio su alcune istituzioni universitarie ha mostrato come solo in pochi casi questa abitudine sia contrastata15. Le riviste hanno un atteggiamento cauto e in pochi casi avvertono con chiarezza nelle proprie istruzioni per gli autori quale sia la definizione del ghostwriter: uno studio del 2013 mostra una maggiore intransigenza da parte di una casa editrice come Wiley Blackwell rispetto a Elsevier16. Fino a oggi si è cercato di arginarlo soprattutto perfezionando norme e regolamenti nell’ambito delle associazioni che accolgono i direttori e i redattori delle riviste scientifiche. Un approccio caratterizzato da uno sguardo tecnico ed etico17 che ha portato a scarsi risultati. Come diceva Giuseppe Pontiggia, a mali estremi, piccoli rimedi18.




Probabilmente, perché il ghostwriting conviene a tutti. Certamente è utile alle aziende – non solo del settore farmaceutico ma anche alimentare e di dispositivi medici – perché permette di produrre articoli adatti a essere utilizzati come strumenti di promozione commerciale. Sia per i contenuti veicolati, sia per la forma con cui sono presentati. In altre parole, il ghostwriter lavora a stretto contatto con la direzione marketing delle industrie, così che già a livello di pubblicazione scientifica sono presenti affermazioni utili a essere riprese nella comunicazione promozionale del prodotto. Allo stesso tempo, però, questa prassi è preziosa anche per la medicina accademica: dipartimenti e istituti che ne beneficiano ottengono pubblicazioni a loro nome con il minimo impegno19. Particolare non trascurabile: solitamente gli articoli sponsorizzati dalle industrie hanno un buon impatto sulla letteratura indicizzata20 e ottengono un elevato numero di citazioni dal momento che lo sforzo pubblicitario si traduce in una diffusione molto capillare di reprint e di download offerti a medici e farmacisti ospedalieri. E sappiamo anche che quanto maggiore è la circolazione di un articolo, tanto più numerose sono le probabilità che sia ripreso da altri lavori. Una domanda di mercato sostenuta si incontra con un’offerta altrettanto ricca: quasi tutte le case editrici scientifiche internazionali sono in grado di offrire un servizio di medical writing ad autori e industrie. Da qualche tempo sono anche nate agenzie che vendono un servizio a ciclo completo, dalla scrittura alla pubblicazione su periodici indicizzati: alcune si sono specializzate nel documento più in voga, la revisione sistematica con meta-analisi21, ormai talmente inflazionata da essere semi-ufficialmente assurta a documento simbolo della cosiddetta #rubbishEBM22. Quello di scrittore fantasma è un mestiere in crescita: «Traveling, eating in high-end restaurants, wearing fashionable clothes, and rushing to meet important deadlines - what’s not to like?»23.




Non si tratta dunque di un problema trascurabile. Uno sguardo disincantato a un intreccio di interessi innegabilmente complesso può fare ammettere che le industrie facciano il loro mestiere, anche se la massimizzazione dei profitti e il perseguire l’interesse degli azionisti le ha indotte a comportamenti eticamente discutibili o illegali e, in diversi casi, giustamente sanzionati. La soluzione non può che passare da un’accresciuta consapevolezza da parte dei ricercatori e dei clinici e potrebbe essere un’occasione per riflettere sullo stato di una professione che, con tutta evidenza, fatica a ritagliare lo spazio per attività che da sempre sono considerate costitutive, come la lettura e la scrittura. In una splendida lettera a un giovane pediatra24, Salvo Fedele chiude con un’esortazione: «E infine ricordate di scrivere. Forse questa è proprio l’unica cosa di cui non sospettavo l’importanza all’inizio della carriera. Il vostro scrivere prima o poi sarà utile a qualcun altro, ma anche quando finendo di scrivere vi accorgerete di essere stato di poco aiuto (come probabilmente in questo caso) avrete capito qualcosa di inaspettatamente nuovo di voi».




Dicevamo prima che le brutte storie di fantasmi avrebbero potuto continuare. Proprio mentre The BMJ riapriva la discussione su una prassi così dannosa, negli Stati Uniti emergevano nuovi particolari sullo scandalo EpiPen, il dispositivo antiallergico salva-vita il cui prezzo è stato portato alle stelle dall’azienda produttrice (da 83 a oltre 600 dollari). Ora è oggetto di un’intensa attività di lobbying volta a inserirlo tra i presidi utili alla prevenzione, disciplinati dalla US Preventive Service Task Force. Se così fosse, il costo non ricadrebbe più sui pazienti ma sullo Stato federale, con l’immediato spegnersi della protesta da parte della società civile. Per raggiungere questo obiettivo, la Mylan ha promosso la pubblicazione di un articolo “importante”, uscito da poco sull’American Journal of Medicine25. Scritto da un ghostwriter e firmato Leonard Fromer, della University of California26.




Bibliografia

1. Matheson A. Ghostwriting: the importance of definition and its place in contemporary drug marketing. BMJ 2016; 354: i4578.

2. Bobbio M. Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza. Torino: Einaudi, 2004.

3. Kassirer J. On the take. How medicine’s complicity with big business can endanger your health. New York: Oxford University Press, 2005.

4. Lacasse JR, Leo J. Knowledge of ghostwriting and financial conflicts-of-interest reduces the perceived credibility of biomedical research. BMC Research Notes 2011; 4: 1.

5. Fugh-Berman AJ. The haunting of medical journals: how ghostwriting sold “HRT”. PLoS Med 2010; 7: e1000335.

6. Jureidini JN, Amsterdam JD, McHenry LB. The citalopram CIT-MD-18 pediatric depression trial: deconstruction of medical ghostwriting, data mischaracterisation and academic malfeasance. Int J Risk Saf Med 2016; 28: 33-43.

7. Doshi P. No correction, no retraction, no apology, no comment: paroxetine trial reanalysis raises questions about institutional responsibility. BMJ 2015: h4629.

8. Petersen M. Court papers suggest scale of drug’s use. New York Times 2003; 30 maggio.

9. Kowalczyk L. Use of drug soars despite controversy. Boston Globe 2003; 25 novembre.

10. Angell M. The truth about the drug companies. New York: Random House, 2004.

11. Petersen M. Doctor explains why he blew the whistle. New York Times 2003; 12 marzo.

12. Harris G. Pfizer to pay $430 million over promoting drug to doctors. New York Times 2004; 14 maggio.

13. Ross JS, Hill KP, Egilman DS, Krumholz HM. Guest authorship and ghostwriting in publications related to rofecoxib: a case study of industry documents from rofecoxib litigation. JAMA 2008; 16: 1800-12.

14. Epstein H. Flu warning: beware the drug companies. The New York Review of Books 2011; 12 maggio.

15. Lacasse JR, Leo J. Ghostwriting at elite academic medical centers in the United States. PLoS Med 2010; 2: e1000230.

16. Bosch X, Hernández C, Pericas JM, Doti P. Ghostwriting policies in high-impact biomedical journals: a cross-sectional study. JAMA Intern Med 2013; 173: 920-1.

17. Gøtzsche PC, Kassirer JP, Woolley KL, et al. What should be done to tackle ghostwriting in the medical literature? PLoS Med 2009; 6: e1000023.

18. Pontiggia G. Le sabbie immobili. Bologna: Il Mulino, 1991.

19. Goldacre B. Effetti collaterali. Milano: Mondadori, 2014.

20. Healy D, Cattell D. Interface between authorship, industry and science in the domain of therapeutics. Br J Psychiatry 2003; 183: 22-7.

21. De Fiore L. Meta-analisi alla Cantonese. Dottprof 2014; 13 ottobre.

22. Ioannidis J. The mass production of redundant, misleading, and conflicted systematic reviews and meta‐analyses. Milbank Quarterly 2016; 94: 485-514.

23. Herper M. A former pharma ghostwriter speaks out. Forbes 2011; 10 agosto.

24. Fedele S. Il medico è un animale sociale. La vita di chi cura tra letture, scritture e relazioni umane. Recenti Prog Med 2016; 9: 463-4.

25. Romer L. Prevention of anaphylaxis: the role of the epinephrine auto-injector. Am J Med 2016 Aug 20. pii: S0002-9343(16)30795-1.

26. Lipton E, Abrams R. EpiPen maker lobbyies to shift high costs to others. New York Times 2016; 16 settembre.

In collaborazione con Torinomedica.org

Cancro della prostata: strategie di cura e ruolo del medico

Poche cose come il cancro della prostata sono state oggetto di discussione in medicina negli ultimi anni. Da una parte, la proposta di nuove terapie, dall’altra il confronto sull’opportunità di una diagnosi precoce e l’inaffidabilità del test del PSA. Su quest’ultimo punto, è utile segnalare il pronunciamento dei Centers for disease control and prevention statunitensi1, contrari a suggerire lo screening nelle persone asintomatiche, in accordo con la posizione della US Preventive service task force2. Punto di vista che non coincide con quello di altre organizzazioni nordamericane3-5.

Uno studio che potrebbe contribuire a chiarire la situazione è uscito sul New England Journal of Medicine6 e ha messo a confronto le tre opzioni più frequentemente praticate in caso di positività al test del PSA: il monitoraggio attivo (MA), la chirurgia prostatica radicale (CP) e la radioterapia (RT). Bisogna osservare che l’active monitoring studiato era volto a minimizzare il rischio di overtrattamento evitando l’intervento radicale immediato e sorvegliando nel tempo in modo continuativo l’evolvere della situazione, così da mantenere aperta la possibilità di intervenire all’occorrenza con chirurgia o radioterapia. Per questo, la strategia è altra cosa rispetto al watchful waiting valutato nello Scandinavian prostate cancer group study number 47 e nel PIVOT trial statunitense8. Dal punto di vista della considerazione degli esiti, questo tipo di disegno implica una certa maggiore avvedutezza nella valutazione dei risultati.

L’endpoint primario dello studio era la mortalità per cancro della prostata e come esiti secondari i ricercatori hanno determinato la progressione della malattia, la comparsa di metastasi e la sopravvivenza complessiva a una mediana di 10 anni di follow-up. Interessante l’attenzione al monitoraggio dei patient reported outcome per una durata di 6 anni: è consolante che a livello di grandi trial si affermi un elemento di grande valore metodologico ma soprattutto etico, come testimonianza di centralità del malato nella ricerca clinica9.

Risultati del PROTECT

I numeri della ricerca: tra il 1999 e il 2009 sono stati sottoposti a esame del PSA 82.429 uomini tra i 50 e i 69 anni. Di questi, 2.664 hanno ricevuto diagnosi di cancro della prostata localizzato e 1.643 hanno acconsentito all’assegnazione randomizzata a uno dei tre bracci dello studio. Uno studio metodologicamente accurato, dunque, e quali sono i risultati ottenuti?

Prima conclusione sorprendente: nei tre gruppi, complessivamente, si sono verificati solo 17 decessi per cancro della prostata. Otto tra i malati sotto MA, 5 tra quelli sottoposti a CP e 5 nel braccio della RT. Se andiamo a vedere la mortalità per tutte le cause, i decessi sono stati 59 (MA), 55 (CP) e di nuovo 55 (RT). Altra sorpresa: risultati identici nei tre gruppi, così che sembrerebbe di poter concludere che non esistono differenze di esito dipendenti dall’iniziale scelta di strategia.




Vediamo gli effetti collaterali conseguenti alle tre opzioni. L’incontinenza urinaria si manifesta più spesso dopo CP rispetto alla RT o, evidentemente, al MA. A 6 mesi, ricorreva ad assorbenti igienci il 46% dei pazienti operati contro il 5% di quelli trattati con radioterapia e il 4% dei monitorati. Al termine dei 6 anni, i valori erano rispettivamente del 17% (CP), 4% (RT) e 8% (MA). Sempre a distanza del primo semestre di cure o di controllo, la capacità di mantenere un’erezione sufficiente a un rapporto sessuale era del 52% (MA), 22% (RT) e 12% (CP), con riferimento a un valore di partenza comunque assestato sul 67%. A 6 anni, le percentuali erano del 30% (MA), 27% (RT) e 17% (CP). La funzionalità intestinale e i disagi legati alla presenza di sangue nelle feci era peggiore nei malati trattai con RT.

A colpo d’occhio, i risultati del trial sembrano suggerire il MA come strategia preferenziale di partenza, salvo ripiegare su soluzioni diverse in caso di aggravamento. Esiti primari sostanzialmente uguali, accompagnati da minori effetti indesiderati, non trascurabili, come quelli prima citati. Risolto il problema? Mica tanto, osserva Bishal Gyawaly, giovane oncologo nepalese che lavora oggi in Giappone e cura un blog molto interessante sulla piattaforma eCancer.org/10. «Ogni paziente è unico e nessun malato rappresenta la gran parte dei pazienti dei clinical trial. Per questo [anche dopo uno studio del genere] sei nella necessità di un trattamento individualizzato della persona che hai di fronte». Gyawali considera diversi casi che renderebbero comunque necessario un approccio personalizzato al percorso di cura. Quello di un paziente impaurito dalla possibile presentazione di metastasi. Quella di un malato meno giovane di altri, per il quale i dati di follow-up a dieci anni potrebbero rappresentare un riferimento sufficientemente rasserenante. Diversamente, il caso di un uomo più giovane, comprensibilmente desideroso di massimizzare la riduzione dei rischi ma del resto preoccupato dell’insorgenza di effetti indesiderati invalidanti causati da RT e CP.

Altra domanda importante alla quale questo studio potrebbe aiutare a rispondere è quella considerata in apertura: conviene ancora raccomandare di routine lo screening del PSA? Gyawali pensa di no, contrariamente agli autori del trial PROTECT che sembra vogliano rinviare la risposta a una successiva analisi dei dati ulteriori che giungano dal follow-up dei pazienti reclutati nello studio. Più prudente – più “conservatore”? – l’editorialista del NEJM, Anthony V. D’Amico, che punta il dito sull’aumento di malattia metastatica nei pazienti sottoposti a MA (6,3/1000 persone l’anno contro 2,4/1000 nella CP e 3,0/1000 dopo RT)11.

Insomma, anche lo studio meglio disegnato pare non riuscire a diradare l’incertezza, compagna abituale di chiunque con saggezza lavori nell’assistenza sanitaria. Fortuna che una ricerca come questa trovi spazio anche su media generalisti, forse più capaci di quelli non generalisti di infrangere l’abitudine alla prudenza propria di molti ricercatori. Intervistato dal New York Times, Freddy C. Hamdy confessa: «Posso consigliare meglio i pazienti, adesso. Posso dirgli con grande precisione: “Vedi, il tuo rischio di morire è molto, molto modesto. Se decidi di affrontare una terapia, avrai dei benefici. Saranno ridotte le probabilità che il cancro si estenda al di fuori della tua prostata, ma questi saranno gli effetti collaterali delle cure”»12. Un altro co-investigator, David Neal, sempre dell’Università di Oxford, si premura di sottolineare un aspetto diverso: «I medici non hanno necessariamente la risposta giusta. È importante si stabilisca una partnership autentica con il paziente, così che questi possa realmente comprendere i benefici e gli svantaggi al fine di prendere la decisione giusta per sé, come individuo»13.

Il PROTECT Trial «esemplifica quanto ci sia di meglio nella ricerca britannica e del National Health System», ha dichiarato Peter Davidson del National Institute for Health Research al Financial Times14, aggiungendo che i risultati dovrebbero essere quanto prima tradotti in raccomandazioni utili per guidare il processo decisionale del paziente e del medico. Si intrecciano, dunque, tanti temi diversi e molto importanti: dalla necessità di una ricerca indipendente, pubblicamente finanziata e centrata su temi rilevanti davvero per i cittadini, alla difficoltà innegabile di traslare i risultati anche dei migliori studi in policy che possano orientare il lavoro dei professionisti sanitari.

Con grande equilibrio, un editoriale del Lancet ricorda quanto sia complicato portare onestamente all’attenzione dei malati i risultati della ricerca14: in un contesto di incontri condizionati dalla fretta, dalla incompleta capacità del cittadino di comprendere anche gli elementi di base atti a rendere un’idea del proprio “rischio”, dalla convergenza di informazioni provenienti da fonti diverse e spesso inattendibili, quali sono le reali possibilità, per il medico, di supportare il paziente?

Non c’è ancora risposta: è un percorso pieno di difficoltà, ma resta l’evidenza che questa fase così delicata di comunicazione partecipata non possa che essere nelle mani del medico di famiglia.

Bibliografia

1. Centers for disease control and prevention. http://www.cdc.gov/cancer/prostate/basic_info/get-screened.htm

2. US Preventive service task force. https://www.uspreventiveservicestaskforce.org/Page/Document/RecommendationStatementFinal/prostate-cancer-screening

3. American Cancer Society. http://www.cancer.org/cancer/prostatecancer/detailedguide/prostate-cancer-detection

4. American Urological Association. https://www.auanet.org/common/pdf/advocacy/grassroots-toolkits/DPCWhatMenShouldKnow.pdf

5. American College of Physicians. https://www.acponline.org/acp-newsroom/american-college-of-physicians-releases-new-prostate-cancer-screening-guidance-statement

6. Hamdy FC, Donovan JL, Lane JA, et al. 10-year outcomes after monitoring, surgery, or radiotherapy for localized prostate cancer. N Engl J Med 2016 Sep 14.

7. Holmberg L, Bill-Axelson A, Helgesen F, et al. A randomized trial comparing radical prostatectomy with watchful waiting in early prostate cancer. N Engl J Med 2002; 347: 781-9.

8. Wilt TJ, Brawer MK, Jones KM, et al. Radical prostatectomy versus observation for localized prostate cancer. N Engl J Med 2012; 367: 203-13.

9. Botturi D, Rodella S. Esiti riferiti dal paziente: cosa sono e come si misurano. Recenti Prog Med 2014; 105: 233-42.

10. Gyawali B. Protecting the patients and their prostates from physician bias: thoughts on the PROTECT trial. eCancer News 2016; 23 settembre. http://ecancer.org/news/10163-protecting-the-patients-and-their-prostates-from-physician-bias--thoughts-on-the-protect-trial-by-dr--bishal-gyawali.php (ultimo accesso 25 settembre 2016).

11. D’Amico AV. Treatment or monitoring for early prostate cancer. N Engl J Med 2016 Sep 14.

12. Grady D. Prostate cancer study details value of treatments. New York Times 2016; 14 settembre. http://www.nytimes.com/2016/09/15/health/prostate-cancer.html?_r=0 – Ultimo accesso 25 settembre 2016.

13. Siddique H. Monitoring of prostate cancer as effective as treatment in some cases. The Guardian 2016; 14 settembre. https://www.theguardian.com/society/2016/sep/14/monitoring-prostate-cancer-effective-treatment (ultimo accesso 25 settembre 2016).

14. Schluppeck D. Monitoring prostate cancer as good as surgery or radiotherapy. Financial Times 2016; 15 settembre. http://www.ft.com/cms/s/0/34f1a9c8-78f7-11e6-a0c6-39e2633162d5.html#axzz4LIdynosB (ultimo accesso 25 settembre 2016).

15. The Lancet. Reducing the benefits and risks of choice. Lancet 2016; 388: 1129.

In collaborazione con Torinomedica.org




Evidenze in sintesi per la sanità del Lazio

Da oltre 30 anni, il Dipartimento di Epidemiologia (DEP)1 del Servizio Sanitario Regionale del Lazio svolge attività di ricerca epidemiologica in ambito clinico, etiologico, ambientale e occupazionale, operando un continuo monitoraggio e un’attenta valutazione dei servizi sanitari regionali. Allo stesso tempo, presso il DEP è attiva un’unità di documentazione scientifica che, tra gli altri impegni, coordina un Cochrane Group internazionale, dedicato allo studio delle dipendenze da alcol e droghe.

Nel 2014, la Direzione Regionale della Sanità della Regione Lazio ha promosso la realizzazione di una biblioteca digitale online per il personale sanitario sul modello delle esperienze della Regione Piemonte e della Provincia Autonoma di Bolzano. La creazione e la gestione dello strumento è stata affidata al DEP per supportare il personale nell’attività assistenziale e amministrativa, nell’educazione continua e nella ricerca.

Inaugurata nel febbraio 2015, la Biblioteca “Alessandro Liberati” (BAL)2 è il punto di accesso regionale ad UpToDate3, il sistema di supporto decisionale in campo clinico basato su prove di efficacia di Wolters Kluwer4. Con questo strumento, scelto dal DEP per la completezza dei contenuti, la facilità di utilizzo e i giudizi positivi derivanti da un’analisi della letteratura internazionale sui principali point-of-care tool, il personale sanitario delle ASL della Regione che hanno aderito al servizio trova risposta ai quesiti che emergono nella pratica quotidiana e accede alle più recenti ricerche in ambito clinico e farmacologico.




I contenuti di UpToDate sono curati da un team di oltre 6.300 autori, redattori e revisori paritari, tutti medici conosciuti a livello mondiale, che, a fronte di un rigoroso processo editoriale, sintetizzano le più recenti informazioni in campo medico in raccomandazioni evidence-based delle quali è stato dimostrato un impatto migliorativo sulla cura del paziente e sulla qualità dell’assistenza. UpToDate copre 24 specializzazioni e comprende oltre 10.500 argomenti, per ciascuno dei quali sono indicati in modo trasparente l’elenco degli autori, la data dell’ultimo aggiornamento e la bibliografia completa. I contenuti sono redatti in inglese, ma con possibilità di ricercarli per patologie, sintomi, procedure e farmaci anche in molte altre lingue, incluso l’italiano.

Grazie ad UpToDate, i medici del DEP della Regione Lazio possono inoltre accedere a risorse quali l’autorevole database di farmaci e interazioni tra farmaci Lexicomp®, gli oltre 160 “calcolatori” medici a supporto dell’attività clinica e la sezione “Aggiornamenti sui cambiamenti nella pratica”, nella quale vengono evidenziati aggiornamenti e nuove raccomandazioni che a parere dei redattori UpToDate comporteranno delle modifiche a livello di pratica medica.

«In anni in cui è diventato praticamente impossibile stare al passo con la quantità di nuovi studi pubblicati in ambito clinico e in cui la letteratura primaria necessita di una valutazione critica attenta», afferma la dottoressa Laura Amato, dirigente del Dipartimento, «uno strumento come UpToDate ci garantisce l’accesso alle più recenti e affidabili informazioni e raccomandazioni in ambito clinico. La sua inclusione nell’offerta formativa della BAL è un aspetto particolarmente qualificante del progetto, perché conferma sia la determinazione a raccomandare l’assunzione di decisioni cliniche basate su evidenze scientifiche, sia la necessità di integrare la consultazione della letteratura con una costante vigilanza critica sui contenuti».

UpToDate è stato progressivamente reso disponibile al DEP a partire da un anno e mezzo fa e viene frequentemente consultato da oltre 1.500 operatori sanitari e ricercatori, raggiungendo mensilmente oltre 3.000 accessi. Questi ottimi risultati in termini di adozione da parte della comunità medica sono stati raggiunti grazie a importanti sforzi di informazione e coordinamento da parte del DEP e della Direzione Regionale, attraverso un programma di incontri formativi sull’uso consapevole della letteratura scientifica e sulle attività promosse dalla biblioteca.

Sitografia

1. http://www.deplazio.net.

2. http://bal.lazio.it/

3. http://www.uptodate.com/home/uptodate-anywhere

4. http://wolterskluwer.com/