In questo numero

In nota agli articoli pubblicati in questo mese sulla rivista troviamo solo dichiarazioni di assenza di conflitti di interesse da parte di tutti gli autori che hanno firmato i contributi. Eppure di competing interests in medicina si continua a parlare. Sulle prime pagine dei quotidiani, e non è una buona notizia. Sulle grandi riviste accademiche, e questa invece è una cosa importante. Che il rischio sia percepito, infatti, è un fatto positivo. Di recente, il JAMA ha dedicato un intero numero al conflitto di interessi: «Lo scopo è tutelare e proteggere la fiducia nell’indipendenza e nell’obiettività dei medici», ha scritto Harvey V. Fineberg1. Fiducia che, dagli anni Sessanta al 2012, è scesa dal 73% al 34% ha spiegato uno studio pubblicato sul New England2. Se l’assistenza sanitaria fosse davvero costruita sulla fiducia, ci sarebbero buone possibilità che sia andata da tempo in frantumi.

Quando sentono parlare di conflitti di interesse, molte persone che lavorano nella sanità alzano gli occhi al cielo: “Se prescrivo il farmaco oncologico di N* perché mi ha portato al congresso ASCO di Chicago, ci sarà il mio collega che prescriverà il farmaco M* perché un’altra azienda gli ha offerto il viaggio ­all’ESMO a Copenaghen: le cose si equilibrano e dov’è il problema?” E parlando dei fatti più recenti accaduti in Italia: “Ma insomma, dice che era cattivo e ha intascato parecchi soldi in nero, e va bene. Ma di preciso cosa ha fatto? Inventato dati? Somministrato farmaci non ancora registrati? Combinato appalti? Possibile che si snocciolino manciate di gravi imputazioni in legalese senza spiegare a quali comportamenti specifici si riferiscono? Dubito assai che farsi sponsorizzare congressi o scrivere articoli divulgativi benevoli o far circolare dati scientifici confidenziali rientri fa i peggio crimini...”. ­Sono frasi realmente ascoltate nel corso di incontri formativi alla legalità svolti in una grande azienda ospedaliera italiana.

I conflitti di interesse sono o no una realtà? Dovendo (per forza) scegliere cosa leggere tra le molte cose pubblicate dal JAMA, segnaleremmo l’articolo di Matthew S. McKoy e Ezekiel Emanuel3: il conflitto di interessi indica un rischio e ogni rischio è reale di per sé. Ritenere dunque che un conflitto di interessi sia “potenziale” è privo di significato. Dobbiamo sapere che anche quando accetteremo l’invito a un rinfresco successivo all’ascolto di una conferenza serale di un “esperto” aumenteranno le probabilità di una nostra prescrizione di un medicinale dell’azienda che è stata così “generosa”4: chi la ritenesse un’esagerazione troverebbe risposta nell’articolo di Robert Steinbrook. È possibile che se qualcuno ti regala uno yacht la tua gratitudine sarà maggiore, ma legami pericolosi si stabiliscono anche con piccoli doni e con la lenta costruzione di una relazione confidenziale5.

Soluzioni? Far rispettare le regole a partire dai codici deontologici della Federazione degli Ordini dei Medici. L’articolo 30 recita: «Il medico evita qualsiasi condizione di conflitto di interessi nella quale il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi economici o di altra natura». L’articolo 31 precisa: «Al medico è vietata ogni forma di prescrizione concordata che possa procurare o procuri a se stesso o a terzi un illecito vantaggio economico o altre utilità». Far rispettare le regole significa applicare sanzioni per chi le trasgredisce. Richiamare al rispetto dei valori della professione. È un’opzione preferibile, perché governare la sanità adottando un’ottica improntata al controllo avrebbe poche probabilità di successo e sarebbe comunque una sconfitta culturale.

Quasi tutti i medici statunitensi hanno percepito denaro dall’industria, tra il 2013 e il 2015. Ma la stragrande maggioranza ha avuto doni per un valore di circa 156 dollari: siamo sicuri che la dignità di un professionista valga così poco?

Ancora due parole su un aspetto sempre più discusso, soprattutto negli Stati Uniti: i conflitti di interesse di ordine culturale. Qualcuno inizia a sostenere con sempre maggiore convinzione che rappresentino un problema. Volendo fare due esempi, potrebbero averne gli autori dei primi due lavori pubblicati in questo fascicolo: studiare la salute dei migranti che lavorano in Italia può apparire una scelta di campo, così come approfondire il fenomeno e le ricadute delle prescrizioni non necessarie effettuate nel servizio sanitario nazionale. È un tema caldo, utile soprattutto a chi vuole minimizzare i veri problemi che pesano sulla sanità non solo italiana: l’evidenza dei tanti professionisti che perseguono il proprio tornaconto economico o accademico a danno della salute dei cittadini. Come ha scritto il 6 luglio su twitter Vinay Prasad, «No one likes to talk about non financial conflict of interest more than a doctor who takes money from drug companies».

Bibliografia

1. Fineberg HV. Conflict of interest. Why does it matter?JAMA 2017; 317: 1717-8.

2. Blendon RJ, Benson JM, Hero JO. Public trust in physicians. US medicine in international perspective. N Engl J Med 2014; 371: 1570-2.

3. McCoy MS, Emanuel EJ. Why there are no “potential” conflicts of interest. JAMA 2017; 317: 1721-2.

4. Steinbrook R. Physicians, industry payments for food and beverages, and drug prescribing. JAMA 2017; 317: 1753-4.

5. Lo B, Grady D. Payments to physicians. Does the amount of money make a difference? JAMA 2017; 317: 1719-20.