Per l’appunto

a cura di Stefano Cagliano

«”Un dato non è un dato sino a che nessuno lo ha dato”. In apparenza questo è uno scioglilingua, un gioco di parole, un tentativo satirico – di spirito ed efficacia assai dubbi – sull’ennesimo ed increscioso incidente nel trattamento lombardo della pandemia. Ma interrogarsi su cosa un dato sia è invece necessario, e proprio l’errore lombardo ci dà un’occasione preziosa per farlo…

Alla fine, dunque, i numeri possono fare sensazione e anche opinione. Ma per fortuna le opinioni possono essere razionali. Per un bel caso (che poi caso non è) il nome della razionalità viene dalla ratio cioè dalla proporzione. Ogni numero prende senso dalla proporzione in cui lo impegniamo, come gli investimenti in rapporto al rischio o le spese in rapporto al reddito.

Non aver sottratto il numero dei guariti dal computo dei contagiati equivale ad aver tenuto nel conto le mele che non erano già più lì, cioè aver perso per strada una parte del dato. Nel discorso poi le parole dicono quel che dicono: “parametro” connota scientificità, “algoritmo” porta con sé terrori robotici, “Roma” significa “giochi di potere”, “Lombardia” ha già significato scrupolo ed efficienza ingegneristica e ormai invece chissà. Ma fra il dato numerico, stupido e muto, e la sensazione e la sensazionalità che si vuole trasmettere per suo mezzo c’è una possibile razionalità: la verifica di come è stato raccolto, la nozione precisa di cosa rappresenti, la capacità di scegliere il modo di metterlo in rapporto ad altri dati».

Bartezzaghi S. Quando diamo i numeri. La Repubblica, Martedì 26 gennaio 2021, p. 26.

«I vaccini sono in fase di sviluppo. Leggermente rimossi: è fantastico che gli scienziati ci stiano lavorando, ma ho tre nuove versioni di politiche e linee guida da leggere, un ambulatorio da gestire, persone di cui prendermi cura e mi manca la mia famiglia. Solitario: ha senso logico essere separato da loro perché io sono il fattore di rischio per loro, ma mi mancano. Basso grado e ansia costante come lavoratore in prima linea con un senso di colpa secondario poiché non lavoro in terapia intensiva o cure mediche di emergenza. Com’è per loro? Non pensarci troppo, superiamo la giornata.

Studi pubblicati: un po’ di speranza, con cinismo (quanto tempo ci vorrà per implementare i risultati? Avremo la priorità come operatori sanitari? I pazienti non dovrebbero venire prima?) E un po’ di auto-protezione (stai al sicuro).

Approvazione del vaccino: un po’ più di speranza bilanciata dall’autoconservazione: per favore non farmi contagiare mentre sta diventando un rischio così reale. I numeri stanno aumentando.

Natale e Capodanno: tutto quello che voglio per Natale è leggere la ricerca e capire come funziona questo particolare vaccino. Rabbia quando qualcuno dice a un collega che non dovrebbero averlo perché è incinta: le donne non hanno la possibilità di scelta?

I vaccini arrivano nel Paese: un po’ più di speranza, col dubbio (quanto tempo ci vorrà per farlo?). E più auto-protezione.

Vedere i colleghi che ricevono le prime dosi: gioia per loro (lavorano in terapia intensiva: se lo meritano tutto).

Ricevere l’e-mail dalle Risorse umane: veloce, prendi subito l’appuntamento! Scarica di adrenalina quando ricevo l’appuntamento: il più rapidamente possibile. Nervosismo per controllare se ho ricevuto l’e-mail di conferma. Celebrazione virtuale: sta diventando reale. La fine è davvero in vista. Imbarazzo nel dire alla famiglia che ho un appuntamento: perché ricevo il vaccino e non mio padre di 76 anni? O una zia di 80 anni? Sorpresa e stupore per il loro sollievo alla notizia: erano davvero preoccupati per me?

Un giorno al Vaccine day: la sensazione in ospedale è quella di meraviglia e incredulità. Delizia perché il farmacista conferma che i vaccini arriveranno domani, anche se sembrano sia stupiti che stressati per la responsabilità. I pazienti stanno osservando la sensazione di meraviglia tra il personale e chiedono informazioni: gratificazione per la loro gioia, mista a un po’ di imbarazzo, ma capiscono che anche questo li tiene al sicuro. Umiltà e apprezzamento mescolati a un senso di irrealtà.

La sera prima: sembra la vigilia di Natale da bambino o il giorno prima di un esame. Celebrazione contenuta a casa e desiderio di parlare con quante più persone possibile, ma non con i non medici in quanto non sembra appropriato. Fare il check-in e riflettere con gli amici per assicurarsi che non abbiano effetti collaterali una settimana dopo: fortunati loro, quel miglioramento sta arrivando ora.

1:45 su Vaccine dose 1 day: perché sono sveglio? Logicamente so che devo tornare a dormire ed essere in forma per oggi, ma ho voglia di muovermi dalla felicità. […] Ricordare a me stesso che non siamo ancora fuori dai guai. Non abbassiamo ancora la guardia: dobbiamo restare saldi, stare al sicuro e tenere gli altri al sicuro. Come posso essere così fortunato da arrivare a questo punto senza sintomi? Sono stato così attento, ma anche altri e sono stati infettati.

Vaccine day: è necessario vestirsi per consentire facile accesso al braccio sinistro. Non ho bisogno di mostrare la biancheria intima ai miei colleghi.

Arrivo al lavoro: tanto meglio che oggi non ho compiti clinici in quanto non sono davvero in grado di concentrarmi.

Prima si vaccinano altri: bello avere un fotografo visto che è una giornata storica per l’ospedale, ma possiamo sapere i nostri turni per favore? Ottieni il vaccino: grato apprezzamento per la scienza.

Dopo, aspetta dai 15 ai 30 minuti: nessun segno di effetti collaterali.

Twittare o no: il vaccino funziona se non lo condivido sui social? Sono un po’ euforico di essere così impertinente.

Vai al parcheggio per un paio di minuti: il mondo è un posto leggermente più luminoso oggi. Quindi molto, molto grato. Grazie Scienza».

Higgins M. Il viaggio emotivo del destinatario del vaccino covid. BMJ 22 gennaio 2021.