In questo numero

“A questo poi ci pensiamo”. È il titolo di un libro uscito da poco, pubblicato da Mondadori, che raccoglie dei brevi scritti dello sceneggiatore Mattia Torre, non pubblicati quando l’autore era ancora in vita. Ma è anche la frase che sintetizza l’approccio che caratterizza le politiche sanitarie italiane (e non solo) da due anni.

Salta fuori una nuova variante in Sudafrica? Blocchiamo i voli da mezzo continente africano e poco importa se per quelle nazioni già così in difficoltà un provvedimento del genere potrebbe rivelarsi drammatico: a questo – e al resto – poi ci pensiamo. I numeri della pandemia stanno aumentando? Mettiamo l’obbligo di green pass pure sul trasporto urbano: a come riuscire a controllare chi ce l’ha poi ci pensiamo. Una revisione sistematica uscita sul BMJ spiega che l’utilità di indossare le mascherine all’aperto non è sostenuta da prove di cui possiamo fidarci? Non investiamo un euro per acquisire dati robusti e lasciamo che i governatori regionali decidano sull’obbligo di usarle: a giustificare la raccomandazione poi ci pensiamo. Solo il 2,5% di chi vive nei Paesi poveri è vaccinato? Intanto facciamoci noi il richiamo: al resto poi ci pensiamo. Il comunicato stampa di un’azienda farmaceutica dice che un antivirale che costa 750 dollari a dose riduce del 3% i ricoveri dei pazienti positivi a Sars-CoV-2: compriamone 50 mila dosi, al perché le abbiamo comprate, a come e a chi darle poi ci pensiamo. Il PNRR aggiunge 2,63 miliardi di euro alla possibile spesa per la digitalizzazione della sanità? Compriamo 2648 nuovi dispositivi medici, per la precisione 305 TAC a 128 strati, 167 macchine a risonanza magnetica, 83 LINAC, 863 sistemi radiografici fissi, 154 sistemi per angiografia, 75 Gamma-Camere, 44 CT Gamma-Camere, 295 apparecchiature per mammografia, 662 sistemi a ultrasuoni: al resto (alla formazione dei professionisti, a cosa porterà questo sforzo tecnologico in ottica diagnostica) poi ci pensiamo.

Una rivista come Recenti Progressi in Medicina può dare un contributo suggerendo argomenti che meriterebbero una riflessione tempestiva: pensiamo alla necessità di ricostruire fiducia nel servizio sanitario (ne ha parlato Sandro Spinsanti sul numero di gennaio 2021), all’utilità di promuovere progetti di studio incentrati sull’efficacia dei percorsi terapeutici (studi sul percorso del paziente) invece che sui singoli farmaci (vedi l’editoriale di Francesco Perrone a febbraio), all’ammissione della e alla convivenza con l’incertezza del sapere ai tempi della pandemia (a marzo abbiamo pubblicato la living systematic review del Dipartimento di Epidemiologia del Lazio), alle tante implicazioni dell’esitanza vaccinale (Giacomo Galletti ad aprile), alla “voce dei minori” durante la pandemia (editoriale di Federico Marchetti e due revisioni sistematiche a maggio), ai grandi dubbi sui farmaci per la demenza o sui brevetti sui vaccini contro covid-19 (vedi il numero di luglio). Potremmo continuare, ma ci fermiamo qua.

Siamo arrivati alla fine del secondo anno di pandemia, e la conclusione la detta proprio Mattia Torre. “Dobbiamo brindare”. “A cosa?” “A questo poi ci pensiamo”.