Engagement del paziente, crescita della consapevolezza
e miglioramento dell’assistenza

Guendalina Graffigna1

1EngageMindsHUB – Consumer, Food & Health Engagement Research Center, Università Cattolica, Milano-Cremona.

Riassunto. La ricerca sull’engagement del cittadino in ambito di salute si sta ampliando e arricchendo di contributi che provengono da molte discipline diverse. Iniziamo a disporre anche di studi quantitativi, addirittura di studi randomizzati che iniziano a dimostrare che se viene misurato il parametro dell’engagement del paziente si iniziano a vedere realmente degli effetti, sia in termini di miglioramento dell’aderenza terapeutica, sia in termini di aumento dei comportamenti preventivi. Oltre naturalmente al miglioramento di quei parametri più soggettivi, legati alla qualità di vita percepita, ma anche alla soddisfazione rispetto al percorso di cura. L’engagement del paziente può inoltre avere un impatto positivo dal punto di vista della spesa sanitaria. Un campo di ricerca molto intrigante riguarda le ragioni per cui certi comportamenti non vengono attivati, oppure vengono attivati in una certa direzione e non in un’altra. A questo proposito, occorre considerare che i pazienti possono essere più o meno disponibili, da un punto di vista motivazionale e psicologico, a essere coinvolti. Questa scelta deve essere rispettata. Infatti, anche la dimensione soggettiva del perché, del se, del come e del quando il paziente sia disponibile a farsi coinvolgere nelle iniziative di engagement che proponiamo dovrebbe essere tenuta in conto e in qualche modo sistematizzata.

Patient engagement, raising awareness and improving care.

Summary. Research on citizen and patient health engagement is growing and enriching with contributions from many different disciplines. Quantitative studies, even randomized studies, are demonstrating that, if the parameter of patient engagement is measured, we really start to see effects, both in terms of improving therapeutic adherence, and in terms of increasing preventive behaviors. Improvement of subjective parameters, linked to the perceived quality of life, is measured. Patient engagement can also have a positive impact from the point of view of health expenditure. A very intriguing field of research concerns the reasons why certain behaviors are not activated, or are activated in a certain direction and not in another: it must be taken into consideration that patients may be more or less willing, from a motivational and psychological point of view, to be involved and this choice must be respected. In fact, the subjective dimension of why, if, how and when the patient is available to get involved in the engagement initiatives should be taken into account and in some way systematized.

In letteratura il dibattito internazionale sull’engagement del paziente si sta non soltanto arricchendo, ma addirittura ampliando. Ci troviamo a ragionare con colleghi in tavoli di lavoro che hanno finalità molto diverse, ma che ugualmente si interrogano su come possa essere possibile coinvolgere i pazienti in modo veramente significativo, sia per le persone stesse, sia per l’innovazione dell’assistenza. Questo sia in termini di innovazione tecnologica sia sul piano delle politiche sanitarie, che sempre di più hanno necessità di ricevere input costanti da parte dei pazienti. Per non parlare poi di quella che è la cura cronica e quindi il coinvolgimento del paziente come attore primario nella gestione della sua salute nella quotidianità, nelle fasi assistenziali e, perché no, anche nelle attività di prevenzione: primaria, secondaria e in generale nelle loro condotte di salute.

Il lavoro del mio gruppo di ricerca prova a leggere quelle che sono le dimensioni individuali, soggettive, emotive e motivazionali che in qualche modo entrano in gioco nel coinvolgimento del paziente. La domanda che sorge è: come ottenere nella ricerca una rappresentatività ampia, di tutte le condizioni di salute? Non mi riferisco soltanto al punto di vista biologico, quindi il famoso “disease”, cioè quella che è la condizione fisica, ma anche a tutte le istanze soggettive e sociali che devono poter essere ascoltate. L’obiettivo è quello di mappare, clusterizzare, studiare l’evoluzione della predisposizione psicologica delle persone al coinvolgimento attivo. Le evidenze legate al valore clinico, organizzativo, addirittura economico dell’engagement del paziente stanno aumentando molto nel tempo. È una letteratura ancora un po’ fragile nella quale convivono concetti diversi, spesso cugini, talvolta forse sinonimi, sovente purtroppo utilizzati in modo sostitutivo, che poi accrescono la complessità nella definizione di percorsi reali, di coinvolgimento del paziente.

Abbiamo condotto nel 2017 una conferenza di consenso che ci aiutasse a definire cos’è il “patient engagement” e i confini concettuali con altri concetti chiave in letteratura1,2. Iniziano a esserci studi quantitativi, anche randomizzati, che dimostrano come la misurazione del parametro del patient engagement correli con outcome clinici positivi tra cui: miglioramento dell’aderenza terapeutica, aumento dei comportamenti preventivi, miglioramento di quei parametri più soggettivi legati alla qualità di vita e alla soddisfazione rispetto al percorso di cura. Addirittura vi sono prime evidenze riguardo all’impatto economico del patient engagement. Stiamo per pubblicare una meta-analisi riguardante l’impatto economico del coinvolgimento attivo dei pazienti cronici nel loro percorso di cura: è evidente come alti livelli di patient engagement corrispondano a minori costi diretti nel processo assistenziale. Si tratta di dati indiziari che suggeriscono la necessità da parte della comunità scientifica di avviare studi collaborativi, perché il patient engagement ci interroga a partire da discipline molto diverse. A oggi sono attivi studi sul patient engagement condotti nell’ambito della psicologia, della sociologia, delle scienze politiche, dell’economia sanitaria e ovviamente della medicina. Questo porta alla convivenza di metodologie e paradigmi scientifici diversi: aspetto arricchente ma anche confusivo. Diventa necessario generare piattaforme di dialogo scientifico di natura multidisciplinare al fine di mettere in connessione punti di vista diversi onde di evitare il rischio di un’eccessiva frammentazione.

La crescita esponenziale della letteratura scientifica indicizzata con l’espressione “patient engagement” è evidente anche escludendo dalla ricerca le espressioni che in buona misura si sovrappongono a questo concetto (figura 1)3.

Mi piace sottolineare che si tratta di una letteratura in crescita vertiginosa che data sostanzialmente una decina d’anni. È una bella notizia perché conferma le potenzialità scientifiche del concetto di “patient engagement”; ma allo stesso tempo questo dato potrebbe essere letto come notizia meno buona e cioè come indicatore del fatto che le evidenze che abbiamo a oggi sono ancora poco coerenti, frammentarie e non ancora consolidate. Inoltre, in una visione pessimista questo trend della letteratura scientifica potrebbe far pensare all’ennesima “moda” nella ricerca sanitaria.




Sta dunque a noi impegnarci per fare in modo che il patient engagement non sia una nuova etichetta “fashion” ma un reale impegno scientifico verso un cambiamento di paradigma in sanità.

Soggetti dei nostri studi non sono soltanto le persone con una diagnosi di cronicità, ma appunto tutte le fasi di prevenzione e addirittura la promozione del benessere; dal nostro punto di vista, l’engagement è un costrutto che può guidare una metodologia di intervento: su questo, come centro di ricerca EngageMinds HUB dell’Università Cattolica, stiamo lavorando molto. Tuttavia, la sensazione è che spesso nel dibattito scientifico sul patient engagement ci si limiti a osservare, misurare e studiare la punta di un iceberg, cioè ciò che è osservabile, quello che è il risultato raggiunto o non raggiunto, quello che è un comportamento attivato e non attivato. Un campo di ricerca molto intrigante riguarda il perché certi comportamenti di engagement del paziente non vengano attivati, oppure vengono attivati in una certa direzione e non in un’altra. In sanità sappiamo bene, a partire dalla lezione della medicina centrata sul paziente, che non è soltanto ciò che è direttamente osservabile da un punto di vista biomedico a dover essere trattato, considerato, studiato, ma che anche tutte le dimensioni soggettive legate alla malattia (la cosiddetta “illness”) e le relative dimensioni sociali (cioè “sickness”) devono essere considerate e trattate. Allo stesso modo tutte queste considerazioni contemporaneamente devono essere attivate quando ci interroghiamo sui processi di patient engagement. Si tratta di dimensioni un po’ più sottosoglia, che, se studiate, decriptate, analizzate o almeno prese in considerazione, possono aiutarci a capire come meglio orientare le nostre metodologie di promozione del patient engagement da una parte; dall’altra come possiamo meglio garantire una rappresentanza e una rappresentatività dei pazienti che coinvolgiamo nella ricerca e nei processi di partecipazione. Al di là dei metodi e dei setting, i pazienti possono essere più o meno disponibili, da un punto di vista motivazionale e psicologico, a essere coinvolti. È un elemento importante da considerare per gli aspetti metodologici ma è anche un elemento chiave di ordine etico, perché non dobbiamo correre il rischio di programmare il patient engagement sempre per tutti, a tutti i costi: dovrebbe rimanere un diritto delle persone, che si trovano in condizioni cliniche ma anche psicologiche emotive particolari, di dire “no, io adesso non ce la faccio a partecipare”. Ma il fatto che una persona non si senta di partecipare non vuol dire che debba essere tagliata fuori. Anche l’innovazione tecnologica, l’innovazione del servizio, dovrebbe tenere conto di questa condizione, e il sistema sanitario dovrebbe essere chiamato a rispondere in modo empatico e sensibile. Con i colleghi del Centro di Ricerca EngageMinds HUB dell’Università Cattolica abbiamo costruito un modello che ci permette di studiare l’evoluzione psicologica del percorso di engagement in termini di preparazione a essere coinvolti attivamente nei diversi setting (cioè dall’autogestione della cura, ma anche alla proposta di partecipare in progetti di co-design ed eco-construction per l’innovazione) (figura 2)4,5. Questo modello è stato costruito a partire da un approccio qualitativo-narrativo, raccogliendo molte narrazioni di pazienti in diverse aree di cronicità. All’analisi qualitativa è seguita una fase quantitativa di validazione e standardizzazione del modello in una scala psicometrica che permette di diagnosticare i livelli di engagement (la Patient Health Engagement Scale - PHE-s®). La scala è oggi adottata a livello internazionale sia nella ricerca sia nella pratica clinica. Alcune aziende sanitarie, per esempio l’Azienda ospedaliera territoriale riunita di Trieste, ha utilizzato questo modello e la scala conseguente per promuovere una reale innovazione organizzativa nella logica del patient engagement6. È stata fatta formazione a medici, infermieri, riabilitatori per utilizzare la scala nella valutazione del paziente al fine di tenere conto della dimensione psicologica del patient engagement nel processo di presa in carico. Questo parametro è riportato in cartella clinica e aiuta la progettazione e programmazione delle iniziative assistenziali.

In un altro studio pubblicato su PloS One qualche anno fa, relativo a diverse aree di cronicità – oncologia, area respiratoria, cardiovascolare e diabete – abbiamo dimostrato, con un modello di equazioni strutturali, come questa misura di engagement psicologico sia un importante mediatore di quello che viene chiamato “empowerment” del paziente e dell’aderenza terapeutica7. Quindi la nostra ipotesi scientifica è che questa dimensione psicologica (misurata con la PHE-Scale®) – che dipende da tantissimi elementi contestuali, in primis la relazione con un clinico che autonomizzi il paziente, che gli trasmetta fiducia nella sua capacità di essere “engaged” – possa essere un attivatore di un cambiamento comportamentale.




Abbiamo fatto uno studio analogo nell’ambito delle persone con diabete di tipo 2 per comprendere quale fosse il determinante della proattività dei pazienti nell’utilizzo di strumenti digitali per la loro salute8. In pratica la domanda di ricerca che ci siamo posti è: sono gli strumenti digitali che promuovono l’engagement del paziente o il paziente engaged utilizza di più e meglio gli strumenti digitali? Nel nostro studio abbiamo verificato la seconda ipotesi, cioè che questa dimensione di readiness to be engaged misurata con la PHE-s® risulta essere un predittore del grado di utilizzo delle tecnologie digitali per la promozione della literacy sanitaria e del self-management.

Un altro studio condotto intendeva verificare il rapporto tra la qualità della relazione tra medico/paziente e il livello di literacy, della qualità di vita e la soddisfazione nella relazione dei pazienti9. In questo studio abbiamo dimostrato, su un campione di mille pazienti cronici, che se il medico riesce a sintonizzarsi con la readiness to be engaged del paziente, quindi con il suo livello di patient engagement, aumenta l’impatto della relazione sull’aumento dell’aderenza terapeutica e della literacy dei pazienti: si tratta di un dato importante per orientare iniziative di formazione dei medici alla comunicazione con il paziente.

Infine, il progetto Engagement monitor, recentemente attivato dal Centro di Ricerca EngageMinds HUB con la collaborazione di 22 associazioni di pazienti sul territorio nazionale per monitorare i livelli di engagement di pazienti cronici italiani, ci permette di vedere come, a seconda dei livelli di engagement, migliorino una serie di parametri, tra cui anche per esempio i ricoveri nell’ultimo anno e anche i costi out-of-pocket sostenuti dal paziente.

Stiamo applicando questo modello anche alla prevenzione della CoViD-19. Questo elemento della psychological readiness to be engaged con analoghi risultati, a conferma che il concetto di patient engagement non riguarda soltanto il paziente cronico e la cronicità, potrebbe diventare un parametro per prevedere la capacità di rispondere a un’emergenza sanitaria anche in termini di comportamenti preventivi10-12.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Graffigna G, Barello S, Riva G, et al. Fertilizing a patient engagement ecosystem to innovate healthcare: toward the first Italian Consensus conference on patient engagement. Front Psychol 2017; 8: 812.

2. Graffigna G, Barello S, Riva G, et al. Recommandation for patient engagement promotion in care and cure for chronic conditions. Recenti Prog Med 2017; 108: 455-75.

3. Barello S, Graffigna G, Vegni E. Patient engagement as an emerging challenge for healthcare services: mapping the literature. Nursing Res Practice 2012; 2012: 905934.

4. Graffigna G, Barello S. Engagement: un nuovo modello di partecipazione in sanità. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2018.

5. Graffigna G, Barello S, Bonanomi A, Lozza E. Measuring patient engagement: development and psychometric properties of the Patient Health Engagement (PHE) Scale. Front Psychol 2015; 6: 274.

6. Graffigna G, Barello S, Bosio C, Olivari MG. From a patient-centered care model to an engagement ecosystem: the ASUGI model. AboutOpen 2020; 7: 24-6.

7. Graffigna G, Barello S, Bonanomi A. The role of Patient Health Engagement Model (PHE-model) in affecting patient activation and medication adherence: a structural equation model. PloS One 2017; 12: e0179865.

8. Graffigna G, Barello S, Bonanomi A, Menichetti J. The motivating function of healthcare professional in eHealth and mHealth interventions for type 2 diabetes patients and the mediating role of patient engagement. J Diabetes Res 2016; 2016: 2974521.

9. Barello S, Palamenghi L, Graffigna G. The mediating role of the patient health engagement model on the relationship between patient perceived autonomy supportive healthcare climate and health literacy skills. Intern J Environ Res Public Health 2020; 17: 1741.

10. Castellini G, Savarese M, Leone S, Previtali E, Armuzzi A, Graffigna G. Italian IBD patients coping with Covid-19 emergency: the mitigating role of psychological readiness to engage in self-care. Inflamm Bowel Dis 2020; 26: e130-1.

11. Graffigna G, Palamenghi L, Boccia S, Barello S. Relationship between citizens’ health engagement and intention to take the COVID-19 vaccine in Italy: a mediation analysis. Vaccines 2020; 8: 576.

12. Graffigna G, Barello S, Savarese M, et al. Measuring Italian citizens’ engagement in the first wave of the COVID-19 pandemic containment measures a cross-sectional study. PLoS One 2020; 15: e0238613.