Gli esiti riferiti dal paziente: strumento per il rispetto
dei diritti del malato e di coinvolgimento nella ricerca

Massimo Di Maio1

1Dipartimento di Oncologia, Università di Torino; SCDU Oncologia Medica, AO Ordine Mauriziano, Torino.

Riassunto. I patient-reported outcomes (PRO) sono un report diretto della condizione del paziente, senza il filtro, l’interpretazione e la modifica da parte degli operatori sanitari. Essi sono ormai considerati gold standard per la valutazione dei sintomi soggettivi, sia nella pratica clinica negli studi clinici. Pur essendo consapevoli della complessità dei PRO come endpoint, i risultati mostrati nel corso sia degli ultimi anni da vari studi clinici dell’impatto di questo strumento sulla qualità di vita dei pazienti supportano nell’incoraggiare un cambiamento culturale e gestionale da parte delle direzioni sanitarie sull’opportunità di far interagire la cartella clinica elettronica con gli strumenti in grado di raccogliere i PRO.

Outcomes reported by the patient: a tool for respecting the patient’s rights and for involvement in research.

Summary. A patient-reported outcome (PRO) is a direct report of a patient’s condition, not interpreted nor modified from a clinician. PROs are now considered the gold standard for the assessment of subjective symptoms, both in clinical practice and clinical trials. While being aware of the complexity of PROs as endpoints, the results shown over the last years by various clinical studies of the impact of this tool on the quality of life of patients, support us in encouraging a cultural and managerial change by health departments on the opportunity to allow interaction between the electronic instruments for PROs collection and the electronic medical records.

I patient-reported outcomes (PRO) sono un report diretto della condizione del paziente, senza il filtro, l’interpretazione e la modifica da parte degli operatori sanitari. Essi sono ormai considerati gold standard per la valutazione dei sintomi soggettivi, sia nella pratica clinica, sia a livello di sperimentazione clinica. Negli ultimi anni la Food and Drug Administration (FDA) e la European Medicines Agency (EMA) hanno sottolineato l’importanza dei PRO, anche nel processo di produzione dell’evidenza che porta all’approvazione di un trattamento per l’impiego nella pratica clinica. In ambito oncologico, quello dei PRO è un argomento delicato perché, specialmente nei pazienti con malattia avanzata, la qualità di vita è un aspetto multifattoriale e condizionato sia dai sintomi della malattia, e da quanto il trattamento riesce a controllare questi sintomi, sia dagli eventuali effetti tossici, e danni, del trattamento, in un equilibrio complesso, che ovviamente puntiamo a che sia favorevole per il paziente.

L’importanza dei PRO negli studi clinici

La qualità della vita come endpoint di valutazione di un trattamento sicuramente ci fornisce un’informazione cruciale sul valore della terapia. Come abbiamo già detto, le agenzie regolatorie hanno esplicitamente incoraggiato l’impiego dei PRO negli studi oncologici, ormai da vari anni, nell’ottica di un sempre maggiore peso nell’attribuzione del risultato ottenuto in termini di qualità di vita sul valore del trattamento. Siamo consapevoli della complessità dei PRO come endpoint, perché pongono molti problemi metodologici, a partire dalla scelta del questionario, dalla gestione inevitabile dei dati mancanti, dalla molteplicità degli item che ciascun questionario contiene alle possibili diverse modalità di analisi, alla scelta cruciale del timing di somministrazione dei questionari, alla definizione delle differenze clinicamente rilevanti, perché anche in questo caso, come per gli altri endpoint, pesa molto non soltanto la significatività statistica di un’eventuale differenza, ma anche la discussione sulla rilevanza clinica della differenza osservata. Si tratta quindi di un argomento di ricerca complesso, ma, pur nella sua complessità, andrebbe sempre incoraggiato nella conduzione delle sperimentazioni cliniche in ambito oncologico. Nonostante questo, spesso non è così: alla fine del 2018, abbiamo pubblicato una revisione sistematica1 degli studi randomizzati pubblicati in ambito oncologico tra il 2012 e il 2016, proprio allo scopo di descrivere l’inclusione della qualità di vita come endpoint nelle sperimentazioni, prendendo in considerazione un ampio numero di lavori (446) pubblicati su undici riviste, tutte con buona diffusione e buon impact factor, che riguardavano trasversalmente un numero molto eterogeneo di tipi diversi di tumore, essendo quelli più rappresentati mammella, polmone, colon-retto, prostata (tabella 1). Sull’intera serie di 446 pubblicazioni, la qualità di vita era endpoint primario soltanto in cinque studi, un risultato abbastanza atteso, dal momento che gli studi sono nella maggior parte dei casi disegnati e dimensionati su altri endpoint primari di efficacia. Ciò che sorprende, in maniera negativa, è invece il fatto che in quasi metà degli studi (47,1%) la qualità di vita non fosse compresa nel protocollo neanche come endpoint secondario o come endpoint esplorativo, quindi, in sostanza, era completamente trascurato (figura 1). Si potrebbe obiettare che questo risultato sia condizionato dal fatto che molti studi erano condotti nel setting di malattia iniziale, quindi trattamenti adiuvanti, dove magari si è disposti a sacrificare in maniera temporanea la qualità di vita per ottenere il beneficio del trattamento. Ma anche limitando l’analisi agli studi condotti nel setting avanzato e metastatico, quindi nel setting dove sicuramente servirebbe maggiore attenzione a quell’equilibrio delicato a cui accennavamo all’inizio dell’articolo, la percentuale è molto simile, perché nel 40,1% degli studi l’analisi della qualità di vita non era prevista nel protocollo. Non solo, anche quando la valutazione della qualità di vita era stata prevista dal protocollo, in una percentuale elevata delle rispettive pubblicazioni il dato non è stato riportato: quindi la diffusione del risultato è spesso trascurata o viene relegata a pubblicazioni secondarie, che frequentemente arrivano dopo mesi o anni da quella principale, pregiudicando la valutazione complessiva degli outcome che potremmo fare al momento della pubblicazione principale di uno studio. Concetto che ho sottolineato tempo fa su un editoriale del Lancet Oncology2: per una valutazione completa dei benefici e dei rischi sarebbe sicuramente opportuno che la qualità di vita venisse non soltanto inclusa come endpoint, ma anche comunicata al momento della pubblicazione principale del risultato, cosa peraltro sempre fattibile, dal momento che questi dati sono raccolti in tempo reale durante il trattamento, quindi, per definizione, sono disponibili e maturi al momento della pubblicazione principale. Non è un caso che l’American Society of Clinical Oncology (ASCO) e la European Society for Medical Oncology (ESMO) – le società scientifiche più importanti in ambito oncologico – abbiano inserito esplicitamente nelle scale di definizione del valore di un trattamento la valutazione del risultato in termini di qualità di vita tra i parametri da considerare.

L’importanza dei PRO nella pratica clinica

Nella pratica clinica, questi questionari e strumenti utili per la ricerca e per la valutazione di un trattamento sperimentale si rivelano importanti anche per una migliore comunicazione tra medici e pazienti e per una migliore gestione dei sintomi e delle tossicità. L’esempio più eclatante e con maggiore risonanza per la comunità oncologica è stato lo studio presentato dall’oncologo statunitense Ethan Basch al congresso ASCO del 20173, dove una serie di pazienti con tumori solidi candidati a chemioterapia venivano randomizzati alla gestione tradizionale, quindi alla gestione dei sintomi standard, oppure al braccio sperimentale, cioè alla raccolta tramite tablet di dodici sintomi da parte di pazienti con un remind settimanale via email per la compilazione dello strumento e per fornire eventualmente un alert agli infermieri e ai medici nel caso di sintomi in peggioramento. Obiettivo principale dello studio era il confronto tra i due bracci in termini di qualità di vita, un confronto che è stato vincente: a sei mesi nel braccio sperimentale c’era una percentuale significativamente più alta di pazienti con un miglioramento della qualità di vita rispetto al basale e una percentuale minore di pazienti con un peggioramento. Questo risultato non solo ha confermato l’ipotesi principale di Ethan Basch e dei suoi collaboratori, ma all’ASCO sono stati presentati alcuni dati (figura 2) molto interessanti che addirittura hanno suggerito un vantaggio in aspettativa di vita dei pazienti, un vantaggio che da molti è stato criticato come poco plausibile, come un riscontro quasi casuale.




Parliamo di una differenza di cinque mesi in aspettativa di vita mediana; se pensiamo a quanto la gestione tempestiva dei sintomi consentita da questo tipo da approccio, rispetto alle visite tradizionali, possa ripercuotersi positivamente in termini di mancate interruzioni del trattamento e quindi migliore aderenza al trattamento stesso, è plausibile che questo possa riflettersi in un miglioramento dell’outcome dei pazienti. Si tratta di un beneficio non trascurabile: se queste curve le avessimo viste in uno studio di efficacia di un farmaco sperimentale, avrebbero probabilmente portato all’approvazione del trattamento.

Negli ultimi anni, abbiamo provato a dedicarci a questo stesso tipo di analisi su una casistica dell’Ospedale Mauriziano a Torino, nell’ambito di un progetto supportato negli anni dalla Fondazione CRT e che mirava a descrivere l’introduzione nella pratica clinica dei PRO nella gestione dei pazienti del day-hospital in trattamento attivo per una patologia oncologica, descrivendo quindi l’impatto sulla qualità di vita. Abbiamo adottato uno strumento all’epoca non validato, nato dalla condivisione con il personale medico e infermieristico; si trattava di una lista di quattordici item corrispondenti ad altrettanti sintomi, che si è deciso di adottare sistematicamente per i pazienti in trattamento presso la nostra struttura (figura 3) all’inizio del 2018; ciò ha consentito di fare un confronto storico, in quanto per i pazienti precedenti – trattati nella seconda metà del 2017 – si era soltanto registrata la qualità di vita mediante il classico strumento dell’organizzazione europea per la ricerca e cura del cancro (EORTC QLQ-C30) somministrando due questionari a distanza di un mese. Nel 2018 invece è stato effettuato lo stesso confronto sull’EORTC con l’unica variabile rispetto al periodo precedente rappresentata appunto dall’aggiunta di questionari cartacei, somministrati dall’infermiere e poi condivisi con il medico durante la visita, allo scopo di monitorare appunto l’impatto sulla qualità di vita. Il confronto è stato effettuato su 211 pazienti, molto eterogenei come patologia, e il risultato principale è stato un miglioramento della Global Quality of Life misurata con l’EORTC (figura 4), in termini assoluti non clamoroso, ma comunque significativo. Soprattutto, per alcuni sintomi come il dolore è emerso un vantaggio netto nel gruppo del 2018 rispetto al precedente, che dimostra come la condivisione del questionario scritto aiuti effettivamente il medico nella gestione ottimale del sintomo4. Questo ha portato a un aumento significativo della percentuale di pazienti che hanno registrato un miglioramento della qualità di vita globale nel periodo considerato.










È ora di convincere tutte le direzioni sanitarie e i sistemi informativi degli ospedali sull’opportunità di far interagire con la cartella clinica elettronica nelle nostre strutture questi strumenti in grado di raccogliere i PRO. Magari da questo punto di vista l’emergenza CoViD-19, con la necessità di operare a distanza in telemedicina, potrebbe funzionare da catalizzatore di un cambiamento culturale a nostro avviso necessario5.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Marandino L, La Salvia A, Sonetto C, et al. Deficiencies in health-related quality-of-life assessment and reporting: a systematic review of oncology randomized phase III trials published between 2012 and 2016. Ann Oncol 2018; 29: 2288-95.

2. Di Maio M. Quality of life: an important element of treatment value. Lancet Oncol 2017; 18: 1557-8.

3. Basch E, Deal AM, Dueck AC, et al. Overall survival results of a trial assessing patient-reported outcomes for symptom monitoring during routine cancer treatment. JAMA 2017; 318: 197-8.

4. Baratelli C, Turco CGC, Lacidogna G, et al. The role of patient-reported outcomes in outpatients receiving active anti-cancer treatment: impact on patients’ quality of life. Support Care Cancer 2019; 27: 4697-704.

5. Marandino L, Necchi A, Aglietta M, Di Maio M. COVID-19 emergency and the need to speed up the adoption of electronic patient-reported outcomes in cancer clinical practice. JCO Oncol Pract 2020; 16: 295-8.