In questo numero

Al centro dell’attenzione dei clinici e dei ricercatori autori degli articoli di questo numero sono i pazienti oncologici, da quelli più gravi e sofferenti (vedi la revisione di letteratura sui tumori della testa e del collo a pag. 722) al paziente con carcinoma paratiroideo descritto dagli oncologi di Perugia (pag. 775). Diversi contributi affrontano il tema del coinvolgimento dei malati e dei cittadini nella cura: un percorso difficile, tortuoso e pieno di ostacoli che lo rallentano, ma la strada verso una maggiore partecipazione è ormai tracciata, anche grazie al lavoro di chi – come i clinici e ricercatori di Torino (pag. 740) – fa da anni ricerca di eccellente qualità su un tema di straordinario rilievo come i patient-reported outcome.

Una strada complicata, dunque, quella verso la co-produzione di salute o, quantomeno, in direzione di una migliore qualità di vita per chi soffre di malattie oncologiche. Servono programmi capaci di coinvolgere realmente le tante figure professionali che contribuiscono all’assistenza sanitaria e psicologica del paziente, come spiega l’articolo che a pag. 733 racconta in dettaglio l’esperienza dell’IRCCS oncologico di Aviano, che abbiamo scelto di pubblicare perché potrebbe servire come base per un confronto per altre realtà che stanno ugualmente lavorando per migliorare le proprie attività di knowledge translation nei riguardi dei cittadini.

In una discussione online di presentazione del libro La freccia di Apollo di Nicholas Christakis, una frase dell’autore ha attratto l’attenzione di chi seguiva il webinar: «Social connectivity doesn’t exist in a vacuum». In altre parole, è possibile una vera partecipazione di cittadini, pazienti, familiari solo in presenza di una rete che sostenga la loro presenza attiva: i fili di questo network dovrebbero essere tessuti dalle istituzioni, dai partiti politici, dalle organizzazioni sindacali e dagli operatori culturali. È un’evidenza che si manifesta ogni giorno di più in questi mesi di crisi sanitaria: sono in arrivo i primi vaccini per CoViD-19, accompagnati da entusiasmo e prudenza, da soddisfazione e cautela da parte di chi teme che la straordinaria velocità con cui sono stati sviluppati possa comportare problemi di sicurezza. Senza una rete di supporto non c’è partecipazione.

«L’equilibrio tra libertà individuale e salute pubblica può diventare la questione più controversa nella vita americana», leggiamo in uno degli interessanti contributi pubblicati dal settimanale New Yorker in questa fine di autunno. «I vaccini per il nuovo coronavirus sono in arrivo ma, fino a quando non ci saranno, decine di migliaia di vite dipendono da interventi centrati sulla comunità –come maschere, distanziamento e isolamento – che devono essere messi in atto dai cittadini. La disponibilità o riluttanza di ciascuno determinerà il numero delle persone che moriranno. Le nostre differenze di opinione, quindi, hanno conseguenze concrete, immediate e radicali». Mai come in questi mesi la partecipazione dei cittadini è stata così determinante per la salute individuale e di popolazione.

Qualcosa però si sta incrinando: la politicizzazione di alcune delle controversie legate alla pandemia – dall’efficacia di alcune terapie alla decisione di vaccinarsi – è un errore imperdonabile che potrebbe avere effetti pesanti sul sistema sanitario e sulla coesione sociale. La seconda ondata della malattia non ha visto trombettieri alle finestre, bandiere arcobaleno ai balconi, applausi agli operatori sanitari. Al contrario, aumentano le pubblicità degli studi legali che invitano i malati a fare causa al servizio sanitario per i presunti danni subiti durante i ricoveri in ospedale nei mesi scorsi. È un oltraggio nella tragedia. Abbiamo voluto che gli Appunti di viaggio di Fabrizio Elia fossero scritti in inglese per far conoscere anche ai lettori stranieri di Recenti Progressi cosa sta accadendo oggi nel nostro Paese: «Medici esausti e pazienti sfiniti rischiano di trasformare il rapporto medico-paziente, rafforzatosi durante la prima fase pandemica, in un conflitto medico-paziente mai visto prima. Il primo e inevitabile impatto negativo sarebbe sulla qualità dell’assistenza e sulla salute pubblica».