Per l’appunto

a cura di Stefano Cagliano

«Ben prima di covid-19, il mondo stava già affrontando una minaccia emergente di resistenza antimicrobica e molti hanno lanciato l’allarme di un’ulteriore escalation durante la pandemia. Uno studio negli Stati Uniti, ad esempio, ha mostrato che il 71% dei pazienti covid-19 ha ricevuto antibiotici mentre solo il 4% aveva una vera coinfezione batterica. Questo uso eccessivo di antibiotici può aver contribuito all’aumento del 10% osservato della resistenza contro diverse classi di antibiotici (rispetto al 2019) nella stessa istituzione.

La diffusione della disinformazione durante le epidemie è stata documentata in precedenza, ma covid-19 ha portato con sé un diluvio globale di disinformazione. La politicizzazione della pandemia in molti Paesi ha portato i politici a diventare una delle principali fonti di disinformazione, mentre la sottovalutazione iniziale della pandemia da parte dei principali enti di salute pubblica ha portato a messaggi incoerenti e a un diffuso disorientamento dei cittadini. Un’indagine su articoli di cronaca online ha identificato articoli fuorvianti pubblicati in 25 lingue in 87 Paesi, un quinto dei quali riguardavano terapie. Nei Paesi a basso e medio reddito, molti dei quali hanno già un elevato carico di organismi multiresistenti ai farmaci, della disinformazione fa parte anche un’enfasi eccessiva sul ruolo degli antimicrobici, compreso l’uso di azitromicina, nonostante sia stata ripetutamente dimostrata l’inefficacia contro covid-19.

La disinformazione colpisce i medici, i responsabili delle politiche sanitarie e i cittadini ed è in parte alimentata dalla pubblicazione anticipata di risultati di ricerca preliminari e riferiti in modo incompleto. La pubblicazione anticipata di pre-print ha consentito una rapida diffusione di ricerche importanti, ma ha anche sollevato preoccupazioni per la comunicazione al pubblico di studi condotti in modo inadeguato e per la segnalazione prematura o imprecisa da parte dei media di notizie infondate. È necessario sviluppare strategie per contrastare l’effetto dannoso della disinformazione sull’uso degli antimicrobici e prevenire un ulteriore aggravamento della crisi globale causata dalla resistenza antimicrobica. Poiché circa la metà degli adulti nelle economie emergenti e quasi tutti gli adulti nei Paesi a reddito più elevato hanno accesso a un dispositivo digitale, e più della metà della popolazione mondiale utilizza i social media, le strategie di contrasto alla resistenza devono includere campagne mediatiche online creative e regolamentate per combattere la disinformazione.

È inoltre necessario uno sforzo concertato per assicurarsi che gli operatori sanitari abbiano un accesso rapido e tempestivo agli aggiornamenti basati su prove in merito alla gestione di tutti gli aspetti di covid-19. Formazione online, webinar sugli algoritmi di gestione, revisioni sistematiche e linee guida simili alle Raccomandazioni rapide del BMJ dovrebbero essere portati avanti da agenzie regionali e internazionali e resi disponibili gratuitamente agli operatori sanitari, consentendo la rapida diffusione di prove affidabili. I fragili sistemi sanitari in molte parti del mondo potrebbero non resistere alla pandemia covid-19 se dovessero affrontare anche un aumento sostanziale della resistenza antimicrobica.

Dobbiamo affrontare contemporaneamente le due pandemie: di covid-19 e di disinformazione».

Arshad M, Faisal Mahmood S, Khan M, Hasan R. Covid-19, misinformation, and antimicrobial resistance. BMJ 2020; 371: m4501.

«Gli antibiotici rappresentano da tempo un puzzle economico. Farmaci che hanno cambiato il mondo, eppure, nonostante il loro potere unico, il mercato non li apprezza. Le ragioni sono complesse. A partire dall’ovvio: gli antibiotici uccidono i batteri, esseri viventi che si adattano costantemente alle minacce contro la loro sopravvivenza. Non appena viene utilizzato un nuovo composto, i patogeni iniziano a sviluppare strategie per sventare l’attacco. Ciò significa che la vita utile di un antibiotico, e quindi il suo potenziale di generare guadagno, può essere limitata, situazione che non si verifica per la maggior parte degli altri farmaci.

La durata della vita di un nuovo antibiotico non sarebbe così importante se un’azienda potesse venderne una grande quantità rapidamente, ma esistono barriere sia strutturali sia etiche. Consideriamo prima quelle strutturali. Relativamente pochi pazienti hanno infezioni resistenti che necessitano il ricorso a nuovi antibiotici, mentre la maggior parte delle altre classi di farmaci viene utilizzata per trattare un gran numero di persone. I Centers for disease control and prevention degli Stati Uniti stimano in 2,8 milioni le infezioni resistenti ogni anno negli USA. Secondo una stima, un nuovo antibiotico deve generare entrate annuali di almeno 300 milioni di dollari per essere sostenibile, mentre altri ricercatori ritengono che l’intero mercato statunitense dei nuovi antibiotici che agiscono contro le enterobacteriaceae resistenti ai carbapenemi, una delle classi di infezione più resistenti e ostinate, sia di 289 milioni di dollari all’anno. C’è spazio forse per un farmaco, non di più. Poche delle aziende che producono antibiotici guadagnano 100 milioni di dollari o più all’anno. La maggior parte del resto oscilla tra 15 e 50 milioni di dollari all’anno.

Veniamo ai dilemmi etici. Poiché qualsiasi esposizione di batteri a un antibiotico rischia lo sviluppo di resistenza, l’uso di quel farmaco per trattare un paziente rischia di ridurre la sua capacità di salvare altre vite in futuro. Pertanto, è necessario che i nuovi antibiotici vengano distribuiti lentamente. Questo protegge la loro affidabilità a lungo termine, ma rovina il loro mercato».

McKenna M. The antibiotic paradox: why companies can’t afford to create life-saving drugs. Nature 2020; 584: 338-41.