La voce dei “minori” durante e dopo la pandemia

Federico Marchetti1

1UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna.

Pervenuto su invito il 26 aprile 2021.

Riassunto. L’impatto diretto di covid-19 sulla salute dei bambini e degli adolescenti non è stato molto forte. Ma i bambini e gli adolescenti hanno sofferto le conseguenze delle politiche sanitarie decise per garantire il distanziamento sociale: dalle limitazioni alla mobilità alla chiusura delle scuole. Alti livelli di stress possono influenzare lo sviluppo psicofisico di bambini e adolescenti, soprattutto nelle famiglie a basso reddito e in condizioni di povertà sociale ed educativa. Nei riguardi dei bambini e degli adolescenti più colpiti, la riabilitazione deve consistere nella ricostruzione della vita quotidiana: non possiamo abolire la povertà o le pandemie, ma è necessario prevenire e capire i bisogni delle persone fragili. La dimensione strettamente sanitaria del lavoro del medico deve collegarsi a interventi sociali nei confronti delle persone più a rischio, attuando una sorta di “rivoluzione gentile” che sia capace di intervenire concretamente a livello della famiglia, della scuola e del territorio.

The voice of children and adolescents during and after the pandemic.

Summary. The direct impact of covid-19 on the health of children and adolescents has not been very strong. Nevertheless, children and adolescents have suffered the consequences of health policies aimed at guaranteeing social distancing: from limitations to mobility to the interruption of face-to-face teaching activities. High levels of stress can influence the psychophysical development of children and adolescents, especially in low-income families. With regard to the most affected children and adolescents, rehabilitation must consist in the reconstruction of daily life: we cannot abolish poverty or pandemics, but it is necessary to prevent and understand the needs of vulnerable people. The strictly health dimension of the doctor’s work must be linked to social interventions towards the people most at risk, implementing a sort of “gentle revolution” capable of concretely intervening at the level of families, schools and local contexts.

L’impatto della pandemia su bambini
e adolescenti

In questo lungo anno di pandemia in tutto il mondo sono state prese decisioni difficili e diverse sui modi per proteggere i bambini e gli adolescenti da covid-19, al pari degli adulti. Considerate le molteplici incognite, la cautela da parte dei genitori e degli organismi istituzionali è stata inizialmente giustificata. Ma le cautele, si è detto già dall’inizio della pandemia, non potevano e non sono prive di rischi e la popolazione pediatrica e adolescenziale non può essere tenuta perennemente a casa1,2. Per aiutare il processo decisionale, alcuni epidemiologi inglesi hanno esaminato, esattamente un anno fa, i dati sulla mortalità da covid-19 nella fascia di età compresa tra 0 e 19 anni nei tre mesi iniziali della pandemia3. In Francia, Germania, Italia, Corea, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti ci sono stati 44 decessi per covid-19 (popolazione totale 135.691.226) fino al 19 maggio 2020. In un normale periodo di tre mesi, in questi Paesi, i dati del Global Burden of Disease stimano che ci si aspetta più di 13.000 decessi da tutte le cause in questa fascia di età, tra cui oltre 1000 da cause accidentali e 308 da infezioni del tratto respiratorio inferiore. Covid-19, secondo questa stima, è stata ed è responsabile di circa lo 0,333% dei decessi tra 0 e 19 anni. Gli autori concludevano consigliando la comunità medica (e gli organismi istituzionali) di informare i genitori, gli insegnanti, gli amministratori, i medici in merito al fatto che limpatto diretto di covid-19 sui bambini è molto basso rispetto ad altri rischi e che la ragione principale per cui li stiamo trattenendo a casa è quella di proteggere gli adulti3. Studi successivi hanno confermato che i rischi per la salute dei bambini e degli adolescenti, fatta eccezione per i casi da infezione infiammatoria post-covid-19, chiamata MIS-C (stimata essere pari a 2 casi su 100.000)4 e quelli affetti da comorbilità5, sono bassi.

Su questo numero di Recenti Progressi in Medicina il gruppo di Lavoro del Dipartimento di Epidemiologia del SSR del Lazio riporta i risultati di un puntuale lavoro di revisione della letteratura6 che ha esaminato i dati relativi agli studi sino al 1° settembre 2020 sull’impatto del lockdown sulla salute fisica7 e sul benessere psicologico di bambini e adolescenti8.

Un primo aspetto che sottolineano gli autori riguarda la grande quantità di lavori condotta6 che di per sé è indicatore della rilevanza del problema e della necessità di valutare attentamente il bilancio fra i benefici attesi dalle misure di distanziamento sociale in termini di riduzione del contagio e i danni in termini di disagio psicologico ed effetti negativi sulla salute dei giovani. È difficile distinguere gli effetti avversi della pandemia sulla salute fisica e su quella mentale. Si tratta di condizioni che a volte si intersecano in una sorta di sinergia che ha fatto coniare il termine di “sindemia”9 o “pandemia secondaria”10, definizioni che ci indicano la coesistenza della pandemia con le patologie croniche che di fatto ne modificano, aggravandole, le conseguenze sia dirette (sui contagiati da covid-19) sia indirette (sui non contagiati, che però soffrono i crescenti ostacoli alle cure per le loro patologie). Ai danni sulla salute fisica vanno aggiunti quelli sulla salute mentale derivanti da situazioni familiari difficili – dovute a lutti, separazioni, perdita del lavoro da parte dei genitori, conseguenti stress e conflitti – e soprattutto alla perdita delle abituali occasioni e reti di sostegno e socializzazione, in particolare la scuola. È oramai noto che gli alti livelli di stress e isolamento possono influenzare lo sviluppo psico-fisico di bambini e adolescenti, anche a lungo termine, pesando maggiormente su coloro che si trovano in situazioni di povertà economica, sociale, educativa2.

I diritti dei minori

Dobbiamo ora chiederci quale sia il panorama successivo alle rilevazioni riportate nelle due revisioni della letteratura (al 1° settembre 2020)7,8 e quali dovrebbero essere le prospettive in azioni concrete che siano in grado di rispondere a un bisogno che va oltre la parola “assistenza” ma che dovrebbe interfacciarsi fortemente con un bisogno sopito di mettere al centro di una visione del mondo i diritti di quelli che siamo abituati a chiamare “minori”, termine che di suo è già indicativo di una “sottrazione”.

È molto verosimile pensare che attualmente ci siano meno ritardi nelle diagnosi delle patologie acute organiche, che alcuni insegnamenti siano nati nella gestione di situazioni cliniche che potrebbero avere una più adeguata e collaborativa presa in carico nell’ambito delle cure primarie11 e di altre a rischio di ipermedicalizzazione, come generatore di ipotesi per future valutazioni e ricerche12; e che l’assistenza per la patologia cronica abbia ripreso in gran parte le sue attività, immaginando anche modelli innovativi di cura (la teleassistenza) che dovranno essere studiati con rigore (efficacia, efficienza, esiti) ma anche con la libertà di una presa in carico che non sia, come si sta immaginando, istituzionalizzata dentro richieste che passino attraverso prenotazioni al Codice Unico di Progetto (CUP). Non è questa di certo la garanzia che una formale istituzionalizzazione dei processi di cura sia a vantaggio della qualità auspicata e della complessiva positiva accettazione da parte delle famiglie e dei pazienti. Oggi la sensazione diffusa è che gli imprevisti che si sono verificati dovuti al lockdown possono avere generato un nuovo modo del prendersi “cura”, ma che risulterebbe in ogni caso parziale o incompleto se non vissuto come una vera progettualità. Si potrebbe pensare che destinare del tempo per creare una relazione e comunicare con il paziente o con i colleghi sia “tempo sprecato”, in unattività in cui il carico di lavoro è oneroso e la corsa “contro il tempo” è di fatto uno dei problemi più frequenti e scoraggianti. Tuttavia, ove la comunicazione sia di qualità, sostenuta cioè da solide competenze relazionali, rappresenta, al contrario, un pilastro fondamentale per la pratica professionale e per lerogazione di un progetto di cura efficace, appropriato, sicuro ed efficiente. Non è un caso che il Codice Deontologico della professione medica e infermieristica affermi che «il tempo della comunicazione [va considerato] quale tempo di cura». Si tratterebbe ora di capire quali possano essere i migliori modelli di organizzazione di rete e se necessario di teleassistenza. Tenendo in considerazione che allassioma «non esiste unassistenza qualificata ospedaliera senza una qualificata assistenza territoriale e viceversa» è arrivato il tempo di dare un contenuto organizzativo, diffuso, partecipe e di cui rendere conto13.

Le ripercussioni psicologiche

E in questo processo integrato e territoriale di cura, di cui si sente tanto parlare nel Recovery Plan, il vero dramma esistente a cui bisogna dare immediate e future risposte dovrebbe essere quello di rendere per lo meno degno di visibilità il profondo disagio che stiamo vivendo (e a vari livelli) in merito alla salute “psicologica” (termine riduttivo) e di integrazione sociale dei nostri bambini e adolescenti. Il panorama si sta rapidamente modificando rispetto alle rilevazioni riportate in letteratura che sono descritte nel lavoro relativo agli effetti del lockdown sui danni psicologici8. In questo momento della pandemia non c’è una riduzione nelle richieste di visite ai servizi ma un esponenziale aumento, con risposte che non sono verosimilmente sempre evase, nei diversi contesti nazionali e internazionali14,15. Non c’è voce di questo nei vari Bollettini informativi istituzionali giornalieri. Non c’è una doverosa attenzione da parte delle direzioni ospedaliere o territoriali. Non c’è una soglia critica “di posti letti occupati” per quelle che sono le conseguenze nei bambini e adolescenti dovuti agli effetti della pandemia secondaria da covid-19.

Nella realtà pediatrica ospedaliera in cui opero, da circa due mesi da un terzo alla metà dei ricoveri settimanali sono per casi di adolescenti con diagnosi di gravi disturbi della condotta alimentare (con perdite di peso a volte impressionanti), di autolesionismo, di disturbi della condotta per arrivare a veri tentativi suicidari. Si tratta della punta dell’iceberg. Sono quelle situazioni eclatanti e chiaramente “visibili” che si riesce a intercettare. Sono sempre più numerosi i neuropsichiatri infantili, i pediatri e i medici di medicina generale che lanciano quotidianamente un grido di allarme sulle situazioni di emergenza para-covid-19 che stanno vivendo le poche strutture assistenziali esistenti in Italia15. Ma la prospettiva non può essere unicamente quella di denunciare le carenze di personale e di servizi. Si tratta di immaginare già da ora una “nuova società” per una presente e futura generazione. E volendo rimanere su un processo di cura, che non può essere che necessariamente integrato e “senza confini”16, si tratterebbe ora di scommettere su una nuova rivoluzione che vada ancora oltre quella basagliana. Non avendo paura dell’incertezza, ma immaginando quello che in una intervista Benedetto Saraceno sostiene: «Nonostante si parli soprattutto di psichiatria degli adulti, il 75% delle malattie mentali inizia prima dei 18 anni. Certo che è un’età difficile, che i ragazzi non sono tutti matti e le scuole non vanno psichiatrizzate, ma il servizio deve porsi il problema di come intervenire su bambini, adolescenti e famiglie vulnerabili. In questo caso non si può trattare il singolo individuo, ma bisogna considerarlo nel suo complesso»17. In altre parole la riabilitazione deve essere la ricostruzione della vita quotidiana. Agli operatori sanitari, ai servizi sociali, agli organismi decisionali sanitari non si chiede di abolire la povertà o le pandemie, ma di prevenire e capire i bisogni delle persone fragili in modo che possano attivarsi le alleanze nel territorio, nelle reti istituzionali e amministrative. Se non facciamo questo forse abbiamo rinunciato al nostro mandato morale e di assistenza, se a questa parola diamo il significato pertinente che dovrebbe avere: come intransitivo, essere presente; come transitivo, stare vicino a qualcuno per aiutarlo e accudirlo.

Il futuro post-pandemico

Per portare a termine questo progetto occorre immaginare per i nostri bambini e giovani un futuro post-pandemico che non destini solo “finanziamenti” senza capire che l’occasione di ora è quella di modelli integrati di prevenzione e cura che prevedano in primis una prioritaria attenzione alle famiglie ma anche, in un ambito socio-sanitario, una necessaria riorganizzazione e valorizzazione di funzioni e soprattutto una ridefinizione di alcune competenze professionali.

Alcuni esempi riguardano la necessità di sviluppare reti di connessioni e di servizi di sostegno con le scuole attraverso figure formate di psicologi, infermieri e di servizi sociali integrati in una rete funzionale con i singoli ambiti distrettuali. Riorientare i servizi sui bisogni di salute (mentale) dei giovani, significa prendere atto del fatto che oggi sono caratterizzati da un elevato livello di frammentazione nei metodi, nei luoghi, nelle modalità di interazione, il che spesso comporta anche la mancata richiesta di aiuto, paradossale in relazione all’efficacia dei risultati possibili. A questi bisogni potranno rispondere i modelli proposti per le “Case della Comunità”? Si corre il rischio, se non adeguatamente strutturate per obiettivi e professionalità orientate ai bisogni, di non dare risposte e di sfavorire paradossalmente un’assistenza di prossimità. La scommessa è di immaginare un modello di “rivoluzione gentile”18 che è quella di imparare lalfabeto con cui le nuove forme del disagio (ma anche di proposizione positiva) vengono espresse19 e di forgiare strumenti per agire in unottica che coinvolga, oltre agli stessi bambini e adolescenti, le famiglie, la scuola e la comunità tutta20.

A noi, come comunità di operatori sanitari e come singoli cittadini, compete di agire come sentinelle delle singole situazioni con maggiore difficoltà e disagio. Non esiste più una dimensione strettamente sanitaria del nostro lavoro, ma socio-sanitaria e territoriale, caso per caso, che ci deve vedere da subito protagonisti con ragionevolezza e con impegno concreto. È una scommessa in positivo e non per sottrazione di una “minoranza”, che da troppo tempo e colpevolmente è senza voce e ascolto.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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