Le scelte al tempo di CoViD-19

Dagmar Rinnenburger1

1Unità Operativa di Terapia Subintensiva Respiratoria, AO San Camillo-Forlanini, Roma.

Pervenuto su invito il 20 marzo 2020.

Riassunto. In questi tempi di risorse insufficienti per tutti non ci può essere shared decision-making, cioè un piano condiviso delle cure. Senza tentare di indurre subdolamente il paziente a credere che sia la decisione migliore per lui. In caso di CoViD-19 dobbiamo affidarci ai professionisti: non è il momento del piano anticipato delle cure, dell’autodeterminazione. Certo, possiamo sempre dire di no; ma speriamo che al più presto potremo riprenderci tutte le libertà di un terreno appena conquistato: quello delle scelte di fine vita, dopo un processo di condivisione con i curanti. Ma in questo momento così difficile qualcuno può sentire anche un sollievo – quello delle vecchie scelte paternaliste – che qualcun altro decida per noi.

The choices in CoViD-19’s time.

Summary. In these times of insufficient resources for all there can be no shared decision-making, that is, a shared plan of care. Without attempting to subtly induce the patient to believe that it is the best decision for him. In the case of CoViD-19, we must rely on professionals: it is not the time for the anticipated treatment plan, for self-determination. Of course, we can always say “no”; but we hope that as soon as possible we will be able to take back all the freedoms that has just been conquered: that of end-of-life choices, after a process of sharing with the carers. But in this difficult moment someone can also feel a relief – that of the old paternalistic choices – that someone else decides for us.



Il post di Matt Morgan sul BMJ è una novità: non si rivolge ai colleghi per condividere i criteri con cui fare le scelte che in queste ore tragiche si impongono in medicina, ma parla direttamente al paziente1. Inizia con un tono colloquiale, chiedendo alle persone fragili, vulnerabili e con malattie sottostanti se sono spaventati quando sentono che il virus colpisce soprattutto queste categorie: “E se questa persona fosse Lei?”, è la domanda diretta.

A questo punto illustra quello che farebbe lui, come medico, nel prendersi cura di loro: somministrerebbe liquidi e ossigeno, nonché farmaci se servono; quello che può funzionare e che potrebbe contribuire a ripristinare lo stato di salute preesistente, mentre rinuncerebbe a mettere in atto interventi che non potrebbero dare benefici. In altre parole, si asterrebbe dal fare qualsiasi cosa che non potesse ricondurli a essere la persona che erano in precedenza. Quindi: liquidi, ossigeno, qualche antibiotico, cure palliative; ma niente tubi, niente ventilazione, niente rianimazione cardiopolmonare (“non andremo a premere sul suo torace”). Come giustificazione adduce che proprio questo dovrebbe essere il compito della medicina: “riparare” (in inglese: “to fix”) il malato. Quando questa riparazione non è possibile, il medico è chiamato a desistere.

Rimango sorpresa da una riflessione che somiglia a una sottile manipolazione. Mi sembra una forma di nudging, ovvero una “spinta gentile” verso un atteggiamento di rinuncia, perché comunque prevede che il malato debba rendersi conto che non può tornare come prima.

Metto a confronto l’atteggiamento evidenziato nell’ultimo documento della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), rivolto ai colleghi anestesisti e rianimatori, che sono chiamati a decidere se avviare o no a trattamenti intensivi i malati che ne hanno comunque bisogno per sopravvivere: «È uno scenario in cui potrebbero essere necessari criteri di accesso alle cure intensive (e di dimissione) non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate. Uno scenario di questo genere è sostanzialmente assimilabile all’ambito della “medicina delle catastrofi”, per la quale la riflessione etica ha elaborato nel tempo molte concrete indicazioni per i medici e gli infermieri impegnati in scelte difficili. Come estensione del principio di proporzionalità delle cure, l’allocazione in un contesto di grave carenza (shortage) delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la “maggior speranza di vita”. Il bisogno di cure intensive deve pertanto essere integrato con altri elementi di “idoneità clinica” alle cure intensive, comprendendo quindi: il tipo e la gravità della malattia, la presenza di comorbilità, la compromissione di altri organi e apparati e la loro reversibilità. Questo comporta di non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive di tipo “first come, first served”»2.

Anche se quello che afferma il rianimatore inglese infine risulta molto simile, la motivazione che porta a questo atteggiamento è diversa. Nell’uno come nell’altro caso si tratta di una decisione presa sul paziente, non con il paziente. Il motivo è che la scarsità delle risorse non permette di assumere come criterio la volontà della persona in trattamento. Tuttavia nel documento italiano siamo di fronte a una scelta presa collegialmente dai professionisti, perché in questi tempi di risorse insufficienti per tutti non ci può essere shared decision-making, cioè un piano condiviso delle cure. Senza tentare di indurre subdolamente il paziente a credere che sia la decisione migliore per lui.

È la medicina dell’emergenza, delle catastrofi; come previsto da Bill Gates nel suo visionario video del 2015, “non moriremo per una guerra ma per un virus”: era la sua profezia. Ci stiamo preparando in ritardo. Abbiamo sorriso un po’ dei cinesi che creano ospedali in dieci giorni: adesso facciamo la stessa cosa. Possiamo solo imparare, per dare più possibilità a più persone e ridurre il più possibile le raccomandazioni da seguire in scenari di emergenza. Ma le raccomandazioni servono anche a sollevare gli operatori, aiutandoli a prendere le decisioni insieme e a comunicare con i familiari. È difficilissimo parlarne con i familiari ed è arduo affrontare l’opinione pubblica, ma il silenzio peggiora la situazione e le angosce, come dice l’articolo del NEJM3: trasparenza e condivisione, mobilitando tutte le risorse possibili nell’emergenza, è l’unica strada.

Non mi sembra appropriato ammantare queste decisioni drammatiche con una veste di benevolenza, come se si trattasse di scegliere la cosa migliore per il paziente, facendo solo quello che gli permette di tornare come prima. Né si tratta di indurre il malato a prendere decisioni di benevolenza sociale, come se dovesse cedere con gentilezza il tubo e il posto in rianimazione, dal momento che lui in ogni caso non tornerebbe come prima. In questi tempi si assiste anche a dichiarazioni di un capo di stato, Boris Johnson, che ha consigliato agli anziani di rimanere a casa per tre mesi per proteggere il National Health Service. Loro a proteggere la sanità, non il contrario.

In caso di CoViD-19 dobbiamo affidarci ai professionisti: non è il momento del piano anticipato delle cure, dell’autodeterminazione. Certo, possiamo sempre dire di no; ma speriamo che al più presto potremo riprenderci tutte le libertà di un terreno appena conquistato: quello delle scelte di fine vita, dopo un processo di condivisione con i curanti. Ma in questo momento così difficile qualcuno può sentire anche un sollievo – quello delle vecchie scelte paternaliste – che qualcun altro decida per noi.

È ora di ascoltare qualcosa di esplicito da parte dei politici. Dobbiamo avere strategie nazionali: tamponare tutti i contatti dei positivi, anche i non sintomatici. Tamponare, tamponare e isolare, come ha fatto la Cina, come sta facendo la Corea. Come in tutte le grandi epidemie, la battaglia si deve trasferire sul territorio: non può essere vinta in ospedale. Non vorremmo sentire le voci dei rianimatori disperati. Facciamo tutto il possibile, ma non c’è tutto per tutti e dobbiamo scegliere.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Morgan M. A letter from the ICU. BMJ Opinion 2020; 12 marzo.

2. Riccioni L, Bertolini G, Giannini G, et al.; Gruppo di lavoro SIAARTI. Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili. Recenti Prog Med 2020; 111: 207-11.

3. Rosenbaum L. Facing Covid-19 in Italy. Ethics, logistics, and therapeutics on the epidemic’s front line. NEJM 2020; 18 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/2xqchYO (ultimo accesso 25 marzo 2020).