Un caso di melanoma acrale amelanotico BRAF mutato
del piede

LUISA PICCIN1

1 UOSD Oncologia del Melanoma, Istituto Oncologico Veneto (IOV) - IRCCS, Padova.

Pervenuto il 15 gennaio 2021. Accettato il 20 gennaio 2021.

Riassunto. Descriviamo il caso di una donna di 75 anni, con diagnosi di melanoma acrale amelanotico BRAF mutato del piede, localmente avanzato alla diagnosi (pT4bN3c, AJCC 8th ed.), recidivato a livello muscolare, sottocutaneo e polmonare a meno di un anno dal completamento della linfoadenectomia inguino-iliaca-otturatoria. Il trattamento con encorafenib + binimetinib in prima linea ha consentito una risposta completa della durata di 37 mesi, seguita da una risposta parziale ad anti-PD-1 di seconda linea che persiste dopo 19 mesi.

Parole chiave. Anti-PD1, BRAF mutato, melanoma, melanoma acrale amelanotico, terapia target.

Amelanotic acral melanoma originating from the foot: a clinical case.

Summary. We will present the case of a 75-year-old woman diagnosed with an amelanotic acral melanoma originating from the left foot relapsed to the lung and to muscular and subcutaneous tissues less than one year after the surgical treatment (pT4bN3c, AJCC 8th ed.) of the primary lesion. Treated with first-line encorafenib + binimetinib, the patient reported a complete response lasting 37 months and followed by a partial response, still ongoing after 19 months, to anti-PD-1 antibody second line therapy.

Key words. Amelanotic acral melanoma, anti-PD-1, BRAF-mutated, melanoma, target therapy.

Introduzione

Il melanoma è un tumore aggressivo, poco sensibile alla chemioterapia e alla radioterapia, la cui prognosi in fase avanzata è di recente significativamente migliorata grazie all’introduzione degli inibitori dei checkpoint immunologici e della terapia a bersaglio molecolare, con un incremento della sopravvivenza a 5 anni dall’8-12% del 2011 all’attuale 30-52% in relazione alle caratteristiche della malattia e del paziente1. Nel soggetto affetto da melanoma avanzato BRAF mutato entrambe le nuove strategie terapeutiche sono applicabili in prima linea e non esistono a oggi risultati definitivi di studi prospettici che ne confrontino l’impiego in questo setting. Pertanto l’approccio terapeutico upfront, da preferire nei pazienti BRAF mutati, rappresenta una delle questioni più dibattute e cruciali nel trattamento sistemico di questa patologia. Descriviamo qui il caso di una donna di 75 anni che è stata trattata per una recidiva muscolare, sottocutanea e polmonare di melanoma inizialmente con terapia target e, in seguito a progressione (dopo una risposta completa durata 37 mesi), con immunoterapia. A oggi, dopo oltre 18 mesi di trattamento con anti-PD1, la paziente persiste in risposta parziale.

Caso clinico

Nel dicembre 2013 una donna di 67 si presentava per visita dermatologica in seguito alla presenza di una lesione nodulare ulcerata non pigmentata alla pianta del piede sinistro. La paziente riferiva la persistenza della lesione da 5 anni, con iniziale regressione dopo trattamenti topici seguiti da accrescimento con dolore alla deambulazione e comparsa di ulcerazione negli ultimi mesi.

L’anamnesi riportava familiarità per carcinoma del colon-retto (madre e sorella) e tumore della mammella (zia paterna), sindrome metabolica con ipertensione e ipercolesterolemia e presenza di ernia iatale sintomatica, per cui era in trattamento con magaldrato anidro 800 mg ×2/die, domperidone 10 mg a.b., lansoprazolo 30 mg/die, valsartan 40 mg/die, nebivololo 1,25 mg/die, simvastatina 10 mg/die.

Sottoposta a biopsia escissionale nel gennaio 2014, il patologo descriveva la lesione come «neoplasia a noduli multipli con aspetti marcatamente infiltrativi ed interessamento sia del margine profondo che dei laterali». La positività immunoistochimica delle cellule tumorali, sia per s100 che per HMB45, aspetto per lo più puntiforme, orientava per la diagnosi di melanoma acrale amelanotico.

La paziente veniva riferita all’Istituto Oncologico Veneto dove veniva richiesta la revisione dei preparati istologici. La revisione descriveva: «Frammenti di cute acrale con localizzazione dermo-ipodermica di neoplasia maligna ad elementi epitelioidi di medie dimensioni con scarso citoplasma e con nuclei vescicolosi, talora con evidente nucleolo eosinofilo, riuniti in un pattern di crescita plurinodulare ed infiltrativo. Presenti numerose figure mitotiche (6/7 mm2) e aspetti di invasione angiolinfatica. Non evidente componente giunzionale. Le indagini immunoistochimiche evidenziano positività zonale per S100, positività diffusa per Melan-A, positività focale per HMB45, negatività per citocheratina e desmina. Il quadro morfologico e quello immunofenotipico complessivo ponevano diagnosi differenziale tra localizzazione di melanoma e sarcoma a cellule chiare. Le indagini molecolari eseguite con metodica FISH con sonda Vysis EWSR1 Break Apart non hanno evidenziato riarrangiamenti del gene EWSR, mentre è risultata presente mutazione V600E del gene BRAF supportando maggiormente l’ipotesi diagnostica di melanoma».

Nell’aprile 2014 si procedeva, previa stadiazione strumentale negativa, a radicalizzazione del primitivo e biopsia del linfonodo sentinella. L’istologico dell’allargamento documentava «localizzazione dermo-ipodermica di neoplasia maligna a piccole cellule, con elevato indice mitotico (24 mitosi/mm2) in cute con zone di fibrosi cicatriziale. Il quadro morfologico e quello immunofenotipico complessivo e i risultati dell’analisi molecolare deponevano per melanoma a piccole cellule». Nella ricerca del linfonodo sentinella venivano asportati 4 linfonodi tutti con depositi multipli di malattia e con interessamento embolico del tessuto adiposo perilinfonodale in più punti.

Nel luglio 2014 veniva sottoposta a linfoadenectomia inguino-iliaco-otturatoria con asportazione di 32 linfonodi istologicamente negativi e metastasi di 3 mm nel tessuto adiposo perilinfonodale (stadio finale di malattia IIIC (pT4bN3c) sec. AJCC 8th ed.) e successivamente avviata a follow-up con TC total body ogni 3 mesi.

La TC del gennaio 2015 evidenziava la comparsa a livello della regione inguino-crurale sinistra di secondarismi muscolari e sottocutanei non suscettibili di chirurgia e poneva il sospetto di metastasi polmonari, confermate e incrementate per numero e dimensioni a successiva TC del marzo 2015. I valori dell’LDH risultavano nei limiti di norma.

La paziente accettava l’arruolamento nel protocollo COLUMBUS e veniva randomizzata al braccio di trattamento combinato con encorafenib 450 mg/die e binimetinib 45 mg ×2/die. La TC basale documentava multipli noduli polmonari (il maggiore di 10 mm al lobo superiore di sinistra), muscolari (il maggiore di 25 mm nel contesto del muscolo sartorio) e sottocutanei (il maggiore di 10 mm sul versante antero-mediale della coscia, caudalmente alla cicatrice chirurgica) (figura 1).




Dalla prima rivalutazione, effettuata dopo 2 cicli di trattamento, si osservava una riduzione maggiore del 50% di tutte le lesioni, con l’ottenimento di una remissione completa al controllo del aprile 2016, dopo 13 cicli di trattamento (figura 2).




A maggio 2018 comparivano 3 localizzazioni polmonari nuove (la maggiore di 9 mm) e un ispessimento pleurico di 5 mm in corrispondenza del segmento lingulare superiore: le dimensioni esigue non permettevano un’adeguata caratterizzazione, quindi si decideva, in accordo con la paziente, di proseguire la terapia e rivalutare il quadro, che rimaneva sostanzialmente stabile per circa 6 mesi. Nel novembre 2018 comparivano nuove lesioni polmonari (la maggiore di 23 mm nel segmento lingulare superiore) e almeno 3 lesioni sottocutanee in regione ipogastrica (la maggiore di 12 mm): la paziente interrompeva il trattamento sperimentale con encorafenib e binimetinib per progressione confermata di malattia e passava a immunoterapia con nivolumab 480 mg flat dose q28 ottenendo un quadro di risposta parziale, confermato anche alla rivalutazione di giugno 2020. La terapia target è stata complessivamente ben tollerata, con esclusione di episodi di instabilità pressoria mai superiore al G2, con necessità di aggiustamento terapeutico (con sostituzione di valsartan 40 mg/die con l’ associazione valsartan+idroclorotiazide 80+12,5/die), episodi di cefalea, rash e rialzo della creatininfosfochinasi (G2). La frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) al basale era del 64% e all’interruzione del trattamento risultava del 58%. Eritema e prurito cutaneo G2 risultavano invece le principali tossicità correlabili alla somministrazione di nivolumab, ben controllate dall’aggiunta di prednisone 10 mg/die. Nel corso di entrambi i tipi di trattamento la paziente ha avuto incremento di algie dorso-lombari G2 (NRS max 7) controllate con oppiacei e correlate alla presenza di ernia discale a livello di D4-D5. Nel novembre 2017 (in corso di terapia target), in seguito a screening senologico, si poneva indicazione a biopsia mammaria per il riscontro di calcificazioni dubbie in area di 2,5 cm alla mammella destra. Il report del patologico documentava carcinoma intraduttale NTS della mammella G3 Ki67 50%, PgR 10%, ER 10% che richiedeva mastectomia per la presenza di multifocalità diffusa. Sulla biopsia mammaria è stata eseguita la valutazione molecolare di BRAF, NRAS, KRAS, tutti WT. Considerata la familiarità per tumore mammario, l’età della paziente e la presenza di sindrome metabolica con sovrappeso, veniva esclusa la correlazione con il trattamento oncologico in corso, e veniva autorizzata la prosecuzione di encorafenib + binimetinib (figura 3).

Discussione

Il melanoma è un tumore aggressivo che origina dai melanociti2. In Italia questa neoplasia rappresenta rispettivamente la seconda e terza causa più frequente di morte per cancro tra gli uomini e le donne sotto i 50 anni3, con implicazioni sociali rilevanti sia in termini di salute che economici. Nell’ultimo decennio l’approccio sistemico al melanoma avanzato (MA) è radicalmente cambiato, essenzialmente grazie all’introduzione degli inibitori dei checkpoint immunologici e della terapia a bersaglio molecolare. Relativamente alla terapia target, le mutazioni attivanti più comunemente presenti nelle cellule di melanoma sono quelle a carico dei geni BRAF, NRAS e KIT4, che possono provocare alterazioni nelle vie di segnale intracellulare esitando in una proliferazione cellulare incontrollata del melanocita5,6. Le mutazioni più frequenti sono quelle a carico del proto-oncogene BRAF: sostituzioni a singolo nucleotide a livello del codone 600 si riscontrano in circa il 50% dei melanomi, con maggiore frequenza nelle neoplasie insorte a livello della cute fotoesposta7. Nel 2011 la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l’utilizzo del primo inibitore di BRAF (vemurafenib) per il trattamento del melanoma avanzato BRAF V600 mutato8,9, mentre nel 2013 e nel 2018 sono diventati prescrivibili rispettivamente dabrafenib10 ed encorafenib11. Quest’ultimo in particolare lega la proteina BRAF mutata in modo più duraturo, e provoca un’inibizione proliferativa maggiore grazie alla minore IC50 e al maggiore tempo di dissociazione dalla proteina11-13, come evidenziato dalla parte I dello studio COLUMBUS in cui la sopravvivenza mediana dell’encorafenib è statisticamente superiore a quella del vemurafenib (23,5 vs 16,9 mesi, HR=0,76 (95% CI 0,58-0,98)14. La strategia di doppia inibizione con BRAF- e MEK-inibitore (BRAFi e MEKi, rispettivamente), valutata in diversi studi di fase II randomizzati e di fase III, si è dimostrata non solo più efficace in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS) e di sopravvivenza globale (OS), rispetto all’uso del solo BRAFi, ma anche meglio tollerata14-17. Per i diversi tipi di combinazione non esistono a oggi studi di confronto diretto, sia per efficacia sia per tollerabilità, ma tutti i lavori pubblicati evidenziano, accanto ad alcune tossicità di classe, spettri diversi delle tossicità di molecola che possono variare a seconda delle caratteristiche del paziente, rendendo una combinazione meglio tollerata di un’altra18. L’altra strategia terapeutica affermatasi negli ultimi anni nel trattamento del melanoma è rappresentata dall’immunoterapia. Il melanoma è considerato una neoplasia altamente immunogenica ma, nonostante l’alto carico mutazionale promuova la risposta immunitaria, le cellule neoplastiche possono frequentemente mettere in atto meccanismi di immunescape finalizzati a impedire il loro riconoscimento o l’eliminazione da parte del sistema immunitario19. Uno dei più importanti meccanismi di evasione della risposta immune è l’up-regolazione degli immunocheckpoint, in particolare di CTLA4 e PD-1, che rappresentano il bersaglio dei farmaci immunoterapici (ipilimumab, nivolumab e pembrolizumab) a oggi in uso in questo setting20,21. Gli anticorpi anti-PD1 nivolumab e pembrolizumab si sono dimostrati superiori a ipilimumab in termini di tasso di risposta (RR) (33,7% vs 11,9% per pembrolizumab e 44% vs 19% per nivolumab22, PFS (31,2% vs 13,5% a 2 anni con una mediana di 5,6 mesi vs 2,8 per pembrolizumab, 29% vs 8% a 5 anni con una mediana di 6,9 vs 2,9 per nivolumab) e OS (55% a 2 anni pembolizumab e 52% e 44% a 2 e 5 anni per nivolumab)23,24. L’associazione di nivolumab con ipilimumab arriva a una OS a 5 anni del 52%, con beneficio anche nei pazienti mutati anche se con incremento consistente della tossicità22. Non esistono a oggi risultati definitivi di studi prospettici che testino la migliore sequenza di trattamento per i pazienti mutati. I vantaggi della terapia target sono la rapidità di risposta, la bassa resistenza intrinseca e la rapida reversibilità delle tossicità con l’interruzione del trattamento25. I vantaggi dell’immunoterapia sono la minore resistenza acquisita con sopravvivenze a 5 anni superiori a quelle osservate con la terapia target, anche se in confronti indiretti, ma con una maggiore mortalità nei primi sei mesi di trattamento22,25,26. A complicare la scelta si aggiunge l’osservazione che tutti gli studi hanno evidenziato una minore efficacia di entrambi i trattamenti applicati in seconda linea rispetto alla prima linea27. In attesa dei risultati degli studi randomizzati di sequenza e di confronto, la scelta clinica si basa essenzialmente sulle caratteristiche della malattia, del paziente e delle sue preferenze. La nostra paziente presentava una diagnosi di melanoma acrale amelanotico, forma (quella acrale) caratterizzata da un ridotto carico mutazionale, con alterazioni di BRAF e KIT rispettivamente nel 10-35% e nel 3%-36% dei casi28-30, e nella quale l’efficacia dell’immunoterapia è riportata inferiore a quella osservata per il melanoma che insorge in aree foto-esposte (OS mediana 17 mesi, OS a 5 anni 34 %)31; dati simili sono stati pubblicati anche da Nakamura et al.32. Oltre al tipo istologico, l’elevato indice mitotico nella lesione primitiva e la recidiva presentatasi a un anno dalla chirurgia ci hanno indotto a ritenere la malattia a rapido rischio di evoluzione e a considerare possibilmente più vantaggioso il trattamento con anti-BRAF. Inoltre la presenza della mutazione di BRAF può indurre immunoresistenza33. Il tempo alla progressione di 37 mesi è oltre il doppio dei 14,9 mesi mediani osservati nello studio COLUMBUS, a fronte di una qualità di vita mantenuta discreta per tutta la durata del trattamento. La risposta parziale mantenuta a 19 mesi con anti-PD-1 fa ipotizzare che nei pazienti con durata di risposta superiore alla media con terapia target non si instauri resistenza all’immunoterapia. Pur essendo le sedi di metastasi alla progressione dopo encorafenib e binimetib nel sottocutaneo e nel polmone come all’inizio del trattamento di prima linea, nessuna delle lesioni iniziali è progredita e presente, dato interpretabile come presenza di cloni diversi di malattia, emersi nel corso della pressione proliferativa, ma non resistenti all’immunoterapia. La tolleranza all’immunoterapia è buona e per nulla condizionata dal precedente trattamento con BRAFi e MEKi.

Conclusioni

Nell’attesa che studi prospettici di sequencing ci diano ulteriori informazioni riguardo alle strategie di trattamento più promettenti, nel paziente affetto da melanoma BRAF mutato la scelta dell’approccio di prima linea deve basarsi su un’attenta valutazione del paziente, delle opzioni percorribili e delle caratteristiche cliniche e biologiche della malattia. Relativamente al caso qui descritto, pur non potendo dimostrare che la scelta inversa sarebbe stata meno vantaggiosa o svantaggiosa, in base alle evidenze disponibili e riportate, riteniamo che il percorso terapeutico di questa paziente sia condivisibile e riproponibile.

Conflitto di interessi: LP ha percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico scientifico.

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