Dalla letteratura

Consapevolezza dei cittadini
e partecipazione
agli studi clinici

Quanto pesano le sciocchezze, le fake news nella nostra risposta alle malattie? Quanto incide la consapevolezza e il discernimento critico di un paziente nel suo accettare di farsi reclutare in uno studio clinico? La diffusione di false notizie aggrava a livello popolare una certa persistente sfiducia nella scienza, assommandosi a una sostanziale e legittima incapacità di stimare i vantaggi derivanti dalla partecipazione ai trial.

Uno studio prospettico osservazionale, promosso da un gruppo italiano, ha indagato le opinioni dei pazienti oncologici sugli aspetti della ricerca clinica, stimando le loro aspettative, il livello di comprensibilità del consenso informato e l’impatto del fenomeno delle fake news1. Massimo Di Maio, partecipante allo studio, ha dichiarato di aver «aderito con entusiasmo a questo studio, sia per l’obiettivo che persegue (attenzione alla comunicazione e al punto di vista del paziente), sia perché coinvolge attivamente nel disegno e nella conduzione dello studio gli study coordinator, figura fondamentale nella ricerca clinica moderna».




Dal gennaio 2018, ottenuta l’approvazione dei comitati etici, lo studio ELPIS è stato avviato in nove unità di oncologia medica italiane. Dopo aver firmato il consenso informato, ai pazienti è stato chiesto di compilare un questionario, composto da una serie di domande a scelta multipla e a punteggio Likert. Nel gennaio 2021 sono stati arruolati 115 pazienti, con una distribuzione di genere bilanciata e una prevalenza di soggetti di età superiore ai 55 anni (79,8%). Rispetto alle loro conoscenze precedenti in ambito di ricerca clinica, il punteggio medio era 3,9 (range 1-5). La grande maggioranza degli intervistati (91,3%) aveva già iniziato una terapia sperimentale e molti usavano costantemente internet (65,2%) e i social network (34,8%). Più della metà (53,9%) ha dichiarato che il colloquio con il medico è stato sufficiente per una piena comprensione del consenso informato. In caso di dubbio, la maggioranza ha cercato il supporto del clinico (39,1%) mentre pochissimi (1,7%) si sono affidati al web.

Il punteggio medio attribuito al rapporto medico-paziente è risultato pari a 8,89 (range 1-10). Gli intervistati erano piuttosto fiduciosi nella loro capacità di ricercare autonomamente informazioni sulla loro malattia, di saper discriminare le fake news e di identificare siti affidabili (punteggio medio 3.26, 3.27, 3.09 rispettivamente, in un range di 1-5). I punteggi relativi alla presunta capacità di comprendere i risultati di uno studio clinico e di collaborare attivamente per produrre ricerca erano alti (punteggio medio 4,72 e 4,39 su un range di 1-5). In definitiva, i dati preliminari della ricerca dimostrano un buon livello di consapevolezza dei pazienti e una certa abilità e finezza nel comprendere le informazioni, discernendo le notizie vere da quelle false.

Ovvio quindi che si deve insistere su questa strada, implementando altre iniziative formative per la popolazione in vista di un ulteriore miglioramento, sperando di ottenere un coinvolgimento ancora maggiore dei pazienti anche nelle prime fasi della ricerca.

In collaborazione con Oncoinfo.it

Bibliografia

1. Cagnazzo C, Franchina V, Toscano G, et al. Cancer patients’ awareness about clinical research in the era of social media and “fake news”: preliminary results from ELPIS Study. J Clin Oncol 2021; 39 (15 suppl): e24121-e24121.

Vaccino Pfizer/BioNTech
e rischio di miocardite
nei giovani

Il vaccino anticovid-19 prodotto da Pfizer/BioNTech potrebbe associarsi, nei soggetti più giovani, a un rischio maggiore di sviluppare una miocardite. Un’analisi preliminare presentata dall’Immunization Safety Office dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti ha infatti messo in evidenza, in questa popolazione, un’incidenza bassa ma superiore a quella attesa, specie dopo la seconda dose1. Di recente anche l’European Medicines Agency (EMA) ha diramato una nota in cui comunica di aver avviato, tramite il Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC), un’indagine finalizzata a valutare la relazione tra vaccinazioni anti-covid e rischio di miocardite e pericardite. Ulteriori studi saranno comunque necessari per stabilire o meno un possibile nesso causale tra le due variabili.

I dati provenienti dal sistema di farmacovigilanza governativo Vaccine Adverse Events Reporting System (VAERS) mostrano in particolare un’incidenza maggiore di miocardite negli adolescenti e giovani adulti di sesso maschile rispetto ai soggetti adulti di entrambi i sessi. I vaccini per cui è stato individuato un possibile legame sono quelli a mRNA: Pfizer/BioNTech e Moderna. Nello specifico, su 12 milioni di dosi somministrate negli Stati Uniti a soggetti di età compresa tra 16 e 24 anni sono state registrati 275 casi infiammazioni del muscolo cardiaco. L’incidenza di miocardite e pericardite è risultata superiore ai valori attesi sia nella fascia di età 16-17 anni (79 vs. 2-19) che in quella 18-24 (196 vs. 8-83).

Come sottolineato in un’intervista a Medscape da William Schaffner, infettivologo della Vanderbilt University di Nashville, alcuni elementi sembrano suggerire l’esistenza di una possibile relazione causale tra la somministrazione di questi vaccini in giovane età e l’aumentato rischio di miocardite. Ad esempio, gli eventi tendono a verificarsi nei primi giorni dopo la somministrazione e a colpire soprattutto i soggetti più giovani di sesso maschile. Secondo quanto riportato dai CDC, poi, i soggetti appartenenti alla fascia 16-24 hanno ricevuto solo il 9% delle dosi di vaccino distribuite fino a ora negli Stati Uniti mentre è riconducibile a loro il 52,5% delle segnalazioni di miocardite. Non sono ancora disponibili dati sufficienti, invece, per quanto riguarda la fascia di età compresa tra 12 e 16 anni per cui l’unico vaccino attualmente approvato è quello Pfizer/BioNTech.




Le informazioni provenienti da un altro sistema di farmacovigilanza dei CDC, il Vaccine Safety Datakink (VSD), non hanno invece messo in evidenza un’incidenza di miocardite superiore alle attese in questa popolazione. È però emerso un aumento del rischio di sviluppare un’infiammazione del miocardio dopo la seconda dose. Di recente infine, è stato pubblicato sulla rivista Pediatrics un report relativo a 7 adolescenti, tutti maschi e di età compresa tra i 14 e i 19 anni, colpiti da miocardite entro i 4 giorni successivi la seconda dose del vaccino Pfizer/BioNTech2. Tutti i soggetti presi in considerazione sono stati trattati con anti-infiammatori e dimessi nel giro di qualche giorno.




Un esito favorevole è stato registrato anche in una piccola casistica di 7 pazienti colpiti da una miocardite in seguito alla somministrazione di un vaccino anti-covid-19 (Pfizer/BioNTech in 5 casi, Moderna e Johnson&Johnson negli altri due), pubblicati su Circulation3. In soggetti in questione erano tutti maschi, di età compresa tra 19 e 39 anni, ricoverati tra 3 e 7 giorni in seguito alla vaccinazione per un’infiammazione del miocardio documentato da livelli elevati di troponina cardiaca I o troponina a elevata sensibilità. Come riportato dagli autori, anche in questo caso tutti i pazienti sono stati dimessi in 2-4 giorni dopo aver ricevuto un trattamento basato su beta-bloccanti e anti-infiammatori.

Trattandosi di evidenze provenienti da studi osservazionali e serie di casi non è ancora possibile stabilire con certezza un nesso causale tra le due variabili. Attualmente l’agenzia regolatoria europea sta studiando la relazione tra vaccini a mRNA e rischio di miocardite in termini di “segnale di sicurezza”: il termine dello studio è previsto per il mese di luglio. Nella pagina dedicata del sito web dei CDC si sottolinea comunque come la vaccinazione anti-covid-19 resti consigliata in tutti i soggetti con età superiore ai 12 anni sulla base dei rischi associati all’infezione da SARS-CoV-2. Lo stesso vale per quanto riguarda le indicazioni dell’EMA e di altre agenzie regolatorie. Alla luce del basso tasso di ospedalizzazione per covid-19 e complicanze riscontrato nei soggetti più giovani, tuttavia, alcuni esperti hanno manifestato dei dubbi sull’utilizzo dei vaccini in questa fascia di età in questa fase, suggerendo di realizzare trial clinici più lunghi prima di procedere con una vaccinazione di massa.

Fabio Ambrosino
In collaborazione con Cardioinfo.it

Bibliografia

1. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Clinical considerations: myocarditis and pericarditis after receipt of mRNA COVID-19 vaccines among adolescents and young adults.

2. Marshall M, Ferguson ID, Lewis P, et al. Symptomatic acute myocarditis in seven adolescents following Pfizer-BioNTech COVID-19 vaccination. Pediatrics 2021; e2021052478.

3. Rosner CM, Genovese L, Tehrani BM, et al. Myocarditis temporally associated with COVID-19 vaccination. Circulation 2021; doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.121.055891

La discussione sull’obbligo vaccinale negli Stati Uniti

«Come possiamo aumentare le persone vaccinate? Obbligando». La posizione del medico e bioeticista Ezekiel Emanuel è spiegata su un suo commento pubblicato sul New York Times il 14 aprile 20211. «I vaccini dovrebbero essere resi obbligatori per gli operatori sanitari e per tutti gli studenti che intendono frequentare le lezioni in presenza il prossimo autunno, compresi i bambini più piccoli una volta che il vaccino sarà autorizzato anche per loro dalla Food and Drug Administration (FDA). I datori di lavoro dovrebbero anche essere preparati a rendere obbligatori i vaccini per le guardie carcerarie, gli operatori sanitari, gli agenti di polizia, i vigili del fuoco e gli insegnanti se il dato complessivo sulle vaccinazioni non raggiungesse il livello richiesto per determinare l’immunità di gregge. In mancanza di un obbligo, a questi lavoratori dovrebbe essere ricordato che questi vaccini si sono dimostrati sicuri e sono importanti non solo per la loro salute, ma per la salute di coloro con cui hanno a che fare nel loro lavoro».

Prosegue Emanuel: «Gli operatori sanitari sono professionisti il cui obbligo primario è la salute e il benessere dei loro pazienti. [...] Tranne in casi estremi, le loro preferenze personali sono secondarie. Quando rifiutano di essere vaccinati, mettono le proprie preferenze al di sopra della salute e della sicurezza dei loro pazienti. Nessun paziente dovrebbe preoccuparsi avendo incertezza riguardo la probabilità che il suo medico, infermiere o tecnico di laboratorio che esegue un prelievo sia vaccinato. Le strutture sanitarie dovrebbero richiedere a tutti i loro dipendenti di essere vaccinati per il coronavirus, proprio come molti fanno per l’influenza».

A distanza di alcune settimane, però, è iniziata una serie di segnalazioni di casi di miocarditi sintomatiche acute in ragazzi a cui era stato somministrato il vaccino Pfizer. Su Medscape sono apparsi diversi commenti, tra i quali quello del cardiologo John Mandrola: «L’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha preso nota del problema e ha richiesto maggiori informazioni e valuterà se sia necessaria qualsiasi altra azione normativa. E ieri, durante un rapporto alla FDA degli Stati Uniti, Tom Shimabukuro del Center for Disease Control and Prevention Immunization Safety Office, ha riferito che l’agenzia ha ricevuto segnalazioni di 275 casi nella fascia di età tra i 16 e i 24 anni al 31 maggio. Questo ha superato di molto il numero previsto di casi di miocardite».




«I miei commenti – prosegue Mandrola – riflettono il punto di vista di un marziano al di sopra delle parti che guarda semplicemente al calcolo del rischio/beneficio e non è toccato dalla polarizzazione e dall’ideologia che circondano covid-19. Se c’è un nesso causale, che sembra sempre più probabile date le prove circostanziali che provengono da fonti diverse, la probabilità che un giovane soffra di miocardite dopo la vaccinazione è molto bassa, che va da un massimo di 1 su 3000 a un minimo di 1 su 100.000. Ma in questa fascia di età, anche il rischio di soffrire di covid grave è molto bassa. Inoltre, in questo momento, la prevalenza di covid-19 nella comunità è bassissima. Forse dovremmo dedicare qualche mese in più alla raccolta di dati sugli effetti avversi del vaccino in questa fascia di età prima di emettere l’approvazione di emergenza. Il calcolo per i giovani è semplicemente diverso dagli adulti più anziani. […] Sono solo un elettrofisiologo, ma mi sembra che abbiamo messo all’angolo covid-19 semplicemente vaccinando gli adulti suscettibili. Perché non aspettare più dati prima di estendere la vaccinazione ai giovani?».

Bibliografia

1. Emanuel EJ, Glickman A, Diana A. These people should be required to get vaccinated. The New York Times 2021; April 14.

Conflitti di interesse,
linee guida e riviste

Non si parla molto di conflitti di interesse e neanche di linee guida. Sembrano essere due argomenti passati di moda, vuoi per l’estrema urgenza di prendere decisioni in tempo di pandemia, vuoi per la relativa carenza di evidenze capaci di informare le scelte del medico e dei decisori. In altre parole, le costanti “accelerazioni” nei processi regolatori e nel medical publishing sembrano essere un forte deterrente per qualsiasi processo di valutazione critica delle prove.

Nonostante i tempi non favorevoli, però, un nutrito gruppo di ricercatori canadesi ha deciso di riflettere sulle best practice per la gestione dei conflitti di interesse (COI) nello sviluppo di linee guida cliniche, attingendo all’approccio del Guidelines International Network (GIN), nonché da una verifica del panorama canadese e internazionale1. Sebbene i principi del GIN siano un framework importante per la valutazione e la gestione dei COI, non sono esaustivi e restano sfide ulteriori. Per esempio – osservano gli autori dello studio – «i principi del network non obbligano gli sponsor a dichiarare i propri interessi e non affrontano i conflitti di interesse istituzionali, come i finanziamenti dell’industria alle università». Poiché invece questo tipo di finanziamenti è molto frequente, sarà necessario continuare a lavorare perché gli interessi “conflittuali” siano dichiarati e resi trasparenti. «Dovrebbe essere preso in considerazione anche il coinvolgimento dei pazienti nelle linee guida – aggiungono – in particolare se i partner dei pazienti ricevono finanziamenti per fare attività di advocacy. Oltre alla potenziale espansione futura dei principi del GIN, le norme editoriali delle riviste e gli strumenti per la valutazione delle linee guida potrebbero entrambi svolgere un ruolo nell’affrontare queste mancanze».




Dovrebbe dunque giungere un aiuto dalle riviste scientifiche? Certamente, ma anche su questo versante non siamo vicinissimi alla meta. Uno studio pubblicato su Annals of Surgery2 ha identificati un totale di 1.002 nomi di esponenti del comitato editoriale delle prime 10 riviste statunitensi di chirurgia per impatto. Dei 688 medici residenti negli Stati Uniti, 452 (65,7%) hanno ricevuto pagamenti da industrie del settore nel 2018, per un totale di 21.916.503 dollari con un importo medio per medico di 1.253 dollari. La quantità di denaro percepito variava in base alla specialità chirurgica e alla rivista. Gli autori della ricerca concludono sottolineando che i finanziamenti del settore agli esponenti del comitato editoriale di riviste di chirurgia indicizzate e con elevato impact factor sono frequenti e sottostimati. Sono necessari meccanismi che rendano trasparenti i COI a livello di comitato editoriale per fornire ai lettori piena conoscenza dei conflitti di interesse.

Bibliografia

1. Traversy G, Barnieh L, Akl EA, et al. Managing conflicts of interest in the development of health guidelines. CMAJ 2021; 193: E49-54.

2. Elsolh B, Brar A, Gyawali B, Patel SV. Reviewing the reviewers: potential financial conflicts of interest in editorial boards of surgery journals. Ann Surg 2021; Jun 2. doi: 10.1097/SLA.0000000000004929.