Recensione

La freccia di Apollo

di Stefano Cagliano




Oggi, la vicenda covid sembra avere un sapere molto diverso, almeno nei Paesi industrializzati. Non è più il tempo dell’inizio. Quasi non abbiamo più memoria della tragedia che ha vissuto il mondo intero. Di recente su The BMJ è stato scritto che la covid è stata la malattia più nichilista che sia stata affrontata in terapia intensiva. Una cosa che dunque dovremo fare nel leggere le pagine di La freccia di Apollo è proprio ricollocare il lavoro nel tempo giusto, a partire dai primi mesi del 2019 quando la malattia esplose come una “bomba lenta” in tutto il mondo.

Questa è una nota iniziale per avere un’idea del genere di libro che voglio presentarvi: la bibliografia è fatta di 53 pagine e si tratta di riferimenti che testimoniano le preferenze di un autore accademico e statunitense (solo un paio di voci rimandano a The BMJ). Ecco qualche frase chiave tratta dal libro: «Uno dei più grandi misteri delle epidemie riguarda il motivo per cui alcune zone vengono colpite mentre altre risparmiate». «Indossare la mascherina dovrebbe essere considerato un dovere civico al pari di votare». «L’Italia ha chiuso le scuole in modo reattivo a livello nazionale all’inizio di marzo, troppo tardi per contrastare la forza dell’epidemia». «Le epidemie finiscono ma il modo in cui arriveremo alla fine e in cui affronteremo questa minaccia antica ci definirà come persone».

L’autore, Nicholas Christakis, medico e sociologo, lavora presso l’Università di Yale dove dirige lo Human Nature Lab ed è condirettore dello Yale Institute for Network Science. Questo riflette la sua cultura polifonica e contribuisce a spiegare perché la rivista Time lo abbia inserito nel 2009 tra le 100 le persone più influenti del nostro tempo. Secondo Christakis, la cultura e non la forza è stata la prima risorsa “sul campo” contro la SARS-CoV-2 negli Stati Uniti.

Il libro si compone di Prefazione, otto capitoli, bibliografia e indice analitico. Già nelle pagine introduttive leggiamo che la catastrofe ci ha chiesto di affrontare il nemico con gli strumenti di oggi, ma anche affidandoci alla saggezza del passato. «Mentre scrivo, nell’agosto 2020, – osserva l’autore – oltre 155.000 americani e oltre 680.000 persone in tutto il mondo sono morte e se ne conteranno molte altre». Ma lo sguardo verso il passato è solo parzialmente utile perché non conosciamo ancora molte cose sul piano biologico, clinico, epidemiologico, sociale, economico e politico. Compresi – aggiunge l’autore – gli effetti a lungo termine sulla nostra salute o in che modo il distanziamento fisico può aver «influenzato la salute mentale e l’educazione dei nostri bambini». Il fatto è che «le nostre azioni stanno cambiando il corso della storia. Ma è difficile dire con certezza cosa accadrà. E c’è molto altro che scopriremo solo con il passare del tempo».

I capitoli sono da leggere tutti, per ragioni diverse, ma qui ne ricordo solo alcuni. Nel primo per esempio – Una cosa infinitesimale – l’autore parte dal 2019 e racconta di Wuhan in Cina. Nel capitolo si discute l’origine della malattia in Cina e la sua diffusione in altri Paesi, anche negli Stati Uniti. Si spiega la genetica del virus, la sua biologia e il quadro dei sintomi. Con drammatici salti nel passato si torna a riflettere sulla peste, le pestilenze e le epidemie.

Nei capitoli successivi le questioni affrontate sono ovviamente diverse. Dal ricordo ampio e motivato del contributo “fattivo” di Carlo Urbani, infettivologo dell’OMS, che scomparve «lasciando un ricordo pieno di ammirazione nell’ambito della salute pubblica» alla denuncia dell’operato del presidente statunitense Trump: «Una cosa è dire, con esattezza, che il virus ha avuto origine in Cina, tutt’altra cosa è considerare questo come un attacco. […] Trump ha dichiarato “Questo è veramente il peggiore attacco che abbiamo mai subito. È peggio di Pearl Harbour. È peggio del World Trade Center”».

Nel terzo capitolo – Separarsi – l’autore racconta l’evolversi della situazione pandemica negli Stati Uniti. Mentre da una parte si diffondevano le mascherine, dall’altra cresceva la protesta. «Non potevo credere ai miei occhi – racconta – […] quando ho visto il vicepresidente visitare la Mayo Clinic senza mascherina, mentre tutti intorno a lui la avevano indossata». Anche qui la rievocazione di eventi storici non ha scopo solo descrittivo perché i fatti e gli eventi sono spesso in qualche modo preparatori dei successivi.

Il sesto capitolo – Unire le forze – anche se parte da Hemingway e dalla sua descrizione di persone morenti, è l’analisi delle forze che possono concorrere in tempi più recenti alla sconfitta della malattia. E così si prende in considerazione il distanziamento fisico, associato all’altruismo, per passare alla descrizione della forza, allora forse solo ipotizzata, dei vaccini.

La lettura del capitolo settimo – Le cose cambiano – mi ha fatto uno strano effetto, in particolare per questo titolo. Non si può proprio dire che Christakis sia misericordioso con i suoi colleghi. Sappiamo che secondo alcune rilevazioni gli errori sono uno dei principali killer della società contemporanea. Se non bastasse, «la brutta verità è che la maggior parte di queste [infezioni] deriva da errori prevenibili durante le procedure di sterilizzazione, ovvero da scarsa igiene». Ci si può immaginare che le cose possano cambiare, ma la strada sembra lunga visto che Christakis osserva: «come medico ho trovato questi risultati straordinariamente demoralizzanti». Il problema è complesso: siamo più ignoranti di quanto crediamo. «Per prima cosa – dice l’autore – c’è stato un progressivo rinnegamento della scienza che è arrivata a essere considerata da molte persone uno strumento al servizio della politica».

Come recensendo un libro giallo, sul capitolo ottavo – Come finiscono le epidemie – non dirò nulla: vi lascio alla lettura del libro.

È un libro da non perdere. Non solo illustra il dramma covid-19 sul piano scientifico e umano, ma sono pagine di un dialogo a tre, tra l’intelligenza umana, la medicina e il senso della storia.