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Il 24 e il 25 giugno 2020, nel bel mezzo di Manhattan, la New York Academy of Science terrà un convegno dedicato al conflitto di interessi sponsorizzato dalla Johnson & Johnson. Il 27 febbraio scorso la newsletter del Lown Institute ha duramente criticato la decisione degli organizzatori di accettare – o forse di favorire – il finanziamento di un’industria che, secondo Adriane Fugh-Berman, docente di bioetica alla Georgetown University, si configura come una contraddizione in termini: un evento sui conflitti di interesse in palese conflitto di interessi. Questi commenti hanno innescato una serie di riflessioni in uno scambio di email private nell’ambito di un gruppo di ricercatori, clinici e direttori di riviste scientifiche. Riflessioni talmente interessanti da meritare di essere almeno in parte rese pubbliche, omettendo però la paternità dei commenti trattandosi di un contesto riservato.

“Stiamo perdendo la guerra contro i conflitti di interesse. Punto. Con poche eccezioni, le riviste sono condizionate come mai prima d’ora. Gli universitari iniziano ad essere influenzati ad un’età sempre più giovane e tutti i capi che ho avuto fino ad oggi lo erano. Ho 37 anni e vorrei vincere questa guerra prima di averne 67. Per questo provo un senso di urgenza”. È un giovane oncologo e ricercatore che scrive e continua dicendo che il 99% dei congressi di medicina è sponsorizzato dalle industrie, a iniziare dai grandi eventi come quello dell’American Society of Clinical Oncology. Ma lui, proprio lui, sarà tra i relatori del congresso della NY Academy: magari si porterà con sé la merenda e l’acqua minerale per poter dire “No, grazie” di fronte al buffet pagato col denaro dell’industria. Ma, conclude, è fondamentale che la voce di chi non apprezza queste forme di partnership tra pubblico e privato si faccia ascoltare ovunque. Anche a casa del “nemico”.

“Lascia stare il paragone con la guerra e le battaglie”, gli risponde un epidemiologo che ha quasi il doppio degli anni. Quanto a condizionamenti, non c’è molto differenza tra le distorsioni indotte dall’industria e quelle innescate dalle istituzioni pubbliche. “Sono ugualmente corrotte. Ma il privato ha un obiettivo più chiaro”. Altra risposta: “Se intendi la corruzione come condotta immorale, non dovresti davvero sfuggire alla conclusione che, essendo dipendente dal denaro delle imprese in così tanti aspetti, la medicina è corrotta fino all’osso. Se, tuttavia, definisci la corruzione come condotta non etica (cattiva condotta), vale a dire qualsiasi azione commessa consapevolmente in violazione dell’etica della medicina, allora ti renderai conto che il ‘finanziamento farmaceutico di una conferenza’ non è corruzione. Ancora più importante, ti renderai anche conto che la maggioranza e le peggiori di tutte le azioni ostili al paziente e al medico avvengono piuttosto nel pieno rispetto dell’etica, sotto il suo controllo e sotto la sua egida. Costituiscono un problema molto più comune e pericoloso. Lo dico perché alcuni di voi credono che liberare la medicina dalla cattiva condotta la renderebbe di per sé morale, mentre altri credono che rendere la medicina morale da sola la libererebbe da cattiva condotta. Entrambe le convinzioni sono ugualmente assurde. “Dopo altri messaggi ne giunge uno che sposta l’attenzione dal piano individuale a quello più politico: “Gli individui che agiscono da soli raramente possono innescare il cambiamento. Qui, il problema è il potere. I produttori farmaceutici e di dispositivi lo hanno, e noi no. Le nostre voci non saranno mai rumorose quanto le loro fintanto che stiamo tutti ciacolando come individui – specialmente quando stiamo litigando tra noi via email. Se vogliamo avere un impatto, dobbiamo muoverci collettivamente”. Mentre si discute se scrivere una lettera ad una rivista, arriva un altro messaggio: “Sbuffare per la purezza è fumo negli occhi. Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato nell’invitare l’industria a partecipare a una riunione, ma deve trattarsi di una riunione non finanziata dall’industria”. Iniziamo dunque a boicottare il congresso dell’ASCO, ripete il giovane oncologo che ha innescato la discussione: “Ormai ci vado da 9 anni e non ho mai ascoltato un singolo oratore totalmente onesto. Anche i relatori più critici sono timidi. Le sessioni educazionali sono solo propaganda”. Risposta da un nuovo interlocutore: “Penso che dovresti continuare ad andare – ciò che non viene detto è che questa è la ‘tua tribù’. Si socializza con vecchi e nuovi amici e colleghi, e l’integrazione culturale continua. Continui ad avere gli stessi pazienti anche se li avvicini in modo diverso. Siamo animali sociali e ne abbiamo bisogno, anche quando siamo una voce solitaria”. Dal possibile conflitto di interessi all’utilità di partecipare a congressi scientifici, lo sguardo si allarga motivando altri interventi: “A rischio di mettere a disagio alcune persone presenti in questa lista di discussione, penso che volare verso *qualsiasi* convegno sia molto più non etico di qualsiasi finanziamento possa arrivare a quella stessa conferenza. L’inquinamento ucciderà molte più persone di quanto possa fare qualsiasi azienda farmaceutica e sulla maggior parte degli accademici grava un impatto ecologico stellare”.

Continuano i commenti mentre si apre un altro fronte grazie agli interventi di giornalisti scientifici che hanno lavorato per decenni nelle redazioni più prestigiose del mondo. Volano gli stracci, insomma. Fino a quando, in una email che c’è da scommettere non sarà comunque l’ultima, viene detta la solita verità: “Do not tell my mother in law I’m a healthcare professional… she believes I’m a used car salesman”.