Dalla letteratura

Le prove “viventi”

«Quando il mondo ha iniziato a rispondere alla pandemia di covid-19 lo scorso anno, c’è stata un’esplosione di linee guida, articoli di commento e protocolli, molti di bassa qualità e contraddittori». L’articolo uscito su Nature News1 con prima firma quella di Julian Elliott (direttore dello Australian Living Evidence Consortium, che fa riferimento a Cochrane Australia presso la Monash University di Melbourne) spiega in modo chiaro e sintetico cosa sono e perché sono utili le living review, uno degli strumenti destinati a rivelarsi più importanti nei prossimi anni per chi lavora in sanità. Molti dei ricercatori autori dell’articolo già due mesi dopo l’avvio della pandemia si sono rivolti all’Australian National Health and Medical Research Council, preoccupati che la generazione di una massa di informazioni e dati di cattiva qualità ed eccessiva potesse creare confusione e ansia tra i medici già messi a dura prova dall’attività clinica. «Abbiamo chiesto che gli organismi chiave facessero rapidamente squadra e utilizzassero processi robusti e basati sulle prove per distillare le cose importanti all’interno dei risultati della ricerca su covid-19. Due settimane dopo, abbiamo formato una task force e prodotto la prima versione delle linee guida nazionali covid-19 basate sulle prove. Ci siamo impegnati ad aggiornare le linee guida ogni settimana, una cosa che non era mai stata fatta prima».

Le revisioni sistematiche condotte nel modo tradizionale (sono tantissime: erano circa 6000 nel 2011 e sono diventate oltre 45.000 nel 2021) hanno il limite di diventare obsolete non appena ricerche di buona qualità si aggiungono a quelle incluse nella revisione. In assenza di sintesi aggiornate delle conoscenze accumulate, l’attenzione dei decisori spesso salta da uno studio all’altro. Questo rende confuse le scelte di politica sanitaria, alimenta le discussioni ed erode la fiducia nel metodo scientifico. Un sistema migliore permetterebbe di disporre quasi in tempo reale di prove sintetizzate e sistematizzate.

Le living systematic review sono un approccio diverso alla sintesi sviluppato per affrontare questi problemi. Il risultato sono delle sintesi delle prove sia rigorosi (tutte le ricerche pertinenti sono state attentamente valutate) sia aggiornate. Diventano particolarmente importanti quando è necessario conoscere i risultati della migliore ricerca su questioni in rapido cambiamento, riguardo le quali permane grande incertezza e nuovi dati potrebbero modificare le politiche o l’assistenza. È un metodo che promette di ridurre i costi, prevenire gli sprechi nell’attività di ricerca (evitando le ridondanze e sconsigliando dall’avviare nuovi studi su questioni già chiarite), migliorare il percorso di pubblicazione e favorire l’implementazione nella pratica dei risultati degli studi.

«I progressi compiuti durante la pandemia di covid-19 dovrebbero estendersi anche oltre la salute. Chiediamo ai ricercatori di tutti i campi della scienza e ai loro finanziatori di mettere alla prova il modello delle living systematic review in diversi ambiti. La sperimentazione di questo approccio con diversi tipi di prove, per un’ampia gamma di decisori, contribuirà all’avanzamento e al miglioramento del modello. La scienza non sta ferma; e neanche la sintesi dei dati e la loro traduzione in azioni concrete».




Bibliografia

1. Elliott J, Lawrence R, Minx JC, et al. Decision makers need constantly updated evidence synthesis. Nature 2021; 600: 383-5.

Il prezzo giusto (dei farmaci) in un mondo ingiusto

«La gente pensa che la cura del cancro sia insostenibile a causa dei prezzi elevati dei farmaci antitumorali» ha scritto Dario Trapani sul numero di dicembre delle Perspectives della European Society of Medical Oncology (ESMO)1. «Alcuni affermano che le innovazioni in oncologia avvengono principalmente grazie a massicci investimenti nel settore privato: senza imprenditori lungimiranti con una visione brillante e idee intelligenti, che affrontano bisogni di salute insoddisfatti, non avremmo osservato alcun miglioramento significativo della ricerca sul cancro negli ultimi 30 anni. Sono anche convinti che il contributo della scienza di base e del mondo accademico al progresso non sia tangibile: è trascurabile». È una narrazione finalizzata a sottolineare che i costi elevati sono semplicemente inevitabili, osserva Trapani. «Dire ad alta voce che il prezzo dei farmaci antitumorali potrebbe essere parte del problema è un tabù».

La riflessione dell’oncologo italiano – ora al Dana Farber Cancer Institute di Boston – avrebbe meritato di essere ripresa e discussa approfonditamente sia dai clinici italiani, sia dall’autorità regolatoria. Nell’aprile 2021, 125 Paesi si sono riunite in un consesso internazionale ospitato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il “Fair Pricing Forum”, sostenendo infine che il prezzo di un medicinale dovrebbe consentire di soddisfare i bisogni sociali, senza aumentare le disparità2. «La mancanza di regole trasparenti e di criteri definiti per strutturare prezzi equi è causa di iniquità» sottolinea Trapani riprendendo l’esito dei lavori del Forum.

In linea di principio, in ambito oncologico la protezione dei pazienti dall’incorrere in una tossicità finanziaria inaccettabile dovrebbe essere un fondamento del processo decisionale. In concreto, la spesa sanitaria distruttiva per nucleo familiare potrebbe essere dichiarata quando il 40% del reddito di una famiglia o il 25% della spesa familiare è investito in assistenza sanitaria, o quando le persone si impoveriscono al di sotto della soglia di povertà a causa della spesa sanitaria. I costi inarrivabili di alcune strategie di trattamento possono avere un impatto devastante non solo sul singolo individuo o su una famiglia, ma anche a livello sociale, rendendo complessivamente insostenibile il sistema sanitario e compromettendo l’allocazione delle risorse sanitarie basata sul valore.

«Quando si parla di sostenibilità, la parola magica è valore» ricorda Trapani. «C’è un dibattito in corso tra chi sostiene che i prezzi debbano rispecchiare il valore degli interventi sanitari all’interno dei confini dell’accessibilità, echi è convinto che i prezzi debbano essere basati sulla semplice probabilità dei contribuenti di poter pagare una certa cifra. In altri termini, dobbiamo chiederci se un sistema sia abbastanza equo quando i prezzi dei farmaci essenziali e degli interventi di alto valore sono dettati dalle semplici leggi del mercato o se dovrebbero in qualche modo essere permeati da principi morali». Di fatto, l’entità del beneficio clinico dei farmaci non viene mai considerata per fissare i prezzi.

C’è poi la posizione di chi si mostra scettico nei confronti di qualsiasi ragionamento basato su una valutazione di costo-efficacia, sostenendo che qualsiasi potenziale trattamento debba poter essere erogato. «A me, questo sembra anacronistico, poiché l’assistenza oncologica si sta muovendo verso approcci personalizzati, che comprendono la de-intensificazione del trattamento o la de-escalation delle terapie. Personalizzare i trattamenti significa offrire la migliore opzione di cura disponibile a chi ha maggiori probabilità di trarre i maggiori benefici e sperimentare la minore tossicità possibile. La promessa della medicina di precisione, come viene comunemente formulata, dovrebbe in definitiva aumentare l’efficacia in termini di costi piuttosto che ridurla. Al giorno d’oggi, il compromesso tra tutto ciò che possiamo fare, tutto ciò che è più efficace e tutto ciò che è importante per un paziente rappresenta il passaggio da un approccio paternalistico a un approccio centrato sul paziente».

Secondo Trapani – e qui la sua posizione sollecita un’importante ulteriore riflessione – non dovremmo nemmeno accettare un prezzo eccessivo per interventi di valore. «Esiste un imperativo morale per migliorare l’accesso a interventi di alto valore, attraverso cure di qualità a prezzi accessibili». Dovrebbe essere riformato l’intero sistema e «le autorità competenti dovrebbero svolgere un ruolo determinante nel frenare pratiche tariffarie senza scrupoli, proteggendo in definitiva il benessere pubblico».




Bibliografia

1. Trapani D. Fair pricing in an unfair world: what is the value? Perspectives 2021; 15 dicembre.

2. Moon S, Mariat S, Kamae I, Pedersen HB. Defining the concept of fair pricing for medicines. BMJ 2020; 368: l4726.

Manifesto per rendere l’assistenza adatta alla persona

Marleen Kunneman1,2, Ingeborg PM Griffioen1,3, Nanon HM Labrie4, Maria Kristiansen5, Victor M Montori2, Mara M van Beusekom6 the Making Care Fit Working Group

1Medical Decision Making, Department of Biomedical Data Sciences, Leiden University Medical Center, Leiden, The Netherlands; 2Knowledge and Evaluation Research Unit, Mayo Clinic Rochester, Rochester, Minnesota, USA; 3Faculty of Industrial Design Engineering, Delft University of Technology, Delft, Zuid-Holland, The Netherlands; 4Department of Language, Literature & Communication, Vrije Universiteit Amsterdam, Amsterdam, The Netherlands; 5Department of Public Health & Center for Healthy Aging, University of Copenhagen, Kobenhavn, Denmark; 6School of Medicine, University of St Andrews, St Andrews, Fife, UK.

*Questo articolo è stato originariamente pubblicato sulla rivista EBM-BMJ e va citato come: Kunneman M, Griffioen IPM, Labrie NHM, et al. Making care fit manifesto. BMJ Evidence-Based Medicine Published Online First: 23 November 2021. doi: 10.1136/bmjebm-2021-111871.

Per troppe persone, i piani assistenziali sono decisi senza tenere pienamente conto di chi è la persona per la quale quel percorso è definito, della vita che vive, di ciò che è importante per lei o per lui o di ciò che vorrebbe augurarsi. In altre parole, questi piani di cura sono progettati per “pazienti di questo tipo” piuttosto che per “questo paziente”. Per migliorare questa realtà, i ricercatori spesso propongono interventi – pensiamo ai patient decision aid o ai patient reported outcome – che possono scombussolare la pratica clinica e aumentare l’onere a carico del malato. Questi interventi hanno i pazienti come target, o meglio puntano il proprio sguardo sulle immagini, sui biomarcatori o sui numeri che rappresentano la loro malattia, piuttosto che verso la persona che sta incarnando il ruolo di paziente. Il successo degli strumenti consiste nella frequenza con cui i pazienti decidano di usarli o sui punteggi elevati raggiunti mentre i pazienti stessi sono sopraffatti dalle difficoltà di accesso e di utilizzo di questi stessi strumenti e da un’assistenza sanitaria che sempre di più ricorre alla self care.

Progettare un’assistenza che si adatti ai singoli malati richiede che i pazienti, i loro cari e i clinici lavorino insieme. Questi ultimi devono conoscere da vicino la situazione del paziente, al di là della sua biologia, e devono essere disponibili a costruire insieme percorsi che abbiano un senso. Questo lavoro di adattamento della cura avviene principalmente durante gli incontri clinici nei luoghi di cura. Mentre i pazienti cercano di rendere praticabili i piani assistenziali nel proprio ambiente individuale, lavorano per rendere le cure compatibili con la vita. Il paziente è di solito la sola persona che fa da ponte tra la vita personale e il setting assistenziale, e tutto quello che non viene discusso con il clinico non viene considerato quando si disegnano i piani di cura. Questo a sua volta porta a piani di cura di cui i pazienti non hanno bisogno, che non capiscono o che non possono mettere in atto nella loro vita reale. Il risultato è costoso e dannoso.

Nel marzo 2021, 25 persone provenienti da sette paesi (file supplementare online 1) si sono riunite per identificare e riflettere sulle condizioni necessarie per rendere l’assistenza adatta ad ogni paziente. Il loro position statement invita i clinici, i caregiver e i pazienti, i politici, i ricercatori e i direttori delle riviste scientifiche a lavorare per intensificare l’impegno per rendere più facile per i clinici, insieme ai pazienti e ai loro cari, offrire cure adeguate.

Position statement

Affinché l’assistenza si adatti al malato, dovrebbe essere:

più rispondente possibile alla situazione unica di ogni paziente. Dovrebbe riflettere la storia personale e di salute di ogni paziente e le circostanze della vita.

Più in linea possibile con le priorità del paziente. Deve mettere in primo piano i bisogni e i desideri dei pazienti, tenendo conto e sostenendo la loro capacità di affrontare la malattia, adattarsi e vivere serenamente. Dev’essere coerente con i valori di ciascun paziente e con i suoi obiettivi di vita, benessere e salute. Non deve fare danni. Derivare dalle prove della ricerca e dalle linee guida per “pazienti come questo” per disegnare in modo flessibile la cura per “questo paziente”. Deve sapere che le persone non sono uguali nella loro valutazione della vita e delle cure.

Deve disturbare il meno possibile la vita dei pazienti. Attraverso la conversazione, occorre capire come l’assistenza può contribuire a come la vita può o vuole essere vissuta. Deve comprendere che i pazienti hanno una capacità finita e variabile di prevenire eventi dirompenti, di farvi fronte e di adattarsi.

Deve disturbare il meno possibile gli affetti e le reti sociali dei pazienti. Dev’essere inclusiva e supportare in modo flessibile la comunità di cura di ogni paziente, compresi i suoi cari. Non dev’essere legata al contesto sanitario, ma entrare rispettosamente nello spazio di vita del paziente per sostenere il lavoro che i pazienti fanno sia nella, sia con la loro comunità per rendere le cure adeguate.

Affinché le cure siano adeguate:

Devono richiedere ai pazienti (e ai loro cari) e ai medici di collaborare. Devono ricorrere a una comunicazione che sia sensibile alla persona, adattando sia il contenuto sia il modo della conversazione ai bisogni e alle capacità dei malati nonché alla situazione. Questa conversazione è potenzialmente supportata da strumenti specifici. La cura dev’essere costruita attraverso relazioni paritarie tra paziente e medico, informata da rispetto reciproco, disponibilità ad accettare i contributi dell’altro, empatia, umanità e dignità.

Dev’essere un processo continuo e iterativo. I bisogni, i desideri, le capacità, le abilità e la situazione personale o sanitaria delle persone possono cambiare. I piani di cura dovrebbero quindi essere flessibili e continuamente modificati.

Sebbene l’obiettivo di rendere l’assistenza adatta sia quello di far migliorare la situazione dei pazienti, le conseguenze dell’assistenza hanno un impatto positivo sui pazienti, i loro cari, i clinici e i sistemi sanitari.

Faculty: Marleen Kunneman (kunneman@lumc.nl), Mara van Beusekom, Ingeborg Griffioen, Nanon Labrie.

Partecipanti: Dominique Allwood, Martijn Bauer, Mara van Beusekom, Karen Buckley, Sean Dinneen, Jane Edgar, Stuart Grande, Derek Gravholt, Ingeborg Griffioen, Anne Haddow, Ian Hargraves, Marij Hillen, Síofra Kelleher, Martha Kidanemariam, Maria Kristiansen, Marleen Kunneman, Nanon Labrie, Sara Laurijssen, Victor Montori, Miranda Moskie, Floor van Nuenen, Viet-Thi Tran, Nicole van Veenendaal, Liesbeth van Vliet.

Collaboratori: Erin Barreto, Rodney Mountain, David Vinkers, Moniek Voermans.

Alessandro Liberati (1954-2012) si è laureato in Medicina all’Università di Milano nel 1978, specializzandosi in Igiene e medicina preventiva nella stessa università nel 1982. Già prima della laurea iniziò lavorare all’Istituto Mario Negri, dove avrebbe poi diretto il Laboratorio di epidemiologia clinica per 12 anni. Dopo la specializzazione, ha trascorso diversi mesi negli Stati Uniti, presso la Harvard School of Public Health e la Rand Corporation. Tra i fondatori della Cochrane Collaboration (ora Cochrane), nel 1994 fondò il Centro Cochrane italiano che ha diretto per 18 anni. Nel 1996 fondò l’Associazione per la Ricerca sulla Efficacia della Assistenza Sanitaria la cui esperienza è proseguita dopo la sua morte con l’attività della Associazione Alessandro Liberati (http://associali.it/). Nel 1998 fu nominato docente di Statistica medica all’Università di Modena e Reggio Emilia e l’anno seguente assunse la direzione del Centro per la Valutazione dell’Efficacia dell’Assistenza Sanitaria con base nella stessa città. Nel 2002 avviò il Programma di ricerca e innovazione presso l’Agenzia sanitaria regionale dell’Emilia-Romagna, che ha coordinato fino al momento della sua morte nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio 2012. È stato vice presidente della Commissione nazionale per la ricerca sanitaria del Ministero della salute. A lui è dedicata la Biblioteca Medica virtuale del Servizio Sanitario Regionale del Lazio
(http://bal.lazio.it/).