Pandemie post-normali.
Perché CoViD-19 richiede un nuovo approccio alla scienza
*

David Waltner-Toews1, Annibale Biggeri2, Bruna De Marchi3, Silvio Funtowicz3,
Mario Giampietro4,5, Martin O’Connor6,7, Jerome R. Ravetz8, Andrea Saltelli3,9,
Jeroen P. van der Sluijs3,10

1University of Guelph (Canada); 2Università di Firenze (Italia); 3Universitetet i Bergen (Norvegia); 4Universitat Autònoma de Barcelona (Spagna); 5Institució Catalana de Recerca i Estudis Avançats (ICREA), Barcelona (Spagna); 6L’Association ePLANETe Blue (Francia); 7Université de Paris Saclay (Francia); 8University of Oxford (Regno Unito); 9Universitat Oberta de Catalunya (Spagna); 10Universiteit Utrecht (Paesi Bassi).

Pervenuto su invito il 2 aprile 2020.

Riassunto. Nell’affrontare le pandemie, la scienza non è mai apparsa più necessaria e utile, anche se al contempo limitata e impotente. L’attuale patto tra scienza e società sta cadendo a pezzi. È necessaria urgentemente una nuova alleanza per affrontare i giorni a venire.

Post-Normal Pandemics: why CoViD-19 requires a new approach to science.

Summary. In addressing pandemics, science has never seemed more needed and useful, while at the same time limited and powerless. The existing contract between science and society is falling apart. A new covenant is urgently needed to navigate the days ahead.



Il 19 maggio 1986 The Guardian pubblicò un saggio intitolato “Disasters bring the technological wizards to heel: Chernobyl, Challenger, and the Ch-Ch Syndrome”1. Gli autori, due dei quali firmano ora questo articolo, scrivevano allora che «non è più possibile per le élite al potere servirsi degli esperti per convincere il pubblico che le loro politiche sono vantaggiose, corrette, inevitabili e sicure. La sindrome Ch-Ch costituisce un colpo mortale per le basi scientiste su cui si fonda la legittimazione del mega-tecnologico Stato moderno. Un nuovo contratto sociale per l’expertise sta prendendo forma».

Qualche anno dopo, nel 1990, Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz pubblicarono un influente articolo su quella che divenne nota come “Scienza post-normale” (Post-Normal Science - PNS), una nuova concettualizzazione della scienza per situazioni in cui «i fatti sono incerti, le poste in gioco elevate, i valori in conflitto e le decisioni urgenti»2. La prospettiva della PNS – che non è né libera da valori né eticamente neutrale – è epistemologica e allo stesso tempo pratica e metodologica.

Dopo l’encefalopatia spongiforme bovina (la cosiddetta “mucca pazza”), l’afta epizootica, la SARS, l’H1N1 e una serie di altri simili disastri che sembravano rappresentare precisamente il tipo di situazioni per cui la PNS era stata concepita, e dopo infuocati dibattiti in conferenze accademiche e prestigiose riviste scientifiche, dov’è quel colpo mortale? Nel mezzo della pandemia di CoViD-19, dov’è quel nuovo contratto sociale?

Il “colpo mortale” sembra essere stato seguito da una lenta agonia, ma non ancora dal decesso. Nonostante la storica mobilitazione della ricerca, la nostra conoscenza in aree cruciali è ancora sommersa dall’ignoranza, in particolare sulle origini del virus, ma anche sulla sua diffusione e sugli esiti futuri.

Le competenze impiegate nella consulenza per le policy relative al CoViD-19 si basano, nella migliore delle ipotesi, su congetture sul virus stesso e sulla possibilità di prevedere e orientare i comportamenti delle persone. Divergenze inconciliabili nelle prospettive espresse da esperti accreditati con riguardo all’utilità, ai limiti e ai pericoli di tali congetture (si veda per esempio Ioannidis3, Crane4, Taleb e Bar-Yam5) alimentano la sensazione di improvvisazione e cacofonia nella gente.

Le incognite conosciute (known unknowns) includono, al momento in cui scriviamo, aspetti chiave di tipo epidemiologico e sociale quali: la reale diffusione del virus nella popolazione, il ruolo dei casi asintomatici nella sua rapida diffusione, la velocità di immunizzazione nella nostra specie, le modalità principali di esposizione, il comportamento stagionale della malattia, il tempo necessario per trovare e diffondere globalmente un efficace vaccino e/o cura. Inoltre, e forse soprattutto, le risposte non lineari (potenzialmente caotiche) di singoli individui, gruppi e comunità allo stress e alla confusione collegati alle regole di distanziamento sociale (meglio detto “fisico”), il sovraccarico degli ospedali e dei servizi socio-sanitari, l’improvvisa e rapida riduzione, chiusura o scomparsa di certi tipi di attività e occupazioni…

Formalmente, potremmo parlare di instabilità nel complesso sistema di comunità interconnesse su molteplici scale, con molti potenziali punti di discontinuità e cicli di isteresi, con l’implicazione che le società potrebbero non essere in grado di ritornare a qualcosa di simile allo stato precedente la pandemia. Queste profonde incertezze rendono qualunque previsione quantitativa azzardata e inaffidabile. Conseguentemente, testimoni capaci di riflettere delineano scenari profondamente contrastanti per un plausibile futuro dell’umanità6.

Non c’è una risposta solo numerica

Vediamo qui un pattern ben noto ai membri della comunità PNS. Le previsioni che presumibilmente hanno spinto gli Stati Uniti e il Regno Unito ad agire7 sono il risultato di modelli matematici che producono numeri nitidi, anche se questi sono stati ottenuti solo a costo di comprimere artificialmente8 le connesse incertezze. Di più, anche indipendentemente dai modelli, «non esiste una risposta numerica alla sua domanda»9, esplode un esperto sfidando il politico che cerca di ottenere a tutti i costi una tale risposta.

Eppure l’esempio di Taiwan10 mostra che il modello post-normale dell’uso della scienza nella società, in cui fiducia, partecipazione e trasparenza sono attentamente coltivate anche a fronte di profonde incertezze, può effettivamente mantenere le sue promesse.

La possibilità di un collasso economico associato a una disaggregazione sociale è assai reale, ed è ora (fine marzo 2020) oggetto di commenti quotidiani in tutte le arene comunicative. E in effetti, sembra che siamo lontani da società in grado di garantire una previsione e un controllo assoluti su qualsiasi tipo di perturbazione che possa verificarsi in futuro. Se ammettiamo ciò, sarebbe probabilmente molto più efficace indirizzare le risorse delle nostre società verso la ricerca della resilienza, piuttosto che su una strategia di previsione e controllo.

Ovunque, stiamo assistendo a una rottura11 del consenso epistemico necessario per far “funzionare” la Scienza Normale. Questo sta accadendo non solo nei settori dove potremmo aspettarcelo – psicologia comportamentale, sociologia ed etica – ma anche in virologia, genetica ed epidemiologia. In altre parole, quando “scienziati applicati” e “consulenti professionali” non si trovano più nelle loro zone di comfort ma in un contesto “post-normale”, l’idea di qualità in relazione allo scopo cambia significato. Oggi, anche in discipline consolidate i contrasti non possono essere tenuti nascosti al vasto pubblico (o mascherati da un apparente consenso). Di fatto, dissenso e controversie abbondano attorno alla domanda: le attuali misure draconiane sono giustificate12 o no13?

Più dati (anche “dati affidabili”) e migliori modelli predittivi non possono risolvere la “distribuzione del sacrificio” che comporta, tra l’altro, la soluzione di conflitti e dilemmi che compaiono a ogni livello14. Nascondersi dietro una nozione generale di scienza, o dietro la “mancanza di dati” – come se i dati avessero il potere di risolvere questi dilemmi – è inefficace, debole e confuso.

Diverse prospettive possono aiutare?

La Scienza Normale ha dimostrato un grande potere nell’identificazione delle caratteristiche e della struttura del virus, dei recettori virali e dei meccanismi patogeni, tutte conoscenze essenziali per le capacità diagnostiche e le scelte terapeutiche. Tuttavia la Scienza Normale non offre alcuna guida per rispondere a domande fondamentali di interesse collettivo15 quali la definizione di priorità quando, per esempio, respiratori e letti ospedalieri raggiungono la saturazione o le decisioni su come riorganizzare le strutture istituzionali.

La progettazione della risposta, con il bilanciamento di costi e benefici incommensurabili, coinvolgerà una diversità di legittime prospettive, interessi e valutazioni; c’è bisogno di una leadership politica per scegliere tra le diverse opzioni. Gli effetti a catena fra i molteplici livelli di policy e consapevolezza possono benissimo diventare molto più gravi dei pericoli iniziali. In che modo le tensioni sociali già esistenti, come quelle fra élite e movimenti anti-sistema saranno filtrate attraverso questa crisi?

Il nuovo contratto sociale che sta emergendo richiede che smettiamo di lamentarci del fatto che la Scienza Normale non è in grado di fare cose per le quali non è stata creata (dirci che cosa dobbiamo fare), e rifocalizziamo invece le nostre attività per adattarci alla nuova realtà. Che succederebbe se ammettessimo, sulla base di ciò che stiamo vivendo, che non siamo, né siamo mai stati, in controllo? Saremmo perennemente condannati a continuare a fare ciò che abbiamo sempre fatto, fino a che non saremo costretti a fare qualcosa di diverso a causa di un collasso?

In risposta a questo enigma, la PNS suggerisce di considerare una nuova oggettività, ottenuta (oseremmo dire costruita) tenendo conto di narrazioni e punti di vista diversi. La diagnosi della PNS richiede più, non meno democrazia deliberativa. Richiede a tutti quelli coinvolti in una situazione di crisi di mobilitarsi e impegnarsi in una «comunità allargata di pari»16, in grado di promuovere azioni individuali e collettive per un apprendimento di nuove conoscenze e pratiche sociali. Ciò in alternativa all’attuale strategia di ottimizzazione tecnocratica della vita dei cittadini senza potere, caricaturalmente rappresentata nella realtà virtuale di modelli costruiti sugli input di un ristretto campo di competenze scientifiche istituzionalmente privilegiate.

In condizioni post-normali, la base di conoscenze dovrebbe essere plurale e diversificata e includere la più ampia gamma possibile di competenze, intuizioni ed esperienze potenzialmente utilizzabili. Non solo non si deve pretendere che la scienza parli con una sola voce. Si deve anche far ricorso a fonti diverse di “saggezza”. «La robustezza è ricercata qui principalmente nella strategia di policy e non nell’evidenza fattuale: quali policy sono utili indipendentemente da quale fra le divergenti interpretazioni scientifiche dell’evidenza fattuale sia corretta»17.

Un’illustrazione di questo approccio nel contesto della presente discussione si presentò quando il Consiglio d’Europa contestò le evidenze e la policy dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in relazione all’influenza H1N1 e – secondo alcuni ricercatori18 lo fece usando un’analisi ispirata alla PNS. Le politiche dell’OMS furono in seguito ritenute sconsiderate e forse impropriamente influenzate da interessi industriali.

Come si presenta un approccio
di PNS

L’inevitabilità di incidenti ed epidemie è una “conoscenza scomoda”. Affrontarla è tanto un atto morale quanto una decisione politica. Con una lente PNS, possiamo immaginare delle strategie basate su un monitoraggio e un’anticipazione accurati, prodotti da una combinazione di interpretazioni non equivalenti della nostra interazione con la natura. Un tale approccio non può essere prodotto solamente dall’intelligenza artificiale, da algoritmi e modelli, né gli aspetti distopici19 da essi generati possono essere riscattati dai risultati della risposta cinese a CoViD-19. Dobbiamo perseguire un’adattabilità basata sull’attenzione ai “segnali deboli”, preservando la diversità e la flessibilità negli interventi gestionali.

Finora la scienza è stata utilizzata per migliorare la qualità della vita di alcuni gruppi sociali e di alcuni Paesi, dar loro un vantaggio sui concorrenti e inoltre per sostituire la religione come fonte di legittimazione del potere. Ora è diventato evidente che specifici gruppi sociali che hanno finora goduto di privilegi e vantaggi interverranno con ogni arma politica ed economica disponibile per riprendere il controllo e dirigere la narrazione20.

Tuttavia, questa pandemia offre alla società un’occasione per aprire una nuova discussione sull’opportunità di imparare come fare scienza in modo diverso. Scienziati e cittadini consapevoli e impegnati non possono permettere che questa opportunità passi.

Per la PNS, il mondo intero diventa una “estesa comunità di pari”, poiché il comportamento e gli atteggiamenti appropriati di individui e masse diventano cruciali per una risposta efficace al virus. La strategia decisionale tecnocratica basata su numeri e modelli non è più esclusiva né previlegiata, ma viene affiancata da una estensione della “comunità di pari” in cui tutti hanno voce in capitolo, dagli esperti di varie discipline scientifiche, a chiunque possa contribuire con conoscenze, risorse, esperienze, rispetto, umiltà e buon senso.

Bibliografia

1. Ravetz J, Macgill S, Funtowicz S. Disasters bring the technological wizards to heel: Chernobyl, Challenger, and the Ch-Ch Syndrome. Guardian 1986; 18 maggio. Disponibile su: https://bit.ly/2xaE1RF (ultimo accesso 6 aprile 2020).

2. Funtowicz S, Ravetz J. Post-normal science: a new science for new times. Scientific European 1990; October: 20-2. Disponibile su: https://bit.ly/2ywgWZQ (ultimo accesso 6 aprile 2020).

3. Ioannidis JPA. A fiasco in the making? As the coronavirus pandemic takes hold, we are making decisions without reliable data. Stat 2020; 17 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/2ULuM39 (ultimo accesso 6 aprile 2020).

4. Crane H. A fiasco in the making: more data is not the answer to the coronavirus pandemic. Researchers One 2020. Disponibile su: https://bit.ly/2UPJTJb (ultimo accesso 6 aprile 2020).

5. Taleb IN, Bar-Yam Y. The UK’s coronavirus policy may sound scientific. It isn’t. The Guardian 2020; 25 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/3bWGi1z (ultimo accesso 6 aprile 2020).

6. Inayatullah S, Black P. Neither a black swan nor a zombie apocalypse: the futures of a world with the Covid-19 Coronavirus. J Future Studies 2020; 16 marzo. https://bit.ly/2JK7gxe (ultimo accesso 6 aprile 2020).

7. Landler M, Castle S. Behind the virus report that jarred the U.S. and the U.K. to action. The New York Times 2020; 2 aprile. Disponibile su: https://nyti.ms/2RcXGHd (ultimo accesso 6 aprile 2020).

8. Ferguson N, Cummings D, Fraser C, et al. Strategies for mitigating an influenza pandemic. Nature 2006; 442: 448-52.

10. Leonard A. Taiwan is beating the coronavirus. Can the US do the same? Wired 2020; 16 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/2yFhXPx (ultimo accesso 6 aprile 2020).

11. Ravetz J. How should we treat science’s growing pains? Guardian 2016; 8 giugno. Disponibile su: https://bit.ly/3aPdS9p (ultimo accesso 6 aprile 2020).

12. Tondo L. Scientists say mass tests in Italian town have halted Covid-19 there. Guardian 2020; 18 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/2ULYKEf (ultimo accesso 6 aprile 2020).

13. Wallenberg J. Coronavirus ‘medicine’ could trigger social breakdown – Swedish industrialist. Irish Times 2020; 26 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/3bX7ehK (ultimo accesso 6 aprile 2020).

14. Dubet F. Coronavirus: «Le confinement accroît la violence des “petites inégalités”». Le Monde 2020; 25 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/2xVTNQ9 (ultimo accesso 6 aprile 2020).

15. Stirling A. Modernity without its clothes: the pandemic crisis shines a light on futilities of control. ERSC STEPS (Social, Technological and Environmental Pathways to Sustainability) Centre, April 7, 2020. Disponibile su: https://bit.ly/2V7Ugqy (ultimo accesso 7 aprile 2020).

17. Van der Sluijs JP. Uncertainty and dissent in climate risk assessment: a post-normal perspective. Nature and Culture 2012; 7.2: 174-95.

18. Abeysinghe S. Contesting a pandemic: The WHO and the Council of Europe. Science as Culture 2017; 26: 161-84.

19. Saltelli A. Ethics of quantification or quantification of ethics? Futures 2020; 116: 102509.

20. Solis M. Coronavirus is the perfect disaster for ‘disaster capitalism’. Vice 2020; 13 marzo. Disponibile su: https://bit.ly/3bVh0AL (ultimo accesso 6 aprile 2020).