Trent’anni di EBM: cosa è cambiato, cosa deve ancora cambiare

Giulio Formoso1

1Azienda USL di Reggio Emilia, Struttura Governo Clinico; Associazione Alessandro Liberati, Cochrane Affiliate Centre.

Pervenuto su invito il 19 dicembre 2021. Non sottoposto a revisione critica esterna alla direzione della rivista.

Riassunto. In generale, medicina basata sulle prove e pratica clinica non devono essere viste come due entità in contrapposizione. La prima suggerisce alcune regole per la realizzazione e la interpretazione degli studi, con l’obiettivo di migliorare la salute del maggior numero possibile di persone. L’insieme dei dati prodotti e la loro applicabilità devono essere interpretati tenendo conto del contesto clinico, delle caratteristiche e delle preferenze dei pazienti. Oltre a queste due realtà complementari, l’autore considera i problemi posti dalle linee guida, che possono sicuramente rivelarsi utili a patto che integrino in modo trasparente l’analisi delle prove disponibili con la valutazione della loro applicabilità e rilevanza riducendo il rischio di conflitti di interesse. Infine, l’articolo affronta sinteticamente il problema della formazione alla cultura della medicina basata sulle prove, segnalando le attività che a livello internazionale cercano di educare bambini e adolescenti al pensiero critico con riguardo alla propria salute.

Thirty years of EBM: what has changed, what has yet to change.

Summary. Evidence-based medicine and clinical practice should not be seen as opposing entities. Evidence-based medicine suggests some rules to design and interpretation of clinical research, with the aim of improving population and individual health. The set of data produced and their transferability to general context must be considered taking into account the clinical setting, and the characteristics of the patient and his values. Furthermore, the author considers the problems related to clinical guidelines, useful tools as long as they transparently combine the available evidence with the assessment of validity and relevance limiting risks related to conflicts of interest. Finally, the article underlines the importance of educational programs aimed at promoting critical thinking offered not just to health professionals, but also to children and adolescents.

Premessa

Se pensiamo che 30 anni fa si usava la calcitonina per l’osteoporosi, l’evidence-based medicine (EBM), definita come «l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori prove disponibili nel prendere decisioni riguardo i singoli pazienti»1, la pratica clinica un po’ l’ha cambiata. Il ruolo fondamentale di Alessandro Liberati nel promuovere la EBM in Italia è noto2.

Esistono almeno due livelli ai quali la EBM può agire: a monte, nei processi di approvazione delle autorità regolatorie; e a valle, nella pratica clinica. Una certa attenzione al rigore rappresentato dai criteri della EBM condiziona anzitutto le scelte sulla selezione e sulla rimborsabilità (in particolare dei farmaci) fatte dalle agenzie regolatorie, scelte che (come alla fine fu per la calcitonina) dovrebbero rispecchiare la disponibilità di dati scientificamente rigorosi sui benefici e sui rischi dei prodotti e sulla loro applicabilità. L’applicazione di criteri EBM ha per esempio consentito, attraverso la nota AIFA 963, di ridurre in modo importante gli usi di vitamina D non supportati da evidenze, anche se nonostante ciò questa vitamina resta uno dei farmaci più prescritti in Italia (contrariamente a quanto avviene in altri Paesi)4. Non bisogna tuttavia nascondere che, nei processi di approvazione, negli ultimi 10 anni si è osservata una tendenza a rilassare il rigore delle valutazioni per favorire una maggiore rapidità nell’approvazione degli interventi5, demandando poi a successivi studi una dimostrazione definitiva di un positivo rapporto tra benefici e rischi, dimostrazione che magari non arriva mai6. L’equilibrio tra rapidità di approvazione e dimostrazione di efficacia e sicurezza è sempre molto delicato e dovrebbe essere condizionato dai benefici attesi rispetto alle necessità di sanità pubblica, come abbiamo visto per i vaccini. Esistono casi in cui non sembra essere così, come per esempio per un nuovo farmaco per l’Alzheimer autorizzato negli USA dalla Food and Drug Administration (FDA), sul quale ci sono delle giustificate perplessità7, o per diversi farmaci antitumorali, approvati sulla base di indicatori surrogati ma che probabilmente non hanno impatto sulla sopravvivenza8. I criteri EBM possono quindi migliorare a monte la disponibilità di interventi appropriati e l’indisponibilità di interventi inappropriati, come spesso accade, ma l’applicazione di questi criteri ha certamente molti margini di miglioramento.

Anche a valle, cioè sul fronte della pratica clinica, il movimento EBM ha senz’altro portato una maggiore consapevolezza sulla necessità di supportare le decisioni attraverso una valutazione trasparente e rigorosa delle prove disponibili, e questo fornisce dei criteri per arginare un’eccessiva variabilità nei comportamenti clinici o un uso inappropriato degli interventi.

Le parole chiave: giudizi, trasparenza, incertezza, implementazione

Per evitare di scadere nella totale autoreferenzialità è necessario avere dei criteri per supportare le decisioni e con cui, in ultima analisi, poter valutare la pratica clinica. Quelli della EBM non sono però criteri rigidi, non rappresentano un semplice set di algoritmi con l’obiettivo di standardizzare la pratica clinica, come i suoi detrattori hanno da sempre sostenuto9. La valutazione dei migliori dati disponibili e il loro uso “coscienzioso e giudizioso” sono modulati da giudizi di valore, in particolare dall’esperienza clinica, dalla valutazione del contesto e dalle preferenze dei pazienti10. I criteri EBM richiedono però un esercizio di trasparenza che rende più difficile l’autoreferenzialità e le scelte che non hanno supporto dalle informazioni disponibili. A ogni modo, non bisogna avere l’aspettativa che la EBM sia una bacchetta magica che risolve i problemi indicando con certezza cosa è giusto e applicabile in qualsiasi contesto e cosa è sbagliato. Anzi, l’esplicitazione delle incertezze può essere considerata una caratteristica e un punto di forza della EBM.

Certo, i criteri vanno applicati con onestà e questo non sempre accade: l’interpretazione delle prove, la loro selezione e, a monte, la loro costruzione non sono sempre realizzate in modo imparziale. Esistono quindi distorsioni e conflitti di interesse che limitano il potenziale della EBM nel promuovere un cambiamento in meglio della pratica clinica. Ma la stessa disponibilità di criteri di valutazione può aiutare a riconoscere queste distorsioni.

Bisogna naturalmente sottolineare che esiste un problema di aggiornamento continuo delle informazioni disponibili, messo crudamente in evidenza in questo periodo pandemico (e che ha portato alla promozione delle “living systematic reviews”11); e che la disponibilità di informazioni scientificamente rigorose non si traduce automaticamente nella loro messa in pratica, e questo è un problema maggiore ma spesso sottovalutato. Bisognerebbe investire di più all’interno delle aziende sanitarie per supportare i clinici con informazioni rilevanti e aggiornate discusse all’interno di gruppi e con personale dedicato, come suggeriscono alcune positive esperienze fatte negli anni scorsi anche in Italia12,13. Altrimenti i medici devono prevalentemente basarsi sulle informazioni che portano gli informatori (che per ovvie ragioni non possono rappresentare la principale fonte informativa), o su quelle che, con tempo limitato e qualche difficoltà di interpretazione, riescono a trovare loro stessi su internet, o addirittura dovendo subire quelle che gli portano gli stessi pazienti.

Le critiche alla EBM

Bisogna sempre distinguere tra i principi generali, importantissimi, e la loro applicazione. Come si diceva, esistono numerose possibili distorsioni nella costruzione delle prove, nella loro selezione e nei giudizi che si possono dare sulla loro rilevanza. Un problema che si è certamente accentuato negli ultimi 10 anni è dato dall’esistenza di una pletora di riviste, molte delle quali di bassissima qualità, per cui basta pagare per pubblicare e per permettere ad altri l’accesso a queste pubblicazioni14 con possibilità di rimbalzo sui social. Un altro problema, ancora più rilevante, è la difficoltà di avere una revisione tra pari accurata degli studi anche su riviste di migliore qualità15, problema poi portato alle estreme conseguenze con la disponibilità di studi in pre-print. Inoltre, altro aspetto di fondamentale importanza, i conflitti di interesse possono portare a disegnare studi non esattamente orientati a rispondere a domande rilevanti per i pazienti, come in particolare Alessandro Liberati ha sempre sottolineato16,17.

È chiaro che nella situazione di emergenza determinata dalla attuale situazione pandemica questi problemi possono essersi accentuati, soprattutto nelle fasi iniziali e soprattutto considerando che la realizzazione di studi di buona qualità richiede la conoscenza del contesto clinico e una quantità di tempo adeguata, condizioni che evidentemente con la covid non potevano verificarsi se non dopo un certo tempo. La EBM rimane comunque un riferimento che, quando non applicato adeguatamente (per situazioni di contesto o per cattiva volontà), non è colpa del principio, ma della sua applicazione distorta.

Nel contesto pandemico, la realizzazione di ampi studi randomizzati di buona qualità può essere vista come un successo della EBM. Va tuttavia sottolineato che EBM non è sinonimo di studi randomizzati, spesso a loro volta criticati per non rappresentare adeguatamente la pratica clinica. Questi sono uno strumento fondamentale in ambito EBM, ma non l’unico. Nonostante l’emergenza, gli RCT ci hanno permesso di capire quando e quanto nei pazienti covid è utile usare cortisone, tocilizumab, anakinra o gli anticorpi monoclonali18. Ci hanno permesso di capire che idrossiclorochina o ivermectina non funzionano. Soprattutto, ci hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini.

A ogni modo, la EBM riguarda l’uso delle migliori informazioni disponibili e di queste fanno parte, per esempio, anche studi osservazionali e case report, che hanno dei limiti importanti ma possono integrare il quadro di evidenze, soprattutto per quanto riguarda la valutazione di esiti rari e a lungo termine (come è stato per i vaccini covid).

In generale, EBM e pratica clinica non devono essere viste, come spesso accade, come due entità in contrapposizione. La EBM suggerisce alcune regole per la realizzazione (partendo dai quesiti che nascono nella pratica clinica) e la interpretazione di studi, con l’obiettivo di migliorare la salute del maggior numero possibile di persone. L’insieme dei dati prodotti e la loro applicabilità devono essere interpretati tenendo conto, come si diceva prima, del contesto clinico, delle caratteristiche e delle preferenze dei pazienti. Quindi si tratta di entità complementari.

EBM e linee-guida: in scienza e coscienza

Le linee-guida rappresentano uno dei principali strumenti della EBM: quello in particolare che, tirando le somme, offre un supporto sulle possibili scelte attraverso delle raccomandazioni. Naturalmente esistono linee-guida che si rifanno ai principi della EBM discussi prima e numerose linee-guida che invece enunciano delle raccomandazioni che non sono adeguatamente supportate dalle migliori conoscenze disponibili e che rappresentano semplicemente il punto di vista di opinion leader, come anche Alessandro Liberati faceva notare già una ventina di anni fa19,20. È difficile quindi parlare di linee-guida come di un’unica entità. Linee-guida che potremmo definire “evidence-based” possono essere molto importanti nel supportare il clinico nelle sue decisioni (previa valutazione da parte del clinico stesso del contesto specifico e delle preferenze del paziente), integrando in modo trasparente le prove disponibili con giudizi sulla qualità della ricerca che le ha generate, e con giudizi di valore espressi da un panel multidisciplinare sull’applicabilità di quelle prove e sulla rilevanza dei risultati osservati. Il metodo GRADE, al cui sviluppo Alessandro Liberati partecipò, rappresenta un eccellente strumento per realizzare questa integrazione di prove e giudizi di valore10. Viceversa, linee-guida che non siano basate su questo tipo di percorso trasparente potrebbero non essere orientate verso obiettivi di sanità pubblica ed essere utilizzate a supporto di interessi di chi produce o promuove gli interventi sanitari.

In generale, come detto prima per la EBM, non bisognerebbe avere l’aspettativa che le linee-guida siano fonte di certezze. Possono però essere di supporto a decisioni se realizzate secondo i criteri discussi prima. Il clinico in ultima analisi valuterà quanto le raccomandazioni siano applicabili e potrà sempre giustificare, quando ci siano dei validi motivi, la loro non applicazione. Lo spirito della legge Gelli, che indica la necessità di fare riferimento nella pratica clinica a linee-guida e buone pratiche clinico-assistenziali21, sottolinea l’importanza di criteri di riferimento, che non sono affatto assoluti e che lasciano al clinico la possibilità (o anche il dovere) di discostarsene qualora esistano dei motivi, che andrebbero naturalmente esplicitati. Altro sarebbe esaltare la totale libertà del clinico di agire “in scienza e coscienza”. Agire in “scienza” dovrebbe comportare la valutazione trasparente delle conoscenze disponibili, che dovrebbero essere reperite in maniera sistematica esplicitando i criteri di reperimento, e non una valutazione autoreferenziale basata su una parte non del tutto rappresentativa delle conoscenze disponibili e sulla propria personale esperienza; le conoscenze disponibili possono essere più o meno dirimenti e possono riferirsi a ricerche di maggiore o minore qualità, ma sono comunque quelle disponibili (quali che esse siano), reperite in modo sistematico e valutate in modo trasparente. Agire “in coscienza” dovrebbe riguardare la contestualizzazione delle suddette conoscenze con la propria esperienza e con le preferenze del paziente. EBM (con i suoi strumenti, come le linee-guida) e agire “in scienza e coscienza” sono quindi la stessa cosa.

Le linee-guida possono dunque essere utili, a patto che integrino in modo trasparente l’analisi delle prove disponibili con la valutazione della loro applicabilità e rilevanza. Il problema non è nella filosofia dello strumento in sé, ma nella disponibilità di linee-guida che si rifacciano effettivamente a questi principi22. L’applicabilità e la rilevanza delle singole raccomandazioni devono comunque essere valutate in ultima analisi dal clinico che decide se applicarle. La legge Gelli riconosce l’importanza di avere nelle linee-guida un possibile criterio cui riferire le proprie scelte, e questo è un principio condivisibile, anche se non sembra considerare abbastanza il fatto che tra le linee-guida può esserci una grande eterogeneità, accreditando come possibili estensori di linee-guida una pletora di soggetti istituzionali che non necessariamente hanno dimostrato di essere in grado di produrre o di avere prodotto linee-guida basate sui criteri discussi prima. Forse sarebbe stato meglio enunciare le caratteristiche generali di linee-guida di buona qualità (quali, per es., la multidisciplinarietà dei panel che le sviluppano, la sistematicità nel reperimento e nella valutazione delle fonti, la graduazione delle prove disponibili e della forza delle raccomandazioni) più che elencare una lista pletorica di soggetti accreditati, che non necessariamente si rifanno a questi principi.

Formazione EBM: c’è ancora molto da fare

L’EBM è pochissimo o per niente insegnata nelle università, e questo è un problema enorme. Eppure non servirebbe tanto: basterebbe, per esempio, dare un po’ meno importanza (solo un po’) ai meccanismi di azione dei farmaci (che descritti nel dettaglio possono interessare soprattutto chi intende seguire una carriera nell’ambito della ricerca di laboratorio) e un po’ di più ai principali criteri per valutare i dati su cui si baserà la pratica clinica dei futuri medici.

Basterebbe per esempio spiegare l’acronimo PICO, per ricordare di identificare le caratteristiche delle popolazioni studiate (la P), che tipo di intervento è stato utilizzato (I), se è presente un gruppo di controllo (C) e se magari questo rappresenta lo standard terapeutico in uso, e quali tipologie di esiti sono stati valutati (O come outcome): se sono clinicamente rilevanti o dei “surrogati” in parte a essi correlati. Si può aggiungere che sarebbe opportuno affrontare poche nozioni di statistica elementare, come distinguere tra riduzioni relative (che enfatizzano il risultato quando il rischio di base è piccolo) e riduzioni assolute (che permettono di interpretare meglio l’impatto atteso di un intervento nella pratica), così come sottolineare che alle stime degli studi è associato un certo grado di incertezza che è parte integrante del risultato. Questi concetti non possono essere dati per scontati e richiederebbero un ridotto impegno di tempo per essere trasmessi, come Liberati aveva mostrato con i suoi corsi all’Università di Modena (e non solo).

Può darsi che i giovani medici, più avvezzi a leggere l’inglese (che è la lingua di gran lunga prevalente nella letteratura scientifica) e all’uso degli strumenti informatici, possano essere anche più avvicinabili alla EBM. Il rischio è però a volte quello di pensare che EBM significhi soprattutto essere capaci di reperire informazioni e studi nelle banche dati e che basti leggere i relativi abstract per acquisire “le evidenze”. A parte la necessaria capacità di individuare le fonti migliori (che forniscano un quadro sistematico e ampio delle prove disponibili), viene prima la capacità di interpretare criticamente le prove. Ma questa cosa non è difficile e si può imparare abbastanza facilmente.

La pandemia ha comunque messo in evidenza (se mai ce ne fosse bisogno) non solo per l’ambito medico-sanitario, ma anche in modo più diffuso a livello di popolazione, l’importanza di saper valutare in modo critico le informazioni che riguardano la salute. Questa capacità critica andrebbe promossa a partire dalle scuole elementari, come sostengono due dei massimi esponenti della EBM, Iain Chalmers e Andy Oxman, attraverso il progetto “Informed Health Choices” (IHC)23. Chalmers, intervenuto come relatore alla Riunione annuale del 2013 dell’Associazione Alessandro Liberati, aveva annunciato che da allora in poi i suoi sforzi per la promozione della EBM si sarebbero concentrati solo in quella direzione. Il progetto IHC, partito in Africa, ha finora fornito buoni riscontri per quanto riguarda fattibilità e impatto sulle capacità critiche dei bambini24. Questo approccio si sta diffondendo anche in altri Paesi25, tra cui I’Italia26 con un progetto pilota iniziato in Toscana e che sta proseguendo con il coinvolgimento di diverse scuole in diverse regioni. I prossimi passi prevedono l’estensione di questo approccio alle scuole secondarie27. Certamente Alessandro Liberati, da sempre fautore del coinvolgimento dei cittadini nelle scelte su temi di salute e nella ricerca, avrebbe approvato (e contribuito in prima persona).

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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