In questo numero

Un capitolo del libro “Il senso dell’insieme”, recensito da Maurizio Bonati a pag. 225, è dedicato alla produzione di letteratura scientifica su covid-19 negli scorsi mesi: «Più del 6% delle pubblicazioni indicizzate nel corso del 2020 dalla banca dati della National library of medicine dei National institutes of health statunitensi è collegato alla covid-19», scrivono gli autori. «A febbraio 2020, il tempo medio di accettazione di un articolo sulla covid-19 era dieci volte minore di quello di un lavoro in ambito cardiologico, oncologico o di una qualsiasi materia che non riguardasse il coronavirus. Nei primi sei mesi dell’anno, la valutazione di un lavoro su un tema collegato alla pandemia durava meno di 20 giorni mentre la risposta ad una qualsiasi delle altre proposte di pubblicazione non arrivava prima di tre mesi».

Alla straordinaria quantità della documentazione non corrisponde la qualità che i professionisti sanitari – e con loro i cittadini – si sarebbero augurati. Ed è un grande problema, come conferma la revisione sistematica condotta da ricercatori del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio (pag. 195). «Molti studi inclusi in questa revisione living – leggiamo – hanno una numerosità campionaria bassa, e diversi limiti metodologici potrebbero compromettere i risultati degli studi. La mancanza di cecità e il reporting bias sono tra le principali fonti di distorsione. Adottando la metodologia GRADE, la certezza delle prove complessiva è alta in 5 confronti (6,9%), moderata in 8 (11%), bassa in 15 (20,8%) e molto bassa nei rimanenti 44 confronti (61%). Il risultato finale è quello di aumentare l’incertezza piuttosto che fornire informazioni utili alla clinica e alla ricerca. In generale, l’emergenza dovrebbe aver rafforzato la convinzione che le sperimentazioni devono essere rigorose anche in situazioni di emergenza come questa e che, in assenza di prove certe, la scelta più etica è inserire pazienti in trial rigorosi e ben condotti invece di somministrare farmaci di cui non conosciamo il profilo di beneficio/rischio».

Una scienza a passo di corsa ha portato alla disponibilità di vaccini in tempi eccezionalmente rapidi ma «la velocità e il volume di dati pubblicati nell’ultimo anno su covid-19 hanno reso evidente la necessità, per altro riconosciuta da tempo, di tutelare l’integrità della ricerca scientifica», avverte Gianna Milano nel suo articolo (pag. 173). Solo in un contesto in cui le regole sono rispettate ed è condivisa un’etica della responsabilità nei confronti di pazienti, familiari e cittadini può essere possibile produrre prove che riducano l’incertezza che continua a caratterizzare sia l’assistenza sia lo sguardo epidemiologico sulla pandemia.

La gravità dell’emergenza sanitaria non può suggerire di chiudere un occhio su metodologie di ricerca che non siano rigorose o su risultati poco credibili: semmai, la necessità di far presto può consigliare di rispolverare quegli “strumenti rapidi” di valutazione critica che Tom Jefferson proponeva ormai quasi vent’anni fa per stare “attenti alle bufale”. In attesa che leggendo Forward for Kids i ragazzini crescano con uno spirito critico che li protegga da bufale e mandriani.

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