Long covid syndrome e real world evidence

Nello Martini1

1Fondazione Ricerca e Salute.

Pervenuto su invito il 28/04/2021.

Riassunto. La long covid syndrome è sempre più studiata e dibattuta. Cresce il numero delle pubblicazioni scientifiche, e i gruppi e le associazioni di pazienti affetti dalla sindrome sono sempre più attivi. C’è la preoccupazione che l’attenzione internazionale per questa sindrome potrebbe determinare un eccesso di procedimenti diagnostici e di interventi medici non necessari. D’altra parte, disponiamo di una robusta mole di evidenze di una costellazione di sintomi e disturbi sofferti dai pazienti guariti da covid-19. Affrontare questo problema significa dunque affrontare la coesistenza con covid-19 nel lungo periodo, annettendo questa patologia in una prospettiva di cronicità. La raccolta e l’analisi dei dati, dunque, potrebbero già permettere una stratificazione delle popolazioni a rischio, mettendo i servizi sociali nella condizione di rispondere in maniera adeguata alla domanda di assistenza, che si prevede possa pervenire da parte di un numero molto elevato di pazienti. Ma è essenziale che la real-world evidence vada di pari passo con la selezione, l’analisi e l’interpretazione delle informazioni raccolte nei database amministrativi, nei registri di malattia e nelle banche dati messe a punto da università e istituzioni per promuovere una sanità pubblica realmente personalizzata.

Long covid syndrome and real world evidence.

Summary. Long covid syndrome is increasingly studied and debated. The number of scientific publications is growing and groups and associations of patients affected by the syndrome are increasingly active. There is concern that international attention to this syndrome could lead to an excess of diagnostic procedures and unnecessary medical interventions. On the other hand, we have a robust body of evidence of a constellation of symptoms and ailments suffered by patients recovered from covid-19. Tackling this problem therefore means tackling coexistence with covid-19 in the long term, annexing this pathology in a chronic perspective. The collection and analysis of data, therefore, could already allow a stratification of populations at risk, putting social and services in a position to respond adequately to the demand for assistance that is expected to be received by a very large number of patients. But it is essential that real-world evidence goes hand in hand with the selection, analysis and interpretation of information collected in administrative databases, disease registers and databases developed by universities and institutions to promote public health truly personalized.

Se cerchiamo "Long covid syndrome"; su Google troviamo 518 milioni di risultati, al 19 aprile 2021. Dopo un’iniziale esitazione, probabilmente dovuta all’assorbente attenzione richiesta dall’outbreak pandemico1, i media più influenti del mondo stanno dedicando spazio alle storie di persone che a distanza di settimane o di mesi non riescono a liberarsi dalla malattia2. Sono racconti che si somigliano l’un l’altro, come già la scorsa estate confermava un meeting voluto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in cui persone di tutto il mondo – Stati Uniti, Regno Unito, India, Italia, Spagna, Francia, Finlandia, Senegal e Sud Africa – condividevano in gran parte la stessa storia: «Ero giovane e attivo prima di ammalarmi, e ora non riesco a star meglio. Non riesco a convincere il mio medico di come io stia male perché non sono più positivo e ho bisogno di molte cure che qui dove vivo non sono previste»3.

La long covid syndrome ha attirato ovviamente anche l’attenzione della medicina accademica e, fa notare John Mandrola in un post su Medscape4, una revisione della letteratura pubblicata da Nature Medicine nell’ottobre 2020, a soli 7 mesi dall’inizio della pandemia, includeva 226 citazioni5. E dato che i National Institutes of Health investiranno più di un miliardo di dollari nello studio della sindrome6 – prosegue Mandrola – aspettiamoci ancora più attenzione da chi fa ricerca sostenuta dalle istituzioni. «Essenzialmente, ci sono due modi con i quali un medico può dimostrare un segnale di presa in carico dei problemi del paziente. Uno è sedersi e ascoltare attivamente ed esprimere empatia. È difficile. L’altro modo, più semplice, è prescrivere esami».

La grande incertezza che continua a contraddistinguere l’approccio alla covid-19 – e più in generale alla gestione politico-sanitaria della pandemia – trova nella long covid syndrome un terreno esemplare a partire dalla difficoltà di inquadramento diagnostico sulla base di una sintomatologia – affaticamento, debolezza, insonnia, dispnea e confusione mentale – difficile da quantificare. Inoltre, sottolinea Mandrola, l’interesse per l’argomento sta provocando una sorta di “reclutamento” di pazienti tramite sondaggi e survey online sul rigore metodologico dei quali è lecito avere dei dubbi7. Il timore è che un’assistenza sanitaria remunerata a prestazione possa generare un aumento di consumi sanitari che potrebbe non tradursi in benefici per i pazienti. L’alternativa è inserire percorsi diagnostici e interventi terapeutici in progetti di studio molto rigorosi che non lascino spazio a improvvisazioni e a strategie fantasiose.

Un aspetto sconcertante della long covid syndrome è la segnalazione di sintomi senza evidenza di infezione da SARS-CoV-2, commenta Mandrola. Uno studio riportato attualmente ancora in forma di preprint segnala 205 diversi tipi di sintomi nei mesi successivi all’infezione iniziale. Circa 1700 dei pazienti intervistati hanno avuto un risultato negativo e 600 sono risultati positivi. Tra i 205 sintomi segnalati, solo la perdita dell’olfatto e del gusto era significativamente più frequente nei positivi rispetto ai negativi.

A oggi c’è sufficiente consenso sul non essere la long covid syndrome una malattia ma una condizione complessa, non a caso definita dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) come «segni e sintomi che si sviluppano durante o dopo un’infezione coerente con covid-19 che continuano per più di 12 settimane e non sono spiegati da una diagnosi alternativa». Le linee guida NICE raccomandano che il paziente che soffre questo insieme di sintomi da oltre 6-12 settimane sia preso in carico da centri specializzati. Sappiamo che condizioni preesistenti e alcuni fattori di rischio sono predittivi di esiti acuti di covid-19 (come l’ammissione all’unità di terapia intensiva e la mortalità), ma il quadro epidemiologico della sindrome post-covid è a oggi meno ben definito. Come ha sottolineato un recente lavoro collaborativo britannico8, l’evidenza di cui disponiamo suggerisce grandi variazioni nelle stime della prevalenza e dell’incidenza della sindrome post-covid a causa delle differenze nelle popolazioni di studio, nei metodi di reclutamento, nei periodi di follow-up e nelle dimensioni del campione. Lo studio inglese ha cercato di dare risposta alla necessità urgente di prove da parte dei decisori politici oltre che dei clinici. Dalle cartelle cliniche elettroniche nazionali e dai registri di morte, sono stati quantificati l’incidenza della mortalità, il ricorso ai servizi sanitari e le conseguenze cliniche di covid-19 dopo la dimissione dall’ospedale (nuovi ricoveri, disfunzione multiorgano dopo la dimissione, variazioni nella mortalità, ecc.).

Affrontare questo problema significa dunque affrontare la coesistenza con covid-19 nel lungo periodo, annettendo questa patologia in una prospettiva di cronicità.

A una valutazione basata su dati attuali, la long covid syndrome potrebbe potenzialmente interessare milioni di persone nel mondo. Ma, dai dati provenienti dalla raccolta sistematica istituzionale e dall’arruolamento informale attraverso l’uso di app segnalato da Mandrola e da altri autori, sappiamo che le persone con maggiore probabilità di sviluppare la sindrome sono i pazienti di età più anziana, le donne e soprattutto chi, nel corso della fase acuta di malattia, ha segnalato la presenza di cinque o più sintomi, a prescindere dalla loro natura e dall’ordine con cui si erano manifestati. Utilizzando queste informazioni, è già oggi possibile prevedere quali pazienti abbiano maggiori probabilità di sviluppare long covid syndrome. «Questi risultati – ha commentato il direttore degli NIH, Francis Collins – sono un altro importante promemoria del profondo impatto della pandemia covid-19 sulla salute pubblica, che riguarda non solo le persone ricoverate con covid-19 grave ma, troppo spesso, anche chi supera il periodo iniziale di infezione relativamente indenne»9.

La raccolta e l’analisi dei dati, dunque, potrebbe già dare indicazioni per una stratificazione delle popolazioni più a rischio, permettendo ai sistemi sanitari di assumere un atteggiamento proattivo per mettere i servizi – sanitari ma anche sociali, considerato l’enorme impatto della covid-19 in termini di inasprimento delle disuguaglianze – nella condizione di rispondere in maniera adeguata alla domanda di assistenza che si prevede possa pervenire da parte di un numero molto elevato di pazienti. Ma anche per questa ragione, è essenziale che la real-world evidence prodotta attraverso il coinvolgimento diretto dei cittadini, si accompagni alla selezione, all’analisi e all’interpretazione delle informazioni raccolte nei database amministrativi in un’ottica di sanità pubblica realmente “personalizzata”.

Accanto alla raccolta e all’analisi delle evidenze epidemiologiche è necessario avviare un percorso di sistematizzazione dei percorsi di presa in carico dei pazienti che soffrono long covid syndrome, per ridurre il rischio di un’assistenza disomogenea e, indirettamente, potenzialmente determinante di disuguaglianze. Per raggiungere questo obiettivo può essere utile il lavoro di sintesi che la McMaster University sta conducendo in collaborazione con Cochrane Canada, del WHO Collaborating Centre for Infectious Diseases, Research Methods and Recommendations e un gruppo internazionale di ricercatori di sei continenti per sviluppare una “living map” che offra le raccomandazioni evidence-based non solo per la prevenzione e la cura di covid-19, ma anche per la gestione della Chronic post-covid-19 syndrome e Post-acute covid-1910. Se covid-19 Map può potenzialmente garantire ai decisori – politici e clinici – un repertorio completo e ragionato di prove valutate criticamente, è comunque necessario un impegno condiviso di istituzioni di governo e istituzioni di ricerca e assistenza per tradurre queste “mappe” in percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali adattati a contesti e specifiche popolazioni. Proprio per queste ragioni Fondazione ReS, in collaborazione con il Pensiero Scientifico Editore, intende attivare un Osservatorio Nazionale sulla “Long Covid Syndrome”, d’intesa con gli esperti, con le Istituzioni e le Regioni.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Lokugamage AU, Taylor S, Rayner C. Patients’ experiences of “longcovid” are missing from the NHS narrative. BMJ Opinion 2020; 10 luglio.

2. Lowenstein F, Davis H. Long covid is not rare. It’s a health crisis. New York Times 2021; 17 marzo.

3. Sacks B. Covid is making younger, healthy people debilitatingly sick for months. Now they’re fighting for recognition. Buzzfeed 2020; 21 agosto.

4. Mandrola J. Why long covid worries me. Medscape 2021; 5 aprile.

5. Nalbandian A, Sehgal K, Gupta A, et al. Post-acute COVID-19 syndrome. Nat Med 2021; 27: 601-15.

6. Collins FS. NIH launches new initiative to study “Long Covid”. National Institutes of Health website 2021; 23 febbraio.

7. Lambert NJ; Survivor Corps. COVID-19“Long Hauler” Symptoms Survey Report. Indianapolis, IN: Indiana University School of Medicine, 2020.

8. Ayoubkhani D, Khunti K, Nafilyan V, et al. Post-covid syndrome in individuals admitted to hospital with covid-19: retrospective cohort study. BMJ 2021; 372: n693.

9. Collins FS. Predicting ‘Long covid syndrome’ with help of a smartphone app. The NIH Blog 2021; 23 marzo.

10. COVID19 Recommendations. Disponibile su: https://covid19.recmap.org/grid [ultimo accesso 29 aprile 2021].