In questo numero

Un filo visibile lega diversi contributi che potrete leggere nelle prossime pagine. Una connessione che riguarda articoli interni ai focus dedicati all’epatologia (di nuovo curati da Maurizio Koch nell’ambito degli approfondimenti dei clinici che si richiamano alla gastroenterologia basata sulle evidenze) e ad un altro dei gruppi di lavoro del progetto Macroscopio.

In uno degli editoriali di questo numero, Francesco Perrone sfida il sistema sanitario italiano – istituzioni e servizio sanitario – a farsi carico di una ricerca nuova che cerchi le soluzioni migliori ai percorsi assistenziali dei pazienti e non si accontenti di misurare – nel migliore dei casi – sicurezza ed efficacia di singoli interventi sanitari, farmaci, dispositivi o tecnologie, a prescindere dal contesto di utilizzo e dallo standard of care . Per i più giovani – ma non solo – potrà sembrare qualcosa di assolutamente nuovo, ma la premessa – o forse il seme – che rende oggi possibile questa provocazione culturale è in qualcosa di cui si discuteva già almeno venticinque anni fa. La ricerca sui servizi sanitari era uno dei frutti più originali della sintesi tra la riflessione operante e concreta che aveva portato alla riforma sanitaria e il fiorire dell’epidemiologia clinica. La cultura della sanità pubblica italiana dava allora un importante contributo alla domanda di comparative effectiveness research , una ricerca che sentiva la reale urgenza di migliorare la pratica clinica nella direzione indicata dalle esigenze dei malati e dei cittadini. Ricerca che metteva in discussione la pratica clinica e gli assetti organizzativi.

Chiedere oggi una ricerca sui percorsi sanitari non può che tradursi anche in una rivoluzione del lavoro delle agenzie regolatorie. Per questo, dopo aver letto l’editoriale di Perrone e la rassegna di Ciro Celsa et al. che sembra voler “mettere a terra” la riflessione del metodologo clinico napoletano, si finirà con l’essere attratti dalla nota di Antonio Addis. La valutazione di un farmaco è ormai diventata una procedura che analizza non solo “chi” potrebbe beneficiarne ma anche “dove”, arrivando dunque a considerare non solo l’assistenza ma anche la mobilità e tutti gli aspetti logistici necessari ad un uso tempestivo ed appropriato delle terapie.

Quanto sia lunga, ancora, la strada da fare lo dimostra la scarsa qualità della maggior parte degli studi svolti finora sulle possibili terapie lascia stupefatti per la distanza esistente tra le dimensioni della tragedia che stiamo attraversando e l’inadeguatezza della risposta della ricerca internazionale. Studi mal disegnati, condizionati da conflitti di interesse, su popolazioni ridotte: ma nonostante tutto quasi sempre sostenuti da un’enfasi mediatica alimentata dalla convergenza connivente di uffici stampa di centri di ricerca e dai media, costantemente alla ricerca di argomenti capaci di amplificare l’audience.

Un’ultima annotazione. Nel 2018, Recenti Progressi aveva pubblicato 620 pagine. Sono diventate 800 nel 2020, speriamo senza aver smarrito la qualità. Cerchiamo di accompagnare la domanda di riflessione e di confronto che vediamo nei nostri lettori e in quanti – sempre più numerosi – inviano contributi alla rivista.